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Ritorniamo a Marx?

Il neo-capitalismo di stato del dopo crollo

La storia magistra vitae? Forse no, ma certo è perfida. Il libero mercato, il libero commercio internazionale, la libera impresa, ovvero gli idoli dalla scienza economica classica, alla lunga hanno davvero mantenuto le antiche luminose promesse: la ricchezza del Primo mondo si è lentamente ma inarrestabilmente propagata al resto del pianeta, dove oggi popolazioni di ex-pezzenti si sono trasformate in vivaci società che incarnano a meraviglia gli “animal spirits” del capitalismo. Talmente bene -ecco la perfidia- che oggi ci stanno facendo le scarpe, in senso letterale e metaforico, come ognuno può capire andando a far compere e trovando in realtà non solo scarpe, ma ogni tipo di macchina o apparato tecnologico sofisticato provenienti dall’Asia. L’Occidente sta tramontando per avere coerentemente perseguito sino in fondo - ecco la perfidia delle perfidie - e con tutta la testardaggine possibile e immaginabile, un modello di economia capitalistica liberista teorizzato nell’800.

Ma i paradossi non finiscono qui. Qualcuno comincia a chiedersi se per caso non avesse ragione anche l’altra scienza economica, quella “eretica” di Marx. Se si pensa alla sua idea di sviluppo capitalistico, che porterebbe spontaneamente l’economia verso forme di organizzazione oligopolistica e monopolistica sempre più spinte e, in una fase ulteriore, a una forma di “capitalismo di Stato” (che, nelle sue previsioni, anticiperebbe già il socialismo), viene da chiedersi: ma cos’altro sta avvenendo oggi sotto i nostri occhi nel Primo mondo del dopo crollo? Lo Stato viene in soccorso proprio di quei 200-300 grandi gruppi bancari, assicurativi e industriali multinazionali che dominano il mondo; in altre parole lo Stato si è d’un tratto manifestato (deus ex machina o leviatanico incubo?) come il Grande Regista dell’economia.

La domanda che ci si dovrebbe porre e che non sembra attualmente posta da nessuno (neppure dagli ex- paleo- o post-marxisti) è: si tratta davvero di un intervento nell’ottica dell’emergenza, necessariamente provvisorio e decrescente nel tempo, o non è questo piuttosto il segno di un mutamento strutturale epocale, forse addirittura irreversibile?

In realtà né gli economisti classici né i marxiani potevano un secolo fa prevedere un fatto nuovo, che si interseca con il Grande Crollo: la fine delle risorse illimitate e a buon mercato. Il pianeta, com’è noto, è ormai in deficit: consuma più di quanto madre natura possa rimpiazzare. E non sarà facile convincere India, Cina e il resto dei paesi emergenti ad abbassare il loro tasso di sviluppo, a rinunciare a dare a tutti auto-frigo-TV-cellulare-computer in nome del comune rischio ecologico. Eppure tutti sappiamo che se questi Paesi avessero gli standard di consumi dell’Europa, il nostro pianeta si sarebbe già esaurito da un pezzo. Insomma, il Capitalismo di Stato preconizzato da Marx, come naturale evoluzione del sistema economico, è già una realtà, almeno all’interno di ogni Stato del Primo Mondo dove i capitalisti fanno la fila col cappello in mano davanti agli uffici dei ministri finanziari nel ruolo coatto di neo-pianificatori dell’economia. Ma ancor più evidente è che un governo su scala mondiale dell’economia, oggi limitato alla sfera monetaria (FMI, Banca Mondiale) e poco più, sta diventando inevitabile, pena il collasso generale del sistema: la riunione del G-20 va esattamente in questo senso.

Programmazione centralizzata, pianificazione del consumo delle risorse, socializzazione delle industrie in crisi, ossia quello che gli economisti classici consideravano eresie, o peggio, bestemmie, sono ormai dietro l’angolo. È finita l’era della fede nel mito della Mano Invisibile del capitalismo, nel cosiddetto “laissez-faire”. Oggi è solo la mano energica e visibilissima dello Stato che può rimettere in sesto, si spera, l’economia. Ma il Grande Crollo non ha causato, quanto piuttosto anticipato questa prospettiva di neo-dirigismo cui già andavamo incontro, e che ci pone domande ineludibili: chi controllerà la mano dello Stato? Perché, e obbedendo a quali criteri, lo Stato dovrebbe dare alle imprese (banche, Alitalia..) e togliere o lesinare ad altri? La forma attuale dello Stato liberal-parlamentare sarà adeguata alle nuove sfide? Si tornerà, è inevitabile, a parlare di Politica, quella con la P maiuscola. Finalmente.