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QT n. 9, settembre 2011 Trentagiorni

Inerzia colpevole

È stato il tormentone di inizio estate, con articoli - fatalmente ripetitivi - ogni giorno sui quotidiani. Ma è anche una cosa molto seria.

Parliamo del degrado di una parte del capoluogo: piazza Dante, e poi e ancor più, piazza Santa Maria. Ancor più grave appunto il secondo caso: un brano - per di più importante - di città, un quartiere dove vive la gente, non un piazzale abbandonato, in cui il vivere civile è a rischio. Con tutte le inevitabili conseguenze del caso: senso di insicurezza, abbassamento del livello di civiltà, rischio di intolleranze.

La situazione: la banda egemone nel controllo dello spaccio della droga, composta soprattutto da giovani maghrebini, ha eletto il quartiere di Santa Maria come base operativa. Venti/trenta giovani che si sono messi a controllare il territorio, con un occhio alle forze dell’ordine, ma soprattutto a possibili concorrenti, da scoraggiare con la massima energia.

Facilmente riusciti nell’impresa, i giovani maghrebini hanno iniziato a ritenere che la burbanza potesse renderli padroni del quartiere. Di qui atteggiamenti provocatori, da guappi: infastidendo le ragazze, orinando sui muri, correndo in bici sui marciapiedi, esibendosi in accese zuffe, verbali e non solo.

Cose di poco conto? Così hanno pensato, in prima battuta, gli amministratori: a Napoli succede molto ma molto di peggio. Esemplare la minimizzazione del presidente Dellai (“Beh, per un bicchiere rotto...”) quando la banda aggrediva a bottigliate in testa un gruppo di rifugiati africani, scambiati per possibili concorrenti.

La gente del quartiere (tra cui chi scrive) non la pensava nella stessa maniera: “Quando per la tua strada, uscendo da casa tua, devi andare con gli occhi bassi per timore che un piccolo delinquente si inalberi con te, incominciamo a andare male” mi diceva un vicino. La sera, le ragazze si facevano accompagnare fin sulla porta di casa: “Qui non viviamo più bene” mi diceva una giovane parente.

La cosa non poteva non avere risvolti politici: “Non sono certo leghista, anzi - affermava un signore sui cinquant’anni - però il centrosinistra non può rifiutarsi di affrontare il problema”. Un barista, che forse più di altri viveva il senso del pericolo, affrontava il tema da un angolo molto delicato: “Lo so, non si dovrebbero pensare queste cose... Si sa come si inizia, non si sa come finisce... Eppure... Eppure: se la polizia intervenisse con più durezza, con più cattiveria...”

A questo si stava giungendo. Persone sicuramente democratiche incominciavano a dubitare di alcuni fondamenti stessi della democrazia. D’altronde se le istituzioni non ottemperano ai loro doveri, non venendo a capo di una banda di ragazzotti, cosa deve pensare il cittadino?

Anche perché la situazione andava progressivamente peggiorando: l’impunità era una pessima ma efficace maestra per i giovani maghrebini, che incominciavano a credere (e perché non avrebbero dovuto?) che così va il mondo: se sei tosto hai sempre ragione. Rispetto agli altri delinquenti, naturalmente, ma anche rispetto ai cittadini: ai semafori non c’era il verde o il rosso, loro passavano comunque, e ti guardavano con aria di sfida, cosa vuoi tu, mezza cartuccia? Il passo dallo spaccio al pizzo forse non era tanto lontano.

La cosa danneggiava anche gli altri immigrati. Così mi confidava un altro vicino: “Ora, quando vedo in strada qualcuno dalla pelle scura, ho un senso di repulsione. Poi vedo che invece è il sarto pachistano, o il kebabaro turco o lo studente tunisino e mi arrabbio. Mi arrabbio con me stesso per la mia brutta reazione, ma anche con questi disgraziati che stanno rovinando tutto. E con chi non fa niente...”

Chi scrive cercava di contattare il sindaco Andreatta per prospettargli la realtà di una situazione ormai critica. Ma il nostro “peggior candidato” (vedi QT del febbraio 2009), traboccante al solito di falsa disponibilità, non si faceva trovare.

Però alla fine anche gli amministratori si rendevano conto del pericolo (beninteso, elettorale: era quello che interessava) che ormai si andava prospettando. E così, dopo alcuni vertici con le forze dell’ordine (che prima allargavano le braccia lamentando “insufficienze dell’organico”, non si capisce a cosa altrimenti addetto), si arrivava finalmente ad un pattugliamento costante dell’area, a insistiti controlli, e a una stretta su tutta una serie di irregolarità (permessi di soggiorno) o reati, come spaccio e furto.

Ora la situazione sembra migliorata. Ci voleva tanto?

Ci ripromettiamo di vigilare.

Perché non si possono confondere la tolleranza e l’accoglienza, che devono rimanere valori primari, con l’inerzia, il menefreghismo, l’abdicazione ai propri compiti.

Di mezzo c’è il rischio di travolgere il senso civico e democratico dei cittadini.