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QT n. 12, dicembre 2017 Servizi

LaVis: l'insostenibile peso del passato

La verità sui conti e i tentativi di rinascita

Il caso LaVis sui giornali locali

“LaVis, più soldi per i soci”. “I vignaioli di LaVis tornano a brindare”. “LaVis, nel 2018 saremo fortissimi” - trillano giulivi L’Adige e il Trentino; meno plaudente e più realistico (non è una novità), il Corriere smorza: “LaVis tenta di risalire la china”.

Non vogliamo fare i sapientoni e quindi non insistiamo più di tanto sui ricorrenti facili entusiasmi delle pagine economiche dei nostri quotidiani. Diciamo che la realtà ci sembra decisamente diversa. Infatti i dati non sono positivi. Il bilancio 2016-17 chiude con una perdita di 1.645.000 euro. I debiti sono ancora a 80 milioni. Ma soprattutto la revisione sottolinea altri aspetti preoccupanti. Il revisore non concorda con tutta una serie di scritture contabili e ritiene il patrimonio netto sovrastimato di 3,675 milioni.

Inoltre contesta la correttezza di altre partite: ad esempio il terreno di Casa Girelli è valutato come se fosse (pregiata) area edificabile, ma invece è – nelle destinazioni urbanistiche come nella realtà – area industriale, né esiste un piano di dismissione (per fortuna, sarebbero 53 dipendenti a spasso), né progetti di spostamento. Sommando questi importi che il revisore ritiene sicuramente sopravvalutati, abbiamo altri 12,7 milioni ritenuti “incerti”. Insomma, su un patrimonio di cinque milioni e mezzo, 3,7 vengono ritenuti fasulli, e altri 12 discutibili. Conclusione: la società in realtà non ha più patrimonio.

Il caso LaVis sui giornali locali

C’è poi un altro aspetto allarmante: una “incertezza significativa rispetto alla continuità aziendale” che, tradotto in parole povere, vuol dire che la società è a un passo dal fallimento. Il perché viene con grande trasparenza descritto nello stesso bilancio.

Pietro Patton

Nel febbraio dello scorso anno, l’allora presidente della società avv. Girardi aveva concordato con i creditori (banche e Isa) un piano di risanamento, con dilazioni dei termini di pagamento. Ma il nuovo cda (presidente Pietro Patton) nel corso dell’ultimo esercizio ha riscontrato “l’impossibilità di rispettare quanto prescritto nel piano di Risanamento”. La LaVis, cioè, non riesce a pagare i debitori secondo i termini concordati. Forse Girardi era stato poco realistico, forse il “risanamento” non procede come aspettato, forse ci sono (vedremo poi) altre magagne. Sta di fatto che la LaVis non ce la fa. Di qui un altro incontro con i creditori e la stipula di un altro accordo: di “stand still” (letteralmente: stare fermi) fino al 31 marzo 2018. Fino ad allora la Cantina non pagherà e le banche non pretenderanno che paghi, né avvieranno azioni legali per farsi pagare (e se le avessero avviate, dovranno abbandonarle). Si redigerà un nuovo Piano, con pagamenti maggiormente rateizzati.

Come si vede, la Cantina ha l’acqua alla gola, sta annaspando. Le banche, per non perdere tutto, sembrano disposte a lanciarle un’altra ciambella di salvataggio. Ma siamo sempre – il termine viene ripetuto più volte – in stato di “incertezza sulla continuità aziendale”.

Qualche nota positiva?

Il caso LaVis sui giornali locali

C’è poi il dato positivo. Nell’esercizio 2016-17 la LaVis ha pagato l’uva ai contadini a un prezzo medio di 96 euro a quintale, allineandosi a quelli delle altre cantine. Non più quindi gli 88 euro della vendemmia 2015, o gli importi ancora minori degli anni precedenti: i contadini possono tirare un sospiro di sollievo, il cda ha evidentemente deciso di privilegiare i loro conti, anche a costo di chiudere in passivo.

In realtà la decisione – saggia – era obbligata, a causa di una situazione di fragilità della LaVis ormai strutturale. La Cantina infatti controlla 752 ettari di vigneti, dai quali i soci nel 2017 hanno conferito 71.000 quintali di uva. Ma nel 2008, prima del tracollo innescato da Peratoner e soci e prima dello sciagurato commissariamento dell’ing. Zanoni, gli ettari erano 1450, e l’uva conferita 174.000 quintali. Insomma le vicende di questi anni hanno pesantemente segnato la compagine sociale: i contadini non hanno tanto votato in assemblea, dove era preteso un unanimismo irreale, ma con i piedi: andandosene. Ora la LaVis si ritrova con meno della metà dell’uva, ma con la stessa struttura (immobili, dipendenti, macchinari, rete commerciale) degli anni delle vacche grasse, e quindi con gli stessi costi fissi. È chiaro che in questa situazione, far quadrare i conti è problematico; anche perché continuare a tagliare le remunerazioni dell’uva - come faceva Zanoni - sarebbe esiziale, l’esodo verso le altre cantine continuerebbe portando all’inevitabile collasso.

Un nuovo approccio

Il caso LaVis sui giornali locali

In questa scelta della gestione Patton c’è evidentemente la consapevolezza della situazione, ma è anche riscontrabile un nuovo approccio: secondo il quale i contadini non sono carne da macello, i soci entità fastidiose; e per altro verso con le banche ci si rapporta con franchezza, non le si ritiene obbligate a scucire i soldi altrimenti si trovano i trattori davanti alla sede; e con i revisori ci si chiarisce con spirito collaborativo.

La LaVis è passata dai tempi in cui si strisciava di fronte ai politici (prima Dellai e poi Rossi) che poi comunque ti finanziavano e proteggevano, e forti di questo si faceva gli arroganti con gli altri operatori; ad una condizione di interlocuzione, con i soci, le banche, la vigilanza, le altre cantine.

Questo cambio di passo ha posto l’amministrazione Patton in una posizione di credibilità. Anche perché la perdita dell’ultimo bilancio è dovuta soprattutto alle disinvolture e arroganze - degli anni passati.

Così una causa multimilionaria con i distributori F.lli Rinaldi, a cui si è dovuto saldare una transazione milionaria perché rinunciassero al contenzioso. “Abbiamo trovato nei cassetti contenziosi aperti da diversi anni” - ha affermato Patton. Che peraltro di svuotare i cassetti non ha ancora finito. Il che, se da una parte apre delle speranze sulle possibilità che la gestione del presente possa essere in attivo, dall’altra fa capire che sul capo pendono sempre le incognite delle zone d’ombra ereditate dal passato (e sopra, per esempio, abbiamo spiegato le disinvolture nelle valutazioni del patrimonio come evidenziate dai revisori).

Tutto questo, al di là della buona volontà di Patton, apre la porta all’interrogativo di fondo. Della LaVis, che bisogno c’è? A cosa può servire una Cantina pessimamente amministrata, che deve ancora finire di scontare i troppi anni di follia? L’assessore Mellarini, a suo tempo intervistato in proposito, rispose mentendo sapendo di mentire: “Senza la LaVis una parte del Trentino risulterebbe desertificata”. Ridicolo: se non ci fosse LaVis i contadini girerebbero il trattore con l’uva verso Mezzacorona, o San Michele, o Trento: le cantine che vinificano, private o cooperative, abbondano e quasi tutte hanno macchinari sottoutilizzati.

Anzi, diciamola tutta, la LaVis, nata come “terzo polo del vino trentino” non ha senso. Che il piccolo Trentino abbia due poli (Cavit e Mezzacorona) è già anomalo. Che ne abbia tre è solo stato il frutto di improvvide ingerenze politico-clientelari (leggi Dellai, i suoi assessori, il suo successore). Che l’economia, grazie anche alla stoltezza di amministratori scellerati, abbia fatto giustizia di questa insensatezza, è stata cosa logica e giusta. Anche se rimangono le preoccupazioni, non per i contadini, ma per i dipendenti della struttura, tanti, ad oggi 149, e solo una parte troverebbe impiego nelle altre cantine.

Rimane quindi l’interrogativo: dopo tutti i soldi pubblici malamente versati, che senso ha che la LaVis tiri avanti? Quale il suo spazio nell’economia trentina?

Patton evidentemente si è posto il problema, ed ha anche dato una risposta: dismesse le velleità industriali, “vogliamo essere il più grande dei vignaioli del Trentino”. Tornando quindi alla vocazione originaria, quando LaVis, guidata da un Fausto Peratoner che non si era ancora montato la testa, cercava di applicare su larga scala la produzione di qualità.

Ottimi propositi questi di Patton. Anche se non facili da realizzare: oltre al peso del pregresso, c’è anche una struttura altrimenti organizzata, pensiamo solo a Casa Girelli; e poi sono passati più di 15 anni e nel frattempo il mondo del vino ha fatto molti passi avanti, e la qualità la perseguono in tanti.

Ma probabilmente è l’unico modo per tentare di andare avanti. Auguri.