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La rubrica si congeda...

...ricordando le pagine migliori

Promemoria, la rubrica avviata da Qt nel numero del 22 aprile 2006, si congeda con questo numero. Nelle intenzioni del giornale e dei curatori (Quinto Antonelli e chi scrive) essa puntava a fornire materiali originali di riflessione sulla vasta area di problemi culturali che si situa tra storia e memoria, nonché a segnalare pubblicazioni, mostre, ricerche in corso. Si stava coltivando in quella fase, da parte di un gruppo di studiosi di diverse generazioni, il progetto di costituire una nuova rivista storica, che raccogliesse l’eredità di “Materiali di lavoro”, la coraggiosa e feconda esperienza avviata a Rovereto nel 1978 e chiusa nei primi anni ‘90.

Promemoria beneficiò non poco, nei primi anni di vita della rubrica, degli slanci di quel generoso proposito collettivo, smontato poi (forse non definitivamente) dalla valutazione realistica della scarsità di mezzi ed energie lavorative a disposizione. A sollecitare quel disegno c’era la percezione della rilevanza sempre maggiore, non solo culturale ma anche strettamente politica, della memoria pubblica del passato e insieme la preoccupazione per la fisionomia che stavano assumendo le istituzioni culturali trentine che si occupano di storia, invescate in un rapporto con il palazzo, che si temeva distorcente o soffocante in misura insopportabile. Lo spazio aperto da Qt diventava dunque doppiamente prezioso.

La periodicità era ancora quindicinale e imponeva un ritmo piuttosto assillante. Scorrendo la collezione si può misurare tuttavia la vitalità di quelle prime annate: dei 15 pezzi del 2006 gli autori sono 8, dei 21 del 2007 altrettanti, dei 16 del 2008 addirittura 11. Tra di loro una presenza significativa di giovani storici: Mirko Saltori, Paola Antolini, Elena Tonezzer, Alessio Quercioli. La varietà di temi e di autori non mi appare retrospettivamente come frammentazione, finché a dare coerenza - nei limiti di una rubrica giornalistica per quanto impegnata - c’era la regia di Quinto Antonelli, principale riferimento e autore nelle prime due annate di una decina di articoli di grande spessore e originalità.

Rileggiamo

Joseph Zoderer

Consiglio di rileggere, nel prezioso archivio in rete di Qt, testi come “Zoderer o dell’educazione cattolica” (2006/8), inquieto viaggio attraverso storie di formazione in collegi e seminari; oppure “Sul clero fuoco amico” (2007/3), rivisitazione di un nobile anticlericalismo di matrice cristiana, ai quali va accostato il più recente “Abba! Pater!”, il poema maledetto di don Giuseppe Maurina, suggestivo incontro con gli scritti di un prete anticonformista e marginale.

Antonelli non si acquieta nelle savie razionalizzazioni dell’attuale storiografia sul movimento cattolico, che tende in genere a valorizzare gli aspetti di modernità sociale e politica del laboratorio trentino: l’antico studioso di “Fede e lavoro” (il suo libro di esordio di trent’anni fa, dedicato a un periodico particolarmente rappresentativo della semina di stereotipi della propaganda cattolico-sociale) tiene ancora ben aperti i conti con quel modo di rappresentare la realtà e di conformare le vite, e lo fa affondando lo sguardo nei dolenti materiali biografici e autobiografici che emergono dagli archivi, senza accontentarsi di generalizzazioni storicistiche.

In una ideale antologia questi testi mi sembrano i più alti di tutta la serie, insieme ad alcuni degli articoli di Mirko Saltori sui militanti di base della sinistra comunista e anarchica. “Vite avventurose” (2006/21) è dedicato a sindacalisti rivoluzionari e anarchici tra il 1890 e il 1930; “I fratelli Bartolozzi” (2007/9), pur nella sua brevità, rappresenta uno dei migliori contributi sui comunisti che agirono in Trentino negli anni delle origini di un partito pochissimo studiato localmente e mai con la documentazione di prima mano frequentata da Mirko e con lo sguardo acuminato e partecipe insieme che ritroviamo in questo articolo, premessa di una più ampia ricostruzione di quella storia che dovrà pur fornirci, un giorno o l’altro. Il successivo “Riflessi trentini dell’ottobre sovietico” (2008/1), come già il denso ricordo di Antonio Piscel (2007/ 16) mostra esemplarmente quanto ci sia da fare per ricostruire la storia della sinistra in questa regione e fa intravvedere anche quanta determinazione volontaristica ci vorrà per farlo, ora che remoti si fanno gli anni in cui si avvertiva come compito culturale di prima grandezza la storia dei movimenti operai e popolari e delle correnti politiche che li hanno attraversati e alimentati. Anche a questo era dedicato uno dei più addolorati articoli che mi è accaduto di scrivere, quello in cui cercavo di legare la scomparsa di Walter Micheli alla prosecuzione collettiva del suo impegno per recuperare la storia dei socialisti trentini (“Un percorso non concluso”, 2008/12).

Arrivano i tirolesi

Walter Micheli

Gli anni successivi al 2008 vedono progressivamente affievolirsi la tensione collettiva di cui ho parlato, ma le collaborazioni rimangono significative. Emerge sempre di più la preoccupazione per l’affermarsi nel discorso pubblico di una tradizione tirolesista sostanzialmente estranea alla cultura trentina degli ultimi due secoli: nel 2009 compaiono due contributi autorevoli per quanto diverisissimi nello stile sull’anno hoferiano (Bellabarba e Ostermann); Antonelli fa il punto con severità della bizzarra operazione “misologica” sull’Inno al Trentino di Bittanti e Bussoli, mistificato come parodia di un preteso originario inno al Tirolo. L’importanza dell’oggetto del contendere è modesta, ma per la sua rilevanza simbolica la vicenda è rappresentativa di un clima di reinvenzione della storia che non trova sufficienti temperamenti e riorientamenti critici nel discorso pubblico prevalente.

Sfogliando gli arretrati, si può verificare peraltro che non ci siamo lasciati assorbire troppo da dispute di retroguardia, necessarie quanto mortificanti. Ancora qualche numero: 10 pezzi nel 2009 con 6 autori, idem nel 2010, 6 nel 2011 affidati a sole 3 mani. Tra le quali la più frequentemente utilizzata è quella di chi scrive, Fabrizio Rasera, autore di 23 pezzi sui 77 complessivi, 12 dei quali nelle ultime tre annate. Non si tratta di una produzione massacrante in sé: ma sono le condizioni mutate a svuotarla in qualche misura di senso. Impossibili per la selva degli impegni le discussioni preventive, troppo rari i riscontri dopo la stesura dei pezzi. Chi legge e cosa pensa chi eventualmente legge? È sempre più arduo captarlo, i sudati scritti viaggiano come messaggi in bottiglia sulle acque marine.

Guardo tuttavia con affetto a molte di quelle pagine, non voglio nasconderlo in questo congedo senza lacrime. Articoli come “Scene da una persecuzione. Rosminiani e antirosminiani a Trento” (2007/18), “Il ritorno del prigioniero” (2008/10), “Il romanzo di Antonio Salvotti” (2008/13), “L’Italia si desti” sul generoso quanto fragile tentativo di attingere al Risorgimento per risanare l’Italia di oggi (2010/10), “Cantieri dell’identità” (2011/2) li considero come tappe degne della mia non certo generosa ma onesta autobibliografia.

Mi capita di rileggerli con piacere e mi auguro sia possibile e interessante anche per altri, augurio che vale a maggior ragione per tutti i contributi comparsi in “Pro memoria”. Il titolo della rubrica dovrebbe portare fortuna e scongiurare che siano smaltiti nell’oblio, recuperabili come sono universalmente in un paio di rapidi clic.

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