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Vallo-tomo: ultimo atto

Il rifacimento delle zone distrutte sono state fatte in modo affrettato e con qualità inferiore all'originale

Ing. Paolo Mayr

Come riportato sulla stampa locale, sta procedendo l’incriminazione di alcune delle persone che occuparono nel febbraio 2017 l’ufficio del sindaco del Comune di Mori per protestare contro l’arroganza e la chiusura al confronto dei politici e tecnici provinciali, con l’accondiscendenza dell’amministrazione comunale.

Questi volevano testardamente costruire il vallo tomo, impattante trincerone lungo 240 metri, a ridosso dell’abitato, prima di provvedere ad eliminare il pericolo di crollo dell’ammasso roccioso, che si definiva instabile, e che quindi incombeva sulle abitazioni di via Teatro. Risultava incomprensibile allora, sotto il profilo tecnico e logico, come si volesse costruire un’opera di difesa lenta, costosa e devastante, mantenendo per lunghi mesi in condizione di mancata sicurezza una zona della città e non si volesse provvedere prima con urgenza alla messa in sicurezza del cosiddetto diedro.

Molti tecnici, molte ditte specializzate nel settore erano pronte e disponibili ad affrontare e bloccare il diedro; lo stesso super-tecnico della Protezione civile, il professor Barla, aveva affermato in un incontro pubblico che sarebbe stato più scientifico controllare prima la situazione della roccia cosiddetta pericolante e poi, se necessario, costruire il vallo tomo e non viceversa, come si è operato.

Ma i decisori, presuntuosi e cocciuti, rifiutarono qualsiasi confronto tecnico, come anche qualunque logica discussione, lasciando colpevolmente sotto il pericolo di crollo gli operai e la popolazione per parecchi mesi.

Questa chiusura totale ha comportato come logica conseguenza situazioni di esasperazione, che condussero alle due occupazioni del municipio. Su queste certamente non concordiamo, ma ne comprendiamo le motivazioni.

E così si è giunti, con la costruzione del vallo tomo e con la successiva eliminazione con esplosivo dell’ammasso roccioso cosiddetto pericolante, alla distruzione di una vasta area di territorio di grande valore storico, tradizionale, sociale, affettivo, agronomico e di straordinaria importanza paesaggistica ed ambientale.

È sperabile che un Ente terzo voglia valutare di chi è la colpa di questo scempio non necessario. Infatti il cosiddetto diedro in esame, essendo tutt’altro che pericolante, non si è mosso minimamente, nonostante mesi di lavoro con urti e vibrazioni, e ci è voluto un mese di demolizione per far precipitare a valle quel che era rimasto dopo l’esplosione. Il sistema delle fratte o terrazzamenti, anche se spianati alla base, ha funzionato egregiamente per rallentare la frana, poiché solo due massi sono arrivati al vallo tomo.

In un recente sopralluogo abbiamo potuto constatare il rifacimento di alcune delle zone distrutte dei muri delle fratte. L’esame è stato sconfortante: le murature sono state rimesse in modo molto affrettato e decisamente di qualità molto inferiore a quella delle murature superstiti; zone costruite con elementi di grossa mole posti sopra livelli di piccola pezzatura; zone composte in modo disordinato, tale da non garantire la stabilità nel tempo, ammassi di pietre più che muri, qualche zona non “a secco”, ma con presenza di calcestruzzo.

Fa sorridere ricordare che la Provincia ha promosso una scuola di costruzione dei muri a secco!

Ovviamente la Protezione Civile della Provincia di Trento ne ignorava l’esistenza o non voleva migliorare la qualità del lavoro neanche nel ripristino dei danni!