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QT n. 7, luglio 2010 Servizi

Prima del tempo

Analisi e riflessioni sul fenomeno dei suicidi in Trentino attraverso lo studio di una sociologa

Chiara Pizzolli
Van Gogh, “Vecchio disperato”, 1890.

Parlare di suicidio risulta particolarmente difficile perché turba la sensibilità di chiunque: a molti incute paura e timore, in altri produce sentimenti di rifiuto e di ostilità che tendono ad imporre la rimozione e il silenzio. Parlarne invece è estremamente doveroso perché, come ha affermato lo psicoterapeuta Piotti, “il silenzio protegge il suicidio, la parola lo disarma”.

Un triste primato

Per avere un’idea della gravità del fenomeno basta prendere atto che nel mondo il suicidio è riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come un fenomeno allarmante da affrontare in modo deciso; in Italia è considerato uno dei maggiori problemi di salute pubblica; in Trentino è una delle prime dieci cause di morte e nella classifica nazionale siamo sempre nei primi posti.

Per quantificare il fenomeno bastano alcuni dati statistici: nel 2006, ultimo anno in cui sono disponibili le statistiche sanitarie nazionali, il Trentino ha registrato un tasso di suicidio pari a 7,5 persone su 100.000 abitanti, contro un tasso nazionale di 6,9.

Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, relativa agli anni 2003-2007, un caso particolare è rappresentato dalla valle di Sole, che conquista il triste primato dei suicidi in Trentino. In questa vallata il passaggio da un’economia agricola di sussistenza a un’economia di mercato è partito in ritardo rispetto all’Italia e al Trentino, ma si è compiuto con maggiore velocità: nell’arco di soli tre decenni si è compiuta una radicale trasformazione dell’economia, che ha visto sostituirsi all’allevamento e alla silvicultura, il turismo di massa come principale fonte di reddito e di occupazione dell’intera valle. Questo modello di sviluppo, vincente a livello economico, ha inciso in maniera profonda sulla struttura sociale della comunità, da una parte migliorando il benessere generale e dall’altra innescando però processi di disgregazione ed alterazione del contesto sociale e culturale che hanno colto di sorpresa la popolazione.

Dai dati quantitativi e da alcune interviste a testimoni privilegiati (un primario, una psicologa, un’infermiera, un’operatrice della linea telefonica del progetto “Invito alla vita”, un parroco, un facilitatore di gruppi di auto mutuo aiuto e infine una persona che ha tentato più volte il suicidio) sono emersi due caratteristiche, tipicamente trentine, che influenzano il suicidio: una ambientale e una culturale.

La prima è data dall’altitudine, col crescere della quale aumenta, ma solo per i maschi, anche il tasso dei suicidi. Il che è spiegabile col fatto che crescendo l’altitudine, l’asperità del territorio comporta una progressiva riduzione degli insediamenti e dunque l’isolamento di queste piccole comunità montane per via delle difficili comunicazioni.

Per quanto riguarda invece la caratteristica culturale, peraltro comune a tutte le genti di montagna, è stata ben delineata dall’assistente sociale Paolo Facchinelli con le parole “dignitoso silenzio di fronte alle avversità, stringere i denti e andare avanti”.

Lo stringere i denti e tirare avanti è un valore senz’altro positivo, ma “il dignitoso silenzio” si traduce nell’incapacità di comunicare le proprie emozioni e il proprio vissuto interiore, alimentando il circolo vizioso della solitudine e dell’isolamento sociale.

Tutti i testimoni privilegiati hanno evidenziato la solitudine come principale fattore di rischio: solitudine sia fisica, cioè mancanza di persone con cui parlare, sia psicologica, intesa come mancanza d’ascolto e incapacità di essere compresi dall’altro. La solitudine, dunque, non è la causa dei suicidi, ma piuttosto la condizione comune alla stragrande maggioranza di essi: la causa vera è un lacerante dramma interiore, e chi lo vive in solitudine rischia molto di più di chi riesce a condividerlo con altre persone.

