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QT n. 1, gennaio 2014 Monitor: Cinema

BLUE Jasmine

Un atto d’accusa

“Blue Jasmine” di Woody Allen è una di quelle sue commedie serie, morali.

Al contrario di altre in passato più riuscite (“Crimini e misfatti” su tutte), è forzatamente schematica e prevedibile. Eppure... Eppure il film ha una forza che lo rende attraente, potente, angosciante.

Di che parla questa storia che fa rincontrare due sorelle adottate che vivono ai lati opposti degli Usa, sia geograficamente che economicamente, e che più diverse non potrebbero essere? Quella ricca, snob, stronza e patetica, è il male e allo stesso tempo vittima di se stessa. Quella povera è una poveraccia con nessuna autostima, che si accontenta di una vita mediocre senza aspirazioni e dell’amore di un suo pari.

Incontro destabilizzante e non proficuo per nessuno. Così come deve essere in questi casi, non c’è via d’uscita. Nessuna vera tragedia però, solo la miseria esistenziale che regna sovrana. Qui il male non vince, come nei migliori drammi di Allen. Ma neanche il bene, in fondo. Ecco perché si esce dal cinema con una sensazione forte di avvilimento e sconforto. Perché è un film avvilente e sconfortante. E stiamo parlando delle sue migliori doti.

“Blue Jasmine” è il ritratto di una donna che è un falso totale, solo superficie, forma, educazione, estetica, e non vuole, non è capace, non può vedere altro. Una donna che davanti alla tragedia di diventare improvvisamente povera (nella quale coinvolge anche tutti gli altri che gli stanno vicini), non vede, non capisce, non prende coscienza, non si scusa, non cambia e migliora, ma prosegue ottusamente nel suo modo di essere, sa solo drogarsi e illudersi per arrivare alla prossima recita che le permetta continuità di sopravvivenza. Naturalmente quando è in crisi cerca aiuto dai più miserabili, li usa, li spreme, li illude e poi li molla per tornare ad essere la merda che è. Personalmente ci ho visto la metafora del capitalismo Usa della crisi: falso, appunto, sofisticato, egoista, ignorante, truffatore, cieco, ottuso, ingiusto, ingrato, immutabile, predestinato...

Ma se questo mondo, questo sistema semina male, anche i poveri si accontentano di raccogliere ben poco: misera sopravvivenza individualista con un rozzo amore per la sorella, e fuga e rinuncia per il figliastro, condannati ad essere comparse minori sullo sfondo del mondo e della vita.

Insomma un film che anche se non convince del tutto nella struttura a tema piuttosto risaputa, è comunque un atto d’accusa lucido e impietoso, pessimista e disturbante come nessuno di questi tempi. Chi altri in Usa può permettersi di fare un lavoro così con la Warner Bros e attori del calibro di Cate Blanchett (da Oscar la sua schizofrenia) e Alec Baldwin? Solo Woody, e l’ha fatto.

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