Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Cose mai viste

Venezia 2015

Festival di Venezia 2015, 72a Edizione. Non una delle più eclatanti, ma sempre un viaggio nel mondo, nelle sorprese, nelle cose mai viste e in questo comunque interessante.

Si era mai visto un lungometraggio nepalese? No, e “Kalo Pothi” (La gallina nera) di Min Bahadur Bhan è in assoluto il primo presentato al Festival di Venezia. Conseguentemente forse anche il primo mai apparso alle latitudini occidentali. Siamo alle solite, ristrettezza di mezzi e libertà formale. Soprattutto poesia surreale e in trasparenza il realismo sconosciuto della divisione delle caste, che l’amicizia tra due ragazzine adombra ma tende anche a superare; della guerra civile tra l’esercito civile e i rivoluzionari maoisti che ha dilaniato il Nepal e porta via i giovani del villaggio; della mancanza di una madre sublimata dal legame con una gallina che diventa la speranza di poter raggranellare quattro soldi per fare studiare la sorella più grande. Ma la gallina viene venduta dal padre e i ragazzi devono metterci tutto il loro ingegno per riappropriarsene. Il piccolo diventa grande: la microstoria uno scenario dai risvolti drammatici, i giovani protagonisti tenaci canaglie, le immagini, a tratti, poesia surreale. Il film vive in un equilibrio neorealista-fantastico lontano dagli stilemi del cinema odierno, mescolando semplicità, ironia, tenerezza, malinconia.

Si era mai visto un film danese sulla guerra in Afghanistan? No, e “Krigen” di Tobias Lindholm è interessante proprio perché offre uno sguardo diverso su questo scenario da quello Usa. Claus Pedersen è un brav’uomo e bravo padre di famiglia. Di mestiere fa il comandante di compagnia ed è bravo pure in quello. Solo che sta in Afghanistan, dove c’è una guerra, e in un conflitto a fuoco prende una decisione sbagliata. Torna in patria e finisce sotto processo. Colpa sua e sensi di colpa, tutto si rivolta e rimescola dentro e fuori il comandante Claus. Un compagno lo salva dalla galera, la famiglia forse da se stesso. E sotto dura accusa finisce la guerra che distrugge case, famiglie, legami, coscienze, reputazioni, senso e sentimenti sia dove si combatte che dove si ritorna. Pochi muscoli ed effetti speciali per una narrazione secca e precisa, che affonda nel cuore delle identità e delle responsabilità che finiscono per allargarsi dal personale al collettivo, dal sé alla società.

Si era mai visto un film israeliano che accusa tutta una parte della propria società dell’omicidio di Yitzhak Rabin? No, e solo Amos Gitai avrebbe mai potuto fare un film come “Rubin, the last day”. Un film bello e particolare, che attraverso filmati originali e parti sceneggiate risale all’origine di una tragedia tanto drammatica quanto simbolica nella sua dimensione politica. Il film ricostruisce l’esistenza di un mondo oscuro e terrificante che ha reso possibile questo atto tragico. Una sottocultura di odio alimentata da una retorica isterica, dalla paranoia e dagli intrighi politici. Un atto d’accusa documentato e durissimo nei confronti del radicalismo religioso che produce, nelle sue varie forme, antagonismi e violente giustificazioni integraliste.

Si era mai visto un film venezuelano vincere il Leone d’Oro. No, e invece è successo con “Desde allá” (Da lontano) di Lorenzo Vigas. Vittoria forse non con pieno merito, ma nemmeno con demerito. Armando, benestante di mezza età, adesca giovani con il denaro. Non vuole toccarli, ma solo vederli da vicino. Segue anche un uomo più anziano con il quale sembra aver avuto una relazione traumatica. Un giorno Armando incontra il giovane Elder, teppista violento che gli fa visita per interesse, ma con il quale nasce anche un’intimità inattesa. Il sesso non c’entra e l’amore non salva quando i tormenti sono troppo profondamente radicati. Vince solo l’anaffettività, l’individualismo obbligato, l’indifferenza. Un film duro, come ne arrivano ultimamente dall’America del Sud, che mostra le distanze tra classi sociali, la complessità dei sentimenti, le angosce dell’esistenza violata. Forse però non così riuscito ed emblematico da giustificare la vittoria al Festival.