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Anti-americanismo?

Leggo su L’Unità un articolo del direttore Furio Colombo intitolato "Americani e anti-americani", che mette in guardia dall’errore di confondere la società americana con l’attuale amministrazione Bush.

In effetti anti-americanismo è termine ambiguo. Può significare rifiuto totale della civiltà americana, ovvero rifiuto anche radicale della politica estera del Governo in carica. Furio Colombo invita giustamente a distinguere: l’America non è solo Bush, non è Rumsfeld e nemmeno Condoleeza Rice. E’ invece una realtà molto più complessa, con una sua storia anche recente di grande ricchezza culturale in tutti i campi: scientifico, letterario, musicale, con un’alta dose di anticorpi contro gli errori e le contraddizioni che la segnano. Se così non fosse, coloro che negli Stati Uniti - e sono tanti - criticano e si oppongono alle scelte di Bush dovrebbero essere considerati anti-americani. Per analogia nel nostro Paese coloro (e sono tantissimi) che criticano e avversano il governo Berlusconi dovrebbero essere considerati anti- italiani. Ma non è così: come Bush non è l’America, Berlusconi non è l’Italia, dove ci sono anticorpi decisivi per la difesa della Costituzione e per mantenere viva la democrazia e la cultura.

Furio Colombo ha ragione: non si può fare di ogni erba un fascio. Nella sua analisi c’è però una lacuna. Con la seconda guerra mondiale è apparso nella società americana un nuovo elemento strutturante: il complesso militare-industriale, che nei decenni è divenuto sempre più determinante.

Nell’immediato dopoguerra perfino il Presidente Eisenhower ne denunciò il pericolo. Dal 1945 ad oggi l’intreccio fra industria e apparato militare ha determinato le scelte decisive degli USA in politica estera. Per fare qualche esempio: l’uso della bomba atomica a Hiroshima e a Nagasaki, la contrapposizione frontale all’URSS, la NATO, la corsa al nucleare, la guerra di Corea, l’aggressione al Vietnam, l’alleanza con Israele, l’appoggio a Pinochet e ora l’attacco all’Irak senza e contro il consenso dell’ONU. Senza questo filo conduttore non si comprende, a mio giudizio, la storia americana dell’ultimo mezzo secolo.

Le cause che hanno determinato queste scelte sono molteplici, ma in ultima istanza sono stati decisivi gli interessi del complesso militare-industriale che ha accresciuto il suo potere sotto ogni amministrazione (in particolare Nixon, Reagan, e i due Bush). Criticare e opporsi a queste scelte non è essere anti-americani. Anzi, vuol dire essere in sintonia con le migliori tradizioni della grande civiltà democratica americana.

Bush sbaglia gravemente nel deviare da essa, nel non capire che il futuro del mondo e dell’America non è l’unilateralismo imperiale ma la cooperazione reciproca. Il mondo non può essere governato dagli USA, ma solo da un rinnovato consenso della comunità internazionale.

Questo pensano gli amici dell’America, che oggi sono costretti a criticarla per la rozza prepotenza con cui l’amministrazione Bush pretende di governare il pianeta.