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La nuova Tunisia

I sorprendenti risultati della “rivoluzione dei gelsomini”; e i problemi ancora irrisolti. Da “Una Città”, mensile di Forlì.

Bochra Belhaj Hmida - A cura di Bettina Foa

Dopo la “primavera araba”, la Tunisia è nel pieno della formazione delle nuove istituzioni: abbiamo un parlamento eletto, un presidente eletto, un governo di coalizione. Abbiamo inoltre istituito la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura, tutte novità per la Tunisia, nate con la rivoluzione del 2010-2011. Stiamo facendo progressi anche nella battaglia per i diritti umani, ad esempio è stato creato un organismo di prevenzione della tortura. A livello istituzionale abbiamo ottenuto risultati sorprendenti per un paese che non rispettava i diritti umani e non aveva vere istituzioni democratiche da dopo l’indipendenza. Ora c’è bisogno che tutto questo funzioni in piena autonomia e sia capace di difendersi dalle spinte retrograde. Molti infatti provano nostalgia per i privilegi perduti.

La Tunisia è considerata un paese all’avanguardia nella tutela dei diritti delle donne, uno dei primi a dotarsi di un codice della famiglia: il codice dello statuto personale, risalente al 1956, è un codice all’avanguardia nel mondo arabo. In primo luogo prevede l’abolizione della poligamia. Poi sancisce l’uguaglianza tra donne e uomini nel matrimonio e nel divorzio. Anche sull’eredità ci sono delle norme che tutelano i diritti delle donne. Non dimentichiamo che negli altri paesi arabi una ragazza, se i genitori muoiono, non può ereditare da sola, deve far riferimento a un tutore maschio.

Nel 2011 la Tunisia ha sciolto le ultime riserve sulla Cedaw, la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, con l’affermazione dell’uguaglianza all’interno della famiglia. La carta era stata ratificata nel 1985, ma con delle riserve in riferimento in particolare alla famiglia. Ebbene, nel 2011 queste riserve sono state ritirate; è un passo avanti molto importante, così come è importante che nella Costituzione si parli esplicitamente di parità.

La battaglia riguardava la formula per cui la donna sarebbe “complementare” all’uomo; il dibattito ha riempito le strade e le piazze e la discussione era appunto tra uguaglianza e complementarità. Ci sono state manifestazioni straordinarie con decine di migliaia di donne e uomini uniti contro il concetto di complementarietà. Ha vinto l’uguaglianza.

Abbiamo dovuto combattere anche il tentativo di alcuni di inserire riferimenti alla sharia. Di nuovo siamo scesi in strada, non perché i tunisini non siano musulmani, ma perché la sharia è qualcosa che va da Bin Laden e Daesh fino ai riformisti. Di cosa parliamo allora? Non esiste un corpus islamico condiviso da tutti i musulmani, quindi basta che ci sia un giudice retrogrado per entrare in una logica che non ha niente a che vedere col diritto positivo.

Dopo aver ottenuto la parità nella Costituzione e in parlamento (attualmente ci sono 73 deputate donne), ora stiamo esaminando la legge sulle elezioni municipali: anche qui la metà dei capilista devono essere donne. Oggi le donne sono attive nelle associazioni, nei partiti politici, nei sindacati, nelle organizzazioni per i diritti dell’uomo e però restano lontane dai posti di decisione.

È questa la battaglia che ci aspetta. Il governo sarà responsabile di una sorta di monitoraggio per verificare che le donne non siano private di posti decisionali a causa del loro sesso. Se questo organismo funzionerà sarà veramente una buona cosa.

Un problema irrisolto è quello della condizione giovanile. Se giovani di qualsiasi livello sociale e di qualsiasi area geografica si avvicinano a Daesh è perché si sentono marginalizzati e perché lì ottengono tre cose di cui si sentono privati: i soldi, il potere e il sesso. I giovani sono frustrati sul piano delle libertà individuali; sul piano materiale hanno dei diplomi ma non lavorano e quando lavorano ricevono un salario da miseria. Infine non hanno alcun potere. Vedono che è sempre la stessa generazione che governa. Se dopo la rivoluzione le donne sono riuscite a ottenere dei diritti, i giovani per ora non hanno ottenuto granché.

Altro grave problema è lo stato dell’economia. La Tunisia vive di turismo e dopo gli episodi di terrorismo il settore è in caduta libera. La situazione non è mai stata così difficile: il paese si sta indebitando, ma non c’è produzione, il debito serve per rispondere ai bisogni dei tunisini, per i salari, e non c’è alcun investimento. Proprio la criticità della situazione ha giustificato l’attuale iniziativa del presidente della Repubblica per un governo di unità nazionale abbastanza forte per mettere in opera le riforme fondamentali per l’economia e il sociale.

Oltre al turismo, la Tunisia vive di agricoltura, che però è piuttosto arretrata, e poi ci sono i problemi delle terre collettive di proprietà statale, spesso abbandonate o gestite male. Il risultato è che importiamo prodotti agricoli, mentre potremmo essere quasi autosufficienti. Si stanno facendo anche progetti per far sì che le persone non siano costrette a trasferirsi in città, ma sono programmi recenti, di cui ancora non si vedono i risultati.

Musulmani e laici

L’ex presidente Ben Ali, deposto nel gennaio 2011.

Dopo la rivoluzione si è verificato uno strano fenomeno. In qualche modo i democratici progressisti si sono dovuti accreditare nel campo degli islamisti. Siccome venivamo accusati di essere atei, occidentalizzati, gente senza morale, eccetera, abbiamo dovuto spiegare che non era vero, che anche noi siamo musulmani, ma laici. Ora sta succedendo il contrario, cioè sono gli islamisti che vogliono essere accreditati presso di noi. Ci dicono: “Ma perché quando parlate di progressisti ci escludete? Anche noi siamo progressisti”.

Questo cambiamento è importante. All’inizio della rivoluzione c’era una forte autocensura nell’area progressista, mentre i più conservatori avevano libero sfogo. Non potete immaginare come i giovani più conservatori si sentissero liberi e come noi invece ci sentissimo minacciati. Io ho vissuto per tre anni con una guardia del corpo. Tanta era stata la violenza contro di noi che eravamo caduti nell’autocensura. Ora sembra che le cose stiano cambiando.

Certo è sintomatico che gli islamisti non osino più presentarsi come i garanti dell’Islam. Un ideologo del fondamentalismo islamico come R?shid al-Ghann?sh? è arrivato a dire: “Non abbiamo più paura per l’Islam in Tunisia”. I tunisini sono in armonia con la loro religione, non hanno bisogno di un intervento politico nella relazione con la loro religione, col Corano. Almeno questo l’hanno capito.

In un primo tempo Ennahdha (il partito islamista moderato) ha flirtato con gli estremisti: c’è stato un tentativo di recuperare i salafiti e certi gruppi che poi sono stati classificati come terroristi dallo stesso ministro degli interni di Ennahdha. Si è provato a cooptarli, anziché combatterli. Penso ad Ansar-al Sharia, che era stato autorizzato a tenere un congresso e dopo qualche mese era nella lista nera. Pensavano di poter recuperare gruppi in realtà irrecuperabili. Alla fine infatti c’è stata una rottura tra la maggioranza dei membri di Ennahdha e queste figure.

Il nostro paese sta facendo un lavoro straordinario contro il terrorismo, soprattutto con gli scarsi mezzi di cui disponiamo: ogni giorno vengono individuati gruppi, sventati attentati, si susseguono gli arresti. Detto questo, ci sono state molte esagerazioni, il clima non è pesante come è stato raccontato. Si passeggia per Tunisi come in qualsiasi capitale europea. La società civile europea dovrebbe incoraggiare le persone a visitare questo paese, a fare del turismo impegnato.

Più liberi, ma la corruzione...

L’attuale presdiente Beji Caid Essebsi.

Lo spazio democratico si è enormemente ampliato, la situazione è incomparabile rispetto a prima. Oggi c’è una libertà di espressione e di associazione mai vista. Anche i media conoscono una libertà che non osavano nemmeno sognare. Se Ben Ali è rimasto al potere per 23 anni imponendo un regime totalitario, è stato anche perché i tunisini erano complici. Ma la rivoluzione ha dato ai cittadini la sensazione di poter cambiare le cose, di esserne capaci, la percezione di avere una forza che non sospettavano. Prima della rivoluzione contavamo cinque associazioni autonome, oggi ce ne sono centinaia impegnate sui giovani, contro la corruzione, la povertà, la marginalizzazione.

Rimane un punto dolente: la corruzione. La lotta alla corruzione era uno degli slogan della rivoluzione. Le persone sono scese in strada anche perché non ne potevano più dei traffici della famiglia e della cerchia del presidente della Repubblica. Era uno degli obiettivi principali, su cui si sarebbe dovuto cominciare a lavorare fin dal giorno dopo la rivoluzione.

Purtroppo le cose non sono andate così. Nulla è stato fatto, né a livello legislativo, né politico. Il presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi ripete che il governo deve mettere come priorità la lotta alla corruzione, oltre che contro il terrorismo, ma a cinque anni dalla rivoluzione troppo poco è stato fatto. Ben Ali aveva il controllo della situazione, deteneva tutte le informazioni, i dossier e quindi era in grado di intervenire quando lo riteneva necessario. Con lui la corruzione paradossalmente era più circoscritta. Oggi invece i tunisini pensano che siano tutti corrotti. Per questo mettere in campo una vera lotta contro la corruzione è urgente. Se il governo non si impegna con tutti i mezzi a disposizione, se il parlamento non legifera, dando degli strumenti efficaci alla giustizia, rischiamo non solo di far affondare l’economia, ma di allontanare i cittadini dalle istituzioni.

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Bochra Belhaj Hmida, avvocata, è stata impegnata nel sindacato e nel movimento femminista e democratico; ha partecipato alla fondazione della Association tunisienne des femmes démocrates (premio Alexander Langer 2014) e della Association des femmes pour la recherche et le développement ed è stata eletta in parlamento col partito laico Nidaa Tounes.