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QT n. 10, 16 maggio 1998 Documenti

Per capire i biotopi: appunti di storia trentina

Andrea Leonardi

Fra la seconda metà del secolo XVII e il secolo successivo, nella realtà economica europea si sono andati presentando una serie di fenomeni economici e culturali che hanno contribuito a un graduale ma radicale mutamento dell'organizzazione produttiva di tutta la società. Le conseguenze di quel fenomeno, conosciuto come "rivoluzione industriale", furono immense per quella che è definita l'ecologia umana, finendo per modificare l'habitat, il tipo e le condizioni di vita di operatori agricoli e artigiani.

L'insieme delle trasformazioni che coinvolse tutta l'Europa non risparmiò l'area alpina. Lungo la dorsale alpina i fenomeni economici, nei secoli precedenti, avevano assunto un connotato particolare, che non li poneva in antitesi con le linee economiche che si sviluppavano nelle vaste aree di pianura, poste tanto a settentrione che a meridione, ma che consentiva una loro differenziazione. Il difficile rapporto fra risorse e popolazione, che per secoli condizionò la vita delle popolazioni della montagna, imponendo loro, fino al momento dell'industrializzazione, dei ritmi particolarmente cadenzati, se per un verso non consentì un esteso radicamento delle istituzioni feudali, per altro verso rese piuttosto lento e graduale il definitivo abbandono, tra XVIII e XIX secolo, degli ultimi residui della feudalità.

Le differenze d'altro canto che si possono notare ancor oggi tra l'assetto economico delle aree alpine e quello delle più dinamiche regioni circostanti in pianura, non sono tuttavia il prodotto di una chiusura dell'ambiente di montagna in se stesso. Tale chiusura non è mai esistita, per il semplice fatto che l'economia della montagna alpina non è mai stata, né avrebbe potuto essere, un'economia autarchica. I legami coi territori circostanti sono sempre stati significativi e hanno consentito all'economia delle regioni alpine, specie nelle fasi meno propizie, di mantenere un equilibrio che il complesso rapporto tra risorse e popolazioni, rendeva costantemente precario.

Semmai si può verificare come i contatti con l'esterno e i rapporti di dare e avere fossero sottoposti nelle regioni alpine a un vaglio molto attento, per evitare che il difficile equilibrio potesse essere incrinato da infiltrazioni esterne non controllabili.

Nel contesto dunque dell'area alpina, dove c'era attenzione ma non certo la chiusura nei confronti del mondo esterno, la caratteristica che ha accomunato l'organizzazione del vivere quotidiano delle diverse comunità etniche, che per secoli sono vissute fianco a fianco, è stato il costante raffronto con un insieme di difficoltà di fondo, con cui tali comunità si dovevano continuamente confrontare, per poter trovare un modo dignitoso per sopravvivere. Il complesso rapporto risorse-popolazione doveva dunque essere reso più agevole attraverso un'azione che mirasse a circoscrivere le ostilità frapposte dall'ambiente alla pratica economica più diffusa, quella agro-silvo-pastorale.

Le diverse entità etniche presenti su tutta la dorsale alpina e nello specifico quelle che vivevano nella regione economica tirolese (la tedesca, l'italiana e la ladina) per certi versi seppero percorrere un tragitto analogo, mentre per altri hanno differenziato l'apporto attraverso cui fronteggiare un non facile impatto con l'ambiente.

L'obiettivo comune era quello, in una prima lunga fase, di ricavare le risorse necessarie alla propria sopravvivenza e, dopo il mutamento dell'assetto economico europeo, quello di inserire in modo più marcato l'economia locale nei circuiti internazionali del mercato.

Un primo elemento di difficoltà era rappresentato dalla stessa conformazione del territorio trentino-tirolese, con la più parte dei terreni posti a quote elevate, oltretutto con un sistema idrografico decisamente complesso. Ciò finiva per condizionare sia la configurazione del possesso fondiario, sia l'articolarsi delle scelte colturali.

Il processo di formazione della proprietà fondiaria risultava poi in stretta relazione con la struttura demografica e con la pressione che questa esercitava su un suolo coltivabile piuttosto circoscritto. In effetti, la struttura fondiaria che andò maturando nella regione a seguito del lento dissolversi della feudalità, era un tentativo di risposta razionale ai crescenti bisogni delle popolazioni locali, attraverso il perseguimento di un duplice obiettivo: da una parte la conservazione di un regime comunitario per la gestione di gran parte dei beni silvo-pastorali, ubicati prevalentemente ad alta quota; dall'altra la formazione di un indirizzo agrario concentrato prevalentemente sulla piccola proprietà coltivatrice, con riferimento ai terreni propriamente coltivabili, lungo i declivi vallivi circostanti i centri abitati. Però, mentre nell'area influenzata dalla cultura e dal diritto di derivazione latina, il concetto di proprietà individuale andò applicandosi in modo rigido, fino a rendere consuetudinario un diritto successorio che aveva come sbocco una vera e propria polverizzazione della proprietà, in gran parte dell'area di cultura tedesca gli esiti furono diversi.

Nella parte preponderante delle vallate tedesche e in una certa misura anche in quelle ladine, specie nelle zone più elevate e comunque meno favorevoli all'agricoltura, si andò rafforzando il concetto di minima unità fondiaria, da garantirsi integra alle future generazioni. Tale sistema potè reggere finché l'obiettivo dell'agricoltura, della zootecnia e della silvicoltura della regione rimase soprattutto il conseguimento del fabbisogno dei prodotti con cui soddisfare le esigenze delle famiglie contadine. Con il mutarsi del vecchio equilibrio demografico, che conferiva al sistema alpino una caratterizzazione di diffusa stabilità, cominciò tuttavia a evidenziarsi l'inadeguatezza complessiva dell'agricoltura tradizionale.

Nei confronti poi di un possibile rinnovamento dell'assetto agricolo trentino-tirolese non si notavano poi, se non sporadicamente, entro la prima metà del secolo XIX, né tecniche agricole avanzate né significativi elementi di rottura, rispetto ai tradizionali indirizzi agronomici, cui andavano per altro verso imputati livelli di produttività decisamente contenuti.