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Ratzinger-Paris 2-0

Paolo Tomasi

Mi sono imbattuto in QT su Internet in un pezzo di Terwillger che rimandava ad un pezzo di Paris su Ratzinger (Dio, Ratzinger e il Grande Inquisitore). Ho letto con un crescente interesse ambedue articoli, e gli altri che vi erano citati.

Mi hanno rivelato un nuovo aspetto di Questotrentino: si tratta di una delle poche sedi in cui si discute senza remore di temi che un tempo erano di grande rilievo e che oggi affondano sempre più nel politicamente corretto.

Mi associo quindi ai complimenti di Terwilliger aggiungendo che Ettore Paris è ormai uno dei pochi che non ha problemi nel dichiararsi senza difficoltà semplicemente ateo. Il panorama attuale ci presenta moltissimi “laici” che però sulla questione fondamentale preferiscono glissare, mentre gli atei osservanti rischiano ormai di diventare una specie in via di estinzione, il che va a grave danno di quelli che vorrebbero dirsi credenti e rendere ragione della loro posizione senza cadere nella melassa del buonismo.

Ciò premesso, vorrei dire la mia sulla questione. Paris scrive: “Nella mia esperienza non ho mai avvertito la necessità di ancorare a una divinità i principi etici: concetti come coscienza e rimorso non hanno bisogno di Dio”, per poi continuare citando il recente discorso di Ratzinger sui problemi dell’etica contemporanea.

Secondo Paris Ratzinger dice che anche i non credenti in Dio dovrebbero fare in modo di “riconoscere un’Autorità superiore che stabilisca i principi della morale”. Questa idea secondo Paris è risibile, perché se pure i non credenti dovessero affidarsi a Dio, chi deciderà il contenuto etico di questo valore assoluto, la Chiesa romana? Si tratterebbe di una mera sottomissione delle coscienze ad un potere assoluto (il Grande Inquisitore) che contrasta con l’aspirazione dell’uomo moderno alla democrazia. Affidandosi a Dio, secondo Paris, l’uomo ammetterebbe che “non può essere libero, non riesce a dotarsi di strumenti (il diritto, il governo, la giustizia) con cui si autoregola: ha bisogno di qualcuno che dall’esterno gli suggerisca, anzi gli imponga le regole”.

L’interpretazione mi ha molto incuriosito e così sono andato a cercare il testo del discorso citato di Ratzinger (si trova facilmente su Internet e forse andrebbe messo in link al pezzo). Lì ho scoperto che l’argomentazione di Ratzinger e si basa esplicitamente sul pensiero di uno dei massimi esponenti della filosofia moderna e illuminista, (cito Ratzinger): “Kant aveva negato che Dio possa essere conoscibile nell’ambito della pura ragione, ma nello stesso tempo aveva rappresentato Dio, la libertà e l’immortalità come postulati della ragione pratica, senza la quale, coerentemente, per lui non era possibile alcun agire morale. La situazione odierna del mondo non ci fa forse pensare di nuovo che egli possa aver ragione?”.

Se il presupposto dell’appello di Ratzinger è questo, mi sembra che parlare di sottomissione cieca delle coscienze ad un principio religioso irrazionale sia un po’ azzardato. Il discorso di Ratzinger era un po’ più sofisticato e andava meglio interpretato, se si intende discuterlo seriamente.

Secondo me in questa contrapposizione tra il punto di vista di Paris e quello di Ratzinger si cela un paradosso, che rappresenta bene la problematicità della questione etica. Il cristianesimo non ha mai sostenuto che le norme etiche siano un comando irrazionale di Dio a cui l’uomo deve sottostare ciecamente, tutt’altro; la tradizione cristiana ritiene che l’uomo conosca anche con la sola ragione i precetti dell’etica e ne senta l’obbligatorietà. Quindi Paris è pienamente nel solco della tradizione cristiana quando dice di non sentire alcuna necessità di avere un Dio per avere un’etica: sta citando senza rendersene conto Tommaso d’Aquino, oppure cita una certa filosofia illuminista razionalista a cui anche Ratzinger nel suo discorso rende omaggio.

E’ il relativismo della cultura moderna (oggetto della critica di Ratzinger) che nega che vi possa essere una morale razionale, come del resto nega che vi siano conoscenze oggettive negli altri ambiti. E se non c’è un fondamento razionale per le norme etiche, non resta che affidare la scelta di quelle contingentemente valide alla forza (dello Stato o di altre istituzioni). Si tratta esattamente del Grande Inquisitore paventato da Paris come esito irrazionalistico della sfiducia nella ragione. Una interpretazione che Ratzinger e la Chiesa apertamente negano da sempre.

Insomma, se si vuole criticare il nuovo papa - che non è uno sprovveduto e come tedesco appartiene a una cultura che ha segnato profondamente la filosofia moderna - bisognerebbe cercare di non appiattire troppo tutta la questione.

Paolo Tomasi, Milano