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QT n. 1, 15 gennaio 2005 Scheda

Quei treni che passano col rosso

Da "Primapagina", quindicinale di Chiusi.

Le Ferrovie italiane non sono mai state il fiore all’occhiello del paese. Ma un pregio l’hanno sempre avuto: erano considerate, dati alla mano, le più sicure del mondo. Ora che hanno assunto un assetto privatistico, anche questa peculiarità sembra vacillare. Insomma, la riorganizzazione, se stenta a risolvere i mali cronici del nostro servizio ferroviario (ritardi, pulizia dei treni...) sembra avere un impatto negativo sulla sicurezza.

E’ quanto si deduce da una circolare del responsabile della Divisione del Trasporto Regionale di Trenitalia dove si fa riferimento ad un problema che evidentemente comincia ad allarmare i vertici aziendali: l’indebito superamento dei "segnali a via impedita", che in sostanza vuol dire che un treno è passato con il segnale rosso. Cosa significa un segnale rosso lo sanno tutti: vuol dire che non ci sono le condizioni per partire. Ebbene, il capo del trasporto regionale richiama macchinisti e capitreno ad una scrupolosa osservanza delle norme, lamentando che questa "anormalità" si è verificata, sui treni della Divisione Trasporto Regionale, per ben 12 volte, dal 1° gennaio al 31 ottobre. Un numero che già ora equivale a quello dei due anni precedenti e che, rispetto al passato, assume proporzioni inaudite.

Se un treno parte col rosso non è automatico che si verifichi un incidente, perché alcune linee ed alcuni locomotori sono attrezzati con dei dispositivi che bloccano la marcia del treno e negli altri casi non è detto che un ostacolo, un binario rotto o un passaggio a livello aperto, provochino automaticamente una tragedia. Resta il fatto che è una delle situazioni di rischio più gravi. Nell’ambito ferroviario viene definita "investimento mancato".

Tra i 12 casi di "supera-mento di segnale a via impedita" avvenuti quest’anno, "alcuni sono correlati anche ad eventi incidentali" - si legge nella circolare. Cioè, hanno provocato incidenti. E’ ovvio che in presenza di fatti del genere il personale viene sottoposto ad inchiesta e che per i macchinisti questo è lo spauracchio del mestiere, la mancanza più grave. Chi incappa per disattenzione o negligenza in tale mancanza viene distolto dal servizio e sottoposto ad accertamenti medici e attitudinali come se dovesse ricominciare da capo la sua storia lavorativa. Difficilissimo - dicono gli stessi istruttori del personale di macchina delle Fs - che un macchinista "passato col rosso" possa poi continuare a guidare un treno. E’ proprio questo loro essere i più esposti ai propri errori che ha fatto di questa categoria dei pignoli della sicurezza. Ma evidentemente i tempi sono cambiati. Sono noti da tempo gli eccessi nell’uso dello straordinario, una situazione che inevitabimente abbassa la soglia di attenzione. Gli incentivi economici sono tali che non pochi macchinisti superano le sette ore di lavoro (e 11 di impegno) che sono il massimo previsto. D’altronde l’azienda spende meno a pagare gli straordinari che a formare e impiegare più personale.

Ma è l’organizzazione del servizio che è cambiata; una volta il segnale di partenza lo dava il capostazione, poi il capotreno, e i macchinisti erano sempre in due. Ora spesso sul locomotore c’è un solo ferroviere, il capotreno deve anche fare da ufficio informazioni viaggiante o perdere tempo attorno a porte che non si chiudono o non si aprono... Insomma, taglia di qua, taglia di là, razionalizza qui, razionalizza là, questo è il risultato: 12 treni in 10 mesi sono passati col rosso, causando in qualche caso incidenti e rischiandone altri.

In contemporanea all’invio della circolare, Trenitalia ha fatto affiggere nelle bacheche di tutti gli impianti un volantino a colori – datato 4 novembre – con 12 semafori rossi e la scritta a caratteri cubitali: "Non andiamo più oltre!".

Ma con l’incidente di Taranto del 3 dicembre (un treno merci passato col rosso e finito contro un treno passeggeri: 63 feriti, alcuni dei quali gravi), e soprattutto - a quanto sembra - con quello di Crevalcore, oltre ci siamo già.