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QT n. 9, settembre 2013 Monitor: Musica

Il Cunto

Il rac-cunto di Mimmo Cuticchio

Mimmo Cuticchio

In effetti, di primo acchito, il volo sembra un po’ pindarico. Da Mozart al cunto siciliano il passo non è immediato. Il fil rouge vuole essere quello della voce, tema della ventiseiesima edizione del “Festival Mozart”: e allora piace anche per una volta non essere didascalici e dalla musica del compositore salisburghese arrivare in maniera un po’ arbitraria alla tradizione sicula di questa particolare modalità narrativa, erede del passato dei cantastorie d’antica tradizione, imperniata sul racconto delle gesta epiche degli eroi dell’epopea carolingia, in una lingua ibrida tra italiano e dialetto siciliano.

Mimmo Cuticchio, puparo e cuntista, è l’erede più rinomato di questa tradizione popolare di strada, che lui ha voluto portare anche in teatro, fondendo il mondo dei pupari con quello dei cuntastorie: nel cortile di Palazzo Alberti, a Rovereto, ci narra così delle vicende di Orlando e Gano di Magonza, Rinaldo e Bradamante. L’aspetto musicale del cunto lo ritroviamo dunque nella particolare tecnica declamatoria, dove la voce narrante, protagonista solista e indiscussa della perfomance, si fa strumento e si modula in molteplici sfumature e sfaccettature: così la voce di Cuticchio è l’imperioso Carlomagno, il traditore Gano, lo spaurito Rinaldo, il richiamo del corno e l’omnisciente narratore. E nel climax della narrazione, sui punti più salienti delle vicende, affiora l’aspetto più notevole del cunto, quella tecnica declamatoria dove tutto il testo diventa ritmo e battiti di piede e colpi di spada (l’unica compagna sul palco con il cuntista) che fendono l’aria come in battaglia, in una metrica disarticolata dove il respiro interrompe le parole per far ricominciare la narrazione sulla loro ultima sillaba.

Interessante scoperta, questa del cunto, e certo vanno perpetuate e valorizzate le tradizioni popolari che purtroppo stanno lentamente e inesorabilmente scomparendo; forse però nel loro contesto originario tali tradizioni vanno mantenute, a ricreare quell’atmosfera incantata che è il racconto del cantastorie per strada.

Noi, a dire la verità, non abbiamo trovato così avvincente la narrazione, teatralmente parlando, nonostante le potenzialità musicali della voce cuntista: vicende complesse che forse necessitavano di una maggiore cesellatura vocale per mantenere vivida l’attenzione dello spettatore; una componente di improvvisazione non ben gestita, con alcuni evidenti momenti di incertezza; un audio pessimamente controllato e gestito dal punto di vista tecnico, soprattutto nella prima parte.

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