Un “Invito alla vita”

Attualmente sull’intero territorio trentino è presente il progetto di prevenzione del suicidio “Invito alla vita”, che nasce alla fine del 2008 come risposta dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari alle forti sollecitazioni da parte della comunità solandra. Tale progetto ha considerato il suicidio un comportamento da analizzare non solo in una prospettiva psichiatrica e psicologica, ma come fenomeno sociale che riguarda tutta la società. Un merito di questa iniziativa sta nell’aver identificato sul territorio delle figure chiave, chiamate “sensori”, figure che, per il ruolo ricoperto, sono in contatto con soggetti disagiati o a rischio suicidio e che quindi, se adeguatamente preparate, possono captare in anticipo i segnali d’allarme lanciati dai candidati suicidi. Si tratta di medici di base, insegnanti, forze dell’ordine, farmacisti, operatori sociali, sacerdoti ed altri professionisti.

Il progetto dispone di una linea telefonica gratuita poiché, come attestano varie esperienze sia internazionali che nazionali, è ampiamente efficace nell’aiuto delle persone in crisi. È attiva 24 ore su 24, risponde al numero verde 800 061 650 e riceve una decina di telefonate al giorno. Ad essa fanno capo una trentina di volontari non professionisti, persone sensibili al tema della depressione e del suicidio per averlo vissuto in prima persona, o accanto a familiari.

Considerato che il lutto da suicidio è molto più difficile da elaborare rispetto agli altri lutti, è stato attivato anche un gruppo di auto mutuo aiuto specifico per i familiari e gli amici di chi si è tolto la vita. Ai media ed in particolare ai giornalisti, infine, è stato rivolto l’invito a trattare il problema del suicidio in maniera positiva e non allarmistica o sensazionalistica.

“Invito alla vita” è attivo da poco più di un anno e mezzo, quindi non è ancora possibile verificarne l’impatto sul fenomeno dei suicidi. Tuttavia, se dovessi dare una valutazione, direi che il progetto sulla carta è ottimo, ma funziona solo se tutta la comunità si mobilita. La valle di Sole, a questo proposito è un caso emblematico, poiché negli ultimi anni è passata dal primato negativo a quello positivo proprio grazie all’intervento della comunità nel suo insieme: dai sindaci ai parroci, dal mondo della scuola a quello dell’informazione, dal servizio di salute mentale al servizio sociale, dai medici ai familiari di persone che si sono tolte la vita, dai gruppi di auto mutuo aiuto al volontariato.

Uscire dal vicolo cieco

Il suicidio è l’epilogo tragico di un dramma personale vissuto per lo più in solitudine, dove la mancanza di supporti esterni e di confronti con gli altri porta in un vicolo cieco, all’interno del quale il peso della sofferenza interiore diventa insopportabile.

Rompere la solitudine e l’isolamento, far ritrovare la capacità di condividere con gli altri i propri sentimenti e la propria sofferenza, sono il primo passo per un’efficace prevenzione. Ma non è possibile limitarsi a contrastare la solitudine, perché il nocciolo duro del problema sta nel dramma interiore che precede il suicidio. Per risolvere il quale è necessario anzitutto identificarne le cause, per poi rimuoverle. Ma qui si apre un campo di lavoro sconfinato, dove solo la comunità nel suo insieme può dare un sostegno ed un aiuto concreto.

I dati in Trentino 2003-2007

Un’analisi dettagliata, relativa agli anni 2003-2007, mostra che in provincia di Trento si sono verificati 210 casi di suicidio, per un numero medio annuo di 42 decessi. L’andamento del fenomeno presenta nel corso del tempo un lieve trend decrescente, più evidente nei maschi, passando dai 48 casi del 2003 ai 37 del 2007. Il comportamento suicida viene portato a termine maggiormente dagli uomini (84%), mentre è più alta la percentuale di donne che lo tenta. La classe d’età più colpita è quella compresa tra i 45 e i 54 anni (19,5%). Sono però i suicidi di adolescenti e giovani che hanno il maggior peso, costituendo la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali.