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La lezione di un presidente diverso

Antonio Di Gregorio
Il presidente uruguayano José Alberto Mujica Cordano

Sono un vostro abbonato e mi piacerebbe che su QT si discutesse anche di come i suoi lettori vedono il futuro; in particolare vorrei che si parlasse di un mito vivente che, a mio modesto parere, può essere da bussola per le prossime elezioni politiche. Premetto che è ormai da tempo che non ho più il mito dell’eroe che risolve tutti i problemi dell’umanità e premetto anche che credo fermamente che agendo in comunità ognuno sia artefice del proprio destino; è tempo appunto che ognuno sia messo in condizioni di poter giudicare con cognizione di causa e di poter esercitare appieno il proprio ruolo di elettore. Vorrei che si discutesse di José Alberto Mujica Cordano, detto Pepe, presidente da due anni dell’Uruguay.

Nato a Montevideo nel 1935, sua madre era figlia di poveri emigranti piemontesi, suo padre era un agricoltore che fece bancarotta poco prima della morte. Negli anni Sessanta fece parte del movimento rivoluzionario marxista dei Tupamaros, che si ispirava alla revolución cubana. Fu arrestato nel 1971, durante la dittatura di Jorge Pacheco Aréco, e messo in prigione, in una cella senza luce e sottoterra nel carcere di Punta Carretas, l’Alcatraz del Sudamerica, dove è rimasto fino al 1985, quando, uscito di prigione, si dedicò all’attività del Movimento de partecipaciòn popular (Mpp). Eletto deputato nel 1994 e poi senatore nel ‘99, nel 2005 divenne ministro per il Frente Amplio, una coalizione che dal 2004 ha la maggioranza elettorale. A novembre del 2009 è stato eletto presidente della repubblica.

Dal momento della sua elezione non ha voluto nessuna scorta o alcun privilegio. Devolve il 90% del suo stipendio al Fondo Raul Sendic, un’istituzione che aiuta lo sviluppo delle zone più povere dell’Uruguay attraverso la costruzione di abitazioni con acqua e luce.

Non vive nel palazzo presidenziale nel centro di Montevideo, ma nella sua casa di campagna, a circa 30 km dalla capitale, dove coltiva crisantemi e alleva mucche e galline. La casa è di proprietà della moglie Lucia Topolansky, anche lei senatrice ed ex guerrigliera; questa abitazione è stata definita “una spelonca”, dal concorrente alla presidenza nel 2009, Luis Alberto La calle, ma Pepe si ostina a riceverci i capi di stato in visita a Montevideo.

Facendo il contadino è diventato un esperto dei problemi dell’agricoltura e dell’economia uruguaiana, fondata appunto sull’allevamento del bestiame e sull’agricoltura. Sostiene che “un vero capo di stato dovrebbe accontentarsi di quello che hanno gli altri cittadini, soprattutto quelli più poveri”.

Non è un eccentrico miliardario prestato alla politica, o come qualcuno di nostra conoscenza, sceso in campo per difendere i propri interessi o le proprie porcate.

Non è nemmeno un esibizionista, tanto che Mujjca non reclamizza né la povertà né la sua austera condotta, ma è un esempio di buona politica che noi possiamo indicare al popolo italiano, che si accinge a scegliere la propria classe dirigente, come un esempio di coerenza tra il dire ed il fare e come emblema delle qualità che si devono avere per poter aspirare ad essere classe dirigente: onestà, capacità, coerenza, spirito di servizio.

Lo so che di questi tempi è come chiedere l’impossibile, ma lasciatemi la speranza di poter dare un contributo al miglioramento dell’indecente spettacolo che è sotto i nostri occhi ogni giorno.

Commenti (1)

luigi48

Condivido sia l'analisi che il messaggio alla nostra classe politica che, a questo punnto facendo la scelta di ridurre i costi per il proprio mantenimento, ne intesterà il merito ad un " leader" ambiguo come Grillo. Mi chiedo se il primo " ex comunista" al Quirinale avesse a sua volta mandato un messaggio simile a quello del Presidente dell'Uruguay al nostro Paese che giovamento per una politica più " ricca" e partecipata. A volte di gradualismo e troppa prudenza si muore...
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