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Non solo canzonette

Lucio Dalla: una persona per bene, ma non un perbenista. Da “Piazza Grande”, giornale di strada di Bologna.

Goffredo Fofi

Ho conosciuto fuggevolmente Lucio Dalla molti anni fa, dopo un concerto. Mi ero accostato al palco, in un parco milanese, e a concerto finito riuscii ad attaccare discorso. Gli parlai di un giovane militante politico post Sessantotto, Alceste Campanile, che lo venerava e che era stato ucciso poche settimane prima da un fascista; gli dissi che volevo conoscere il suo idolo per capire se meritava così tanta ammirazione. Dalla fu molto simpatico: “Vediamoci, vediamoci...”, ma come spesso succede non capitò più e oggi me ne dispiace molto.

Non mi piacciono i cantautori lagnosi, e tanto meno quelli che predicano le ribellioni alla moda per vendere di più, e ancor meno quelli che si prendono così sul serio da credere alle sciocchezze che proclamano nelle superficiali strofette messe insieme con l’aiuto di astuti parolieri o magari da soli. Lo scarto tra parole e azioni, tra chiacchiere e comportamenti è particolarmente agghiacciante in chi si dà arie di guru e di profeta, sia egli filosofo o prete, giornalista o cantautore. Mi pare anzi che perfino tra coloro che hanno pianto nei media la morte di Lucio Dalla questa fauna sia molto presente, capace al solito di mentire anche a se stessa.

Non è che io abbia mai pensato molto a Dalla, anche se l’ho spesso ascoltato e ne ho goduto, ma ecco che, alla notizia della sua morte, mi sono reso conto - e con me tanti - che la sua presenza mi/ci era cara, che lo stimavamo come un italiano non comune, un libertario che credeva in ciò che cantava e diceva. Un italiano raro, e anche un bolognese raro - in una città dove la cultura del ‘77, inizialmente ribelle ma facilmente recuperata dalle mode dell’università “creativa”, finì per sembrarci non meno retorica di quella del buongoverno comunista e del suo progressivo perbenismo piccolo-borghese, delle alleanze strategiche della sinistra con la borghesia agraria, palazzinara, massone. Dalla mi è sempre sembrato di un’altra pasta, di quella che spaventava i benpensanti ai tempi del “Diavolo al Pontelungo”, di quella che non recitava la diversità ma la viveva e soffriva e che cantava il bisogno impellente, salutare, di non accettare i modelli correnti, sostenuti dall’arte della menzogna e dell’automenzogna.

Sulla sua strada Dalla finì per incontrare il poeta Roberto Roversi - ma è ben noto che si trova solo ciò che si cerca, anche se questa lezione troppi giovani l’hanno dimenticata, abituati negli ultimi trent’anni a trovare e consumare solo quello che veniva loro offerto coperto dai lustrini e dalle perline con cui s’indorano le merci più guaste. Il confronto con Roversi fu il confronto con una Bologna e con un’Italia più nobili e più vere, o meglio, più esigenti, maggiormente bisognose di verità e di giustizia. Roversi era il poeta che aveva animato “Rendiconti” assieme a Pasolini (bolognese in gioventù) e a Franco Fortini, era il narratore di un’avanguardia austera e anticapitalista, e l’autore austero e lontano dalle luci della moda di “Registrazione di eventi”, dove la parola eventi aveva tutt’altro significato da quella assunta nella società della cultura-spettacolo. Di quello che hanno fatto insieme non si poteva dire che “sono solo canzonette”; la collaborazione con Roversi - non sempre perfetta - ha dato canzoni tra le poche comparabili a certi risultati della letteratura, ha permesso a Dalla canzoni all’altezza del miglior cinema (così raro), del teatro e del fumetto (altro vanto della città di Bologna).

Stefano Benni, altro bolognese di qualità, è stato, credo, più amico di De André che di DalIa, mentre io, nel mio piccolo, non mi sono mai imballato troppo per De André, mentre per Dalla qualche volta sì. Insomma, Lucio Dalla era, credo, una persona per bene, ma anche il contrario di un cantante perbenista. In un mondo di finti, mi è sempre sembrato, per quello che posso giudicarne, un uomo vero e un artista vero.

* * *

Goffredo Fofi, in gioventù seguace di Danilo Dolci, da sempre intellettuale impegnato, è saggista e critico teatrale e cinematografico. Ha contribuito alla nascita di riviste quali Quaderni piacentini e Ombre rosse.

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