Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 10, ottobre 2019 Servizi

La sconfitta del sovranismo in Europa

I partiti europeisti hanno eretto un cordone sanitario attorno ai sovranisti. Riusciranno a vincere anche la battaglia contro le loro idee anti-democratiche?

Matteo Angeli

Salvini e compagni non fanno più paura a nessuno. La nascita del Conte bis ha chiuso definitivamente nell’angolo i sovranisti europei: l’Italia, fino a quel punto unico governo a fare capo a una forza dichiaratamente nazionalista, sembra aver ritrovato, alla sua maniera, la retta via. Europeisti, tirate un sospiro di sollievo!

O forse no, non così in fretta. Lo scenario politico europeo, come quello italiano, è entrato in una fase di profonda transizione: equilibri decennali si stanno sfaldando, con alcuni soggetti politici che cercano di scongiurare il proprio tramonto e altri in potente ascesa, pronti a riempire gli spazi vuoti. Si tratta di una dinamica di lungo respiro: l’esito della partita che conta - quella per i cuori e per le menti degli europei - è ancora lontano.

L’avanzata del sovranismo ha subito una violenta battuta d’arresto lo scorso 26 maggio, in occasione delle elezioni europee. Nonostante i partiti nazionalisti siano arrivati primi in due paesi fondatori, l’Italia e la Francia, il loro gruppo politico in Parlamento europeo, Identità e democrazia, conta 73 seggi su 748. Quasi il doppio rispetto alla legislatura precedente, quando i sovranisti disponevano di 36 rappresentanti, ma non abbastanza per avere un alcunché di influenza in Parlamento.

Le ragioni sono molteplici. Per anni il potere in Parlamento è stato in mano a due gruppi politici: i Socialisti e Democratici (S&D), gruppo che raccoglie i vari partiti socialdemocratici europei incluso il Partito Democratico, e il Partito Popolare europeo (PPE), il gruppo da sempre più numeroso, dove siedono i tedeschi della Cdu, il partito di Angela Merkel, ma anche i deputati di Forza Italia.

Dopo il voto del 26 maggio questo equilibrio è venuto meno: pur restando dominanti (Il PPE ha 182 seggi, l’S&D 154), i due gruppi politici non sono più in grado di esprimere la maggioranza dei seggi.

Ciò è dovuto principalmente all’exploit di Renew Europe (108 eurodeputati), gruppo politico che ha preso il posto dell’ALDE (Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa) e che conta tra le sue file i deputati francesi che fanno capo al movimento del presidente Macron, e, in maniera minore, all’aumento di consensi a favore dei Verdi (che sono passati da 52 a 74 seggi) e dei già citati sovranisti.

Dati alla mano, né le forze a sinistra dello spettro politico (S&D, Renew, Verdi e i post-comunisti del GUE), né quelle a destra (PPE, i conservatori dell’ECR, che includono anche Fratelli d’Italia, e i sovranisti di Identità e Democrazia) possono contare sulla maggioranza semplice di 376 deputati necessaria per governare.

Ancora più importante, appena dopo il voto, si è formata in Consiglio europeo, l’organo che raccoglie i capi di stato e di governo – l’altra mano del potere in Europa, una chiara alleanza tra PPE, Renew Europe e S&D, che ha consentito di trovare la quadra sulle nomine che contano: un esponente PPE alla guida della Commissione (Ursula von der Leyen), un esponente S&D come Alto Rappresentante per gli affari esteri (Josep Borrell) e un Renew come presidente del Consiglio europeo (Charles Michel).

Basta un rapido sguardo alla composizione dei vari governi nei 28 stati membri all’indomani del 26 maggio per capire che non poteva andare diversamente: 8 esecutivi sono gestiti da forze legate al PPE, 8 da partiti affiliati a Renew Europe, 6 da partiti del gruppo S&D, 2 dell’ECR, 1 del GUE e 2 (Austria, appena uscita dalle elezioni) non categorizzabili.

Davis Sassoli

Il Parlamento europeo, dove non esiste una maggioranza formale (i vari gruppi cercano di trovare di volta in volta un accordo sui vari dossier), ha di fatto confermato i contenuti dell’accordo stipulato tra i capi di stato e di governo, votando come presidente del Parlamento un membro S&D (l’italiano David Sassoli del Pd) e confermando Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione (qui per dirla tutta va notato anche il voto a favore del M5S, che al momento è nel gruppo dei non iscritti, e dei deputati del partito Diritto e Giustizia, al governo in Polonia e membri dell’ECR).

Non è finita: nella distribuzione delle presidenze nelle varie commissioni (gli organi del Parlamento europeo in cui viene svolto il lavoro preliminare al voto in plenaria) i vari partiti hanno dato vita a un vero e proprio “cordone sanitario” contro i membri di “Identità e Democrazia”: gli unici europarlamentari a restare a bocca asciutta sono stati infatti quelli affiliati a Salvini &Co.

A livello europeo, i sovranisti sono stati quindi resi innocui per i prossimi cinque anni.

I sovranisti nascosti

Ma il germe che il sovranismo porta con sé è lontano dall’essere sconfitto. Tutti i nazionalisti, europei e non, fanno ricorso ad un discorso esclusivo: dicono di voler tutelare l’interesse del “popolo”, in contrapposizione o all’élite o agli stranieri, e in questo modo negano le divisioni interne alla popolazione, finendo per promuovere una “tirannia della maggioranza”, che nega ogni diversità, che non riconosce le minoranze e che vuole andare oltre la democrazia rappresentativa. Il loro obiettivo è la “democrazia illiberale”, come direbbe il premier ungherese Viktor Orban.

Se adottiamo questo metro, i sovranisti sono molti di più di quelli che in Parlamento europeo sono affiliati al gruppo Identità e Democrazia, che include, tra gli altri, la Lega, il Rassemblement National di Marine Le Pen, il Partito della Libertà Austriaco e i tedeschi dell’Afd.

A loro possiamo aggiungere i membri del gruppo dei Conservatori e Riformisti (62 eurodeputati, con i polacchi di Diritto e Giustizia e i nostri di Fratelli d’Italia), e gli ungheresi del PPE, vale a dire gli esponenti del partito di Orban (13). Già solo fermando la conta qui, vediamo bene che i sovranisti in Parlamento europeo sono 143, più di Renew Europe e quasi come i socialdemocratici.

Si potrebbe però anche andare avanti: che dire del Movimento Cinque Stelle (14 eurodeputati)? Il suo disprezzo per la democrazia rappresentativa non contribuisce anch’esso a smantellare le nostre democrazie liberali?

E Forza Italia (6 eurodeputati)? Come si spiega la sua volontà di continuare l’alleanza con Salvini, senza nemmeno discutere il fatto che i leghisti hanno votato contro la nomina di Ursula Von der Leyern, esponente PPE (il gruppo in cui sta anche Forza Italia)?

Si potrebbe estendere il discorso anche ad altri paesi. In ognuno dei maggiori gruppi politici europeisti si celano infatti soggetti che flirtano con la retorica sovranista illiberale (ad esempio, nell’S&D ci sono i membri del partito socialdemocratico rumeno, in Renew Europe i membri del partito del primo ministro ceco Andrej Babiš). