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QT n. 3, marzo 2017 Trentagiorni

Il bulletto e l’elettore

Lorenzo Baratter

Il caso di Lorenzo Baratter ha segnato l’ennesimo punto di frizione tra la cultura del personale politico e quella dell’elettorato. Il caso è noto, e lo riassumiamo in due righe. In previsione delle ultime elezioni provinciali il candidato Baratter, del Patt, sottoscrive con presidente e vice degli Schützen, Paolo Dalprà e Giuseppe Corona, un accordo, in base al quale il candidato, se eletto, avrebbe versato agli Schützen 500 euro al mese, cosa poi effettivamente avvenuta, per un certo tempo.

Aggiornamento in data luglio 2020

La vicenda giudiziaria che ha visto protagonisti Lorenzo Baratter, Paolo Dalprà e Giuseppe Corona, ha avuto un esito giudiziario che è doveroso segnalare.

Corona e Dalprà, condannati in primo grado a 5 mesi come da noi riportato, sono poi stati assolti in appello con sentenza diventata irrevocabile il 12/3/2019, dal reato di corruzione elettorale, in quanto “il fatto non sussiste”.

Di tale assoluzione ha usufruito solo indirettamente il coimputato Lorenzo Baratter, che aveva preferito evitare il processo con un patteggiamento. Infatti già nel 2017 aveva scontato i 160 giorni di pena detentiva sotto forma di Lavoro socialmente utile presso la Onlus Anfass, e versato 1000 euro di risarcimento a favore della Commissione di Venezia che si occupa di verificare la regolarità del voto. Al termine di tale percorso, il 30/5/2017 il Tribunale di Trento aveva prosciolto Baratter dichiarando estinto il reato “per positivo superamento del periodo di messa alla prova”.

Venuta a galla la vicenda, il furbo Baratter ha pensato bene di schivare il conseguente processo per corruzione elettorale, proponendo ed ottenendo la messa in prova presso un’associazione di volontariato (l’Anfass); mentre i più ingenui Dalprà e Corona, processati con rito abbreviato, sono stati riconosciuti colpevoli e condannati a 5 mesi, e al risarcimento di 3000 euro al deputato 5 stelle Riccardo Fraccaro, costituitosi parte civile.

Insomma, il giudice ha confermato che impegnarsi “in caso di elezione, a versare a titolo di contributo volontario la quota mensile di 500 euro” in cambio del “pieno sostegno” alla propria candidatura, costituisce corruzione elettorale. Cosa che, forse, non era così pacifica dal punto di vista giuridico (la Procura della Repubblica aveva prima chiesto l’archiviazione, e in aula il PM l’assoluzione); ma che a noi sembra lapalissiana dal punto di vista politico. E del buon senso.

Contro il buon senso – quello degli elettori – è infatti andato a cozzare il Patt. I due leader del partito, il presidente della Giunta provinciale Ugo Rossi e soprattutto il segretario, on. Franco Panizza, hanno ripetutamente cercato di minimizzare il fatto, derubricandolo a semplice “ingenuità”.

E che ingenuità ci fosse, anzi di più, autentica dabbenaggine a sottoscrivere un documento del genere, non ci pare dubbio. Ma la cosa non ci sembra un’esimente, ma al contrario un’aggravante: se i nostri rappresentanti nelle istituzioni non solo sono dei traffichini, ma anche dei babbei, non è che ci guadagniamo.

Così il Patt si è trovato a dover fronteggiare il dissenso del proprio stesso elettorato; per di più sotto il fuoco incrociato delle opposizioni, a cominciare dai 5 stelle; e le pressioni, palesi e interessate, degli alleati Pd e Upt, pressati a loro volta dal proprio elettorato, e che non volevano lasciar perdere l’occasione per regolare qualche conto con il troppo ruvido Presidente della Giunta.

Il risultato è stato che, dopo il rinvio a giudizio, Baratter è stato “convinto” a dimettersi da capogruppo in Consiglio provinciale, e dopo la condanna a dimettersi dal gruppo consiliare autonomista, per passare a quello misto. Dimostrando “grande senso di responsabilità” - ha chiosato il solito Panizza.

In realtà di “senso di responsabilità” Baratter ne ha zero. Conosciuta la sentenza e le denunce delle opposizioni, aveva commentato sul profilo Facebook con la brutale vignetta che pubblichiamo. Poco scusabile in un bulletto delle medie inferiori, indecente in un rappresentante delle istituzioni, testé beccato a manomettere la competizione elettorale.

Non sappiamo se Baratter abbia capito la gravità, la volgarità del suo gesto; di sicuro la hanno capita i suoi avvocati, che gliela hanno fatta togliere; anche perché nel frattempo Fraccaro ha chiesto al Tribunale di rivedere la decisione della messa in prova, visto che il Baratter non dà segno alcuno di resipiscenza.

Il caso in realtà non è chiuso. Sia perché il semplice passaggio al gruppo misto viene visto dalle opposizioni come una soluzione di mera facciata. Sia soprattutto perché ha segnato, e probabilmente continua a segnare, una nuova frattura con l’opinione pubblica; e una stridente incapacità del Patt a gestire l’attuale situazione.

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