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QT n. 11, novembre 2017 L’editoriale

Imbrogli e bugie

Uno dei nodi cruciali per il buon funzionamento di una democrazia è la selezione della classe dirigente che dovrà governare la cosa pubblica secondo i vari livelli amministrativi, dal Comune al Paese. Ancora prima troviamo la selezione dei candidati alle elezioni, da cui scaturiranno i nomi dei rappresentanti del popolo a cui affidiamo l’onore e l’onere di decidere sui vari aspetti della vita collettiva.

La scelta dei candidati non può seguire le regole di una scienza esatta. La realtà presenta contraddizioni e oscurità: l’emergere di una leadership segue strade tortuose, talora poco trasparenti, che possono premiare i più spregiudicati e arrivisti. Nel passato sono state spesso premiate persone veramente capaci, con alle spalle una professione, un’educazione politica, una cultura: persone che magari avevano attraversato momenti difficili, che avevano sperimentato l’esilio e la galera per le loro idee. Nel dopoguerra la classe dirigente era scaturita dalla Resistenza. Poi, nel bene e nel male, si erano formati partiti forti, con una reale partecipazione dei cittadini, e che riuscivano a selezionare una classe dirigente all’altezza. C’erano le correnti, le cordate, i colpi bassi, le vendette, la compravendita dei seggi, ma ugualmente i partiti riuscivano a vagliare le candidature, a valutare l’operato dei loro rappresentanti nelle istituzioni.

Di tutto ciò non esiste più nulla. I partiti sono semplici somme di individualità. In Italia, dopo il crollo dei partiti tradizionali avvenuto ormai quasi 25 anni fa, qualcuno aveva proposto soluzioni innovative come potevano essere primarie serie, regolamentate per legge, obbligatorie per tutti. Quest’idea nasceva dalla consapevolezza di dover coinvolgere i cittadini nella scelta dei candidati. Berlusconi non aveva di questi problemi: pescava i candidati dalle sue aziende o dalle amicizie. La sinistra invece – erede di un partito di massa – si vantava di essere più democratica e più vicina al popolo. Le primarie organizzate dal centro sinistra guidato da Prodi furono un esperimento positivo, poi cestinato dalle solite guerre intestine.

Non stiamo qui a raccontare l’inarrestabile involuzione del quadro politico di questi ultimi anni. La parabola del PD tocca il punto più basso in quel rito stanco che sono state le ultime “primarie” per la rielezione del disastroso segretario che ha nome Matteo Renzi. Il popolo chiamato al plebiscito sul “pirata” fiorentino non ha fatto che ratificare, per stanchezza, decisioni prese, anch’esse per stanchezza, altrove. Dove? Nel corridoi dei palazzi del potere, in circoli opachi, secondo logiche incomprensibili.

La nuova legge elettorale sequestra la scelta delle candidature affidandola ai capibastone locali e nazionali. Il cittadino non ha modo di esprimersi. La possibilità di dare le preferenze poteva essere una via percorribile, anche se non esente da criticità. Tolte le preferenze, occorreva un altro modo per coinvolgere i cittadini. Ma niente, ogni via è sbarrata. Cosa rimane allora? Il gioco dell’oca dei soliti noti, la spartizione delle poltrone fra gruppi di potere, il rincorrersi delle voci sui possibili candidati che in fondo sono sempre loro, gli stessi, interscambiabili come le figurine dei calciatori. Così in Trentino: il problema è capire come garantire un posto a Dellai, come trovare le donne necessarie per soddisfare le quote, dove mettere gli assessori provinciali bolliti, come togliersi dai piedi alcuni personaggi ingombranti. Valutazione sulle effettive capacità dei papabili? Scherziamo? La questione sono gli assetti interni alla coalizione! Tradotto: dobbiamo dividerci le careghe, stabilire col bilancino gli organigrammi per le politiche e per le provinciali.

Rattrista leggere alcuni ragionamenti di Alberto Pacher che sancisce questa situazione grottesca. In un’incredibile intervista al Corriere del Trentino il 27 ottobre, l’ex sindaco di Trento ed ex presidente della Provincia si supera in un doroteismo da manuale mandarino. Pacher rimpiange i tempi in cui i partiti erano in grado di “investire sul futuro”, cioè la DC su Dellai e il PCI su di lui… A parte la ricostruzione storica alquanto edulcorata, ci vuol coraggio a dire che da quella scelta è “nata e cresciuta una classe politica”. Dellai ha costruito una “classe politica” oltre se stesso? La risposta è ovvia: quella fase politica di 25 anni fa ha lasciato il vuoto.

Non è finita: Pacher liquida anche le primarie: “Un presidente uscente non può passare attraverso le primarie”. Quindi si riconfermerà Rossi? No, oppure sì, oppure forse… in politichese il principio di non contraddizione non esiste. Pacher è un campione di questa logica surreale: “La coalizione deve rinforzare il ragionamento di fondo del proprio essere collettivo”. “La coalizione ha bisogno di ritessere la trama fra le sue tre gambe principali”.

Questo vuoto pneumatico è soffocante. I cittadini vorrebbero essere protagonisti, avere uno spiraglio per contare qualcosa. Ma dalle forze politiche che si autodefiniscono “responsabili” non giunge nulla, se non banalità, chiusura, fumo, parole capziose, imbrogli e bugie.