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I quartetti Brodsky e Minetti

Solida tradizione e giovanili perfezioni

Quartetto Minetti

La prima cosa che colpisce la nostra attenzione è l’insolita illuminazione sul palco della Filarmonica di Rovereto, diversa da quella a cui siamo abituati: il palco è in penombra, luce soffusa sullo spazio dove ci sono solo i quattro leggii e una pedana dove suona il violoncello. Sì, perché i componenti del quartetto Brodsky, storico quartetto inglese, suonano tutti in piedi tranne la violoncellista, ovviamente, che siede su una pedana rialzata affinché il suo suono sia allo stesso livello degli altri. Il programma è vario e interessante: la prima parte è dedicata a Schubert e a una malinconica e inusuale Lullaby di Gershwin: il suono è molto curato e perfettamente bilanciato nelle dinamiche più sommesse e spicca il colore molto femminile, elegante, del violoncello. Ci è sembrato però che mancasse, accanto a questo studiato equilibrio, una controparte energica e vitale dei momenti più intensi e delle dinamiche forti, soprattutto nelle atmosfere holliwoodiane anni ‘30 del quartetto di Korngold. Nel quartetto conclusivo di Beethoven op. 132, brano sicuramente impegnativo soprattutto dal punto di vista temporale, si è notata una certa stanchezza, poco controllo delle dinamiche più spinte e qualche nota stonata di troppo del primo violino.

Sempre sullo stesso palco, dieci giorni dopo, ci è piaciuta anche l’esecuzione del Quartetto Minetti, giovane formazione austriaca già vincitrice di svariati premi. Un programma all’insegna del repertorio più classico, da Haydn a Mendelssohn: ancora una volta, in un febbraio dove le donne hanno deciso di far sentire la loro voce in piazza, ci piace notare un tocco femminile anche sul palcoscenico. Il primo violino è una ragazza angelica e diafana, ma che sa condurre con tempra e raffinatezza un quartetto dove tutta l’energia e la passione giovanile diventano meticolosa e evidente cura di ogni particolare: perfetta intonazione, dinamiche impeccabili, ricercato equilibrio sonoro, una sincronia di gesti e d’intenti che affascina non solo l’ascolto, ma anche la vista. Talmente perfetti, questo forse è vero, da rischiare quasi di apparire algidi e lontani dal pubblico: il controllo accurato, quasi pignolo, di ogni aspetto dell’esecuzione è andato forse a scapito di un’espressività musicale spontanea: a rischio di sbavature, è vero, ma così umana...

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