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QT n. 11, novembre 2011 L’editoriale

Dove va la CGIL?

Costavano 49 miliardi di lire nel ‘98 gli 11 ettari dell’area Michelin per il Comune di Trento; Dellai, allora sindaco, sostenne che erano troppi e lasciò l’affare a una cordata di poteri forti all’uopo costituita; ad oggi l’ente pubblico si è accollato una serie di spese, dall’interramento di parte di via Sanseverino alla costruzione di un rialzo dell’argine, per una cifra ben superiore ai 25 milioni di euro allora richiesti; inoltre ha deliberato la spesa di altri 105 milioni per l’acquisto del Muse e di un centro congressi. In pratica il pubblico, che nel ‘98 non aveva voluto spendere 25 miliardi di lire per avere l’intero comparto, ne ha finora spesi molti di più per due pezzi di terreno e per le opere accessorie al nuovo quartiere. Ma non basta: siccome i ricchi di Trento gli appartamenti non riescono a venderli, la Pat accorre in soccorso comperandoli lei, per metterci degli uffici.

Costavano 17 milioni nel 2004 i terreni dell’Italcementi, sempre per il Comune di Trento; ma Pacher, allora sindaco, contro quanto aveva fin’allora affermato, contro il suo partito e contro gli urbanisti del Prg ma secondo i voleri di Dellai, sostenne “l’area non ci interessa”; l’acquistò l’Isa (finanziaria del vescovo), che la rivendette alla Federazione delle Cooperative che oggi, per 30 milioni, la rivende alla Provincia, che vuole spostarci delle scuole che starebbero bene dove sono.

Questi i fatti. Un travaso di soldi dalle casse pubbliche a quelle dei trentini facoltosi. Contro questo spreco protestano Cisl e Uil. Ma non la Cgil, che anzi si dissocia e rompe, questa volta lei, sul fronte della correttezza amministrativa, l’unità dell’azione sindacale. Cosa è successo?

Dellai ha confuso le carte. Ha fatto presentare da Patrimonio del Trentino una “relazione tecnica” in cui si sostiene che le sedi degli uffici provinciali hanno troppe spese di manutenzione e quindi, “per razionalizzare”, è meglio vendere gli edifici e comperarne di nuovi. Si possono vendere i vecchi per 54 milioni e acquistare i nuovi per 68: la differenza la si colmerebbe rapidamente, 6 milioni all’anno di risparmi, soprattutto energetici. A noi, che da anni seguiamo le acrobazie del potere provinciale, questo balletto vien da ridere: chi mai, se ha da fare lavori di manutenzione, ritiene conveniente vendere la casa? E la Pat poi, che sul mercato immobiliare compera sempre caro e vende a prezzi fallimentari! Ricordate l’ultima svendita, l’ex palazzina della Asl in piazza Venezia, ora affittata a caro prezzo dall’Università? E poi, come si può fare affari acquistando appartamenti di lusso per mettervi uffici? E intanto non si costruisce nell’area di via Romagnosi, un buco vuoto tra le due sedi centrali della Provincia, Piazza Dante e Centro Europa, di proprietà della Pat e che viene invece lasciata ai topi.

Insomma, i conti dell’ing. Bortolotti di Patrimonio del Trentino non convincono nessuno. A meno che uno non voglia essere convinto. La Cgil, appunto, che su questo si dissocia dagli altri sindacati. Con motivazioni inconsistenti: “Non sta al sindacato valutare le politiche immobiliari... in definitiva sono solo 60 milioni”. Ma come? Gli sprechi del pubblico denaro non interessano più? Il prevalere degli interessi dei privilegiati è una bazzecola? Come mai questa deriva?

Escludiamo che il segretario Burli e il suo gruppo dirigente siano degli sprovveduti, che si fanno intortare dal gioco delle tre carte di Dellai e Bortolotti. Sono anche avveduti abbastanza da conoscere i giochi di potere (e di soldi) che condizionano il Trentino.

Molte sono le letture che vengono date dell’accaduto. Propendiamo per una benevola. Il gruppo dirigente della Cgil dà un giudizio positivo del governo Dellai: per l’impegno e tempismo nell’affrontare la crisi, per l’enfasi su università e ricerca, per l’attenzione ai temi sociali, affrontati anche con strumenti innovativi. Tutti provvedimenti presi di concerto col sindacato che, oltre a ricavarne gratificazioni, si è visto riconoscere un ruolo nuovo e propositivo. È di qui che viene la difficoltà della Cgil a tornare a rivestire l’abito del critico contestatore delle cose che non vanno.

Secondo noi gli amici della Cgil sbagliano, soprattutto per due motivi. Anzitutto perché soprassedere sulle regalie ai poteri forti vuol dire scivolare verso una cultura le mille miglia lontana da quella dei lavoratori che si vogliono rappresentare. E il passaggio da rappresentanti degli operai a consiglieri del Principe sarebbe infausto.

Poi perché il grosso limite del dellaismo - e anche del Trentino attuale - consiste nella non più giustificata predilezione per gli interessi della lobby delle immobiliari e costruzioni, che ormai, oltre a ingiustizie, genera (vedi Debito della PAT: possiamo stare tranquilli?) crisi, insolvenze, disoccupazione, debito. Un sindacato che non riconosca questi temi come centrali abdica al suo ruolo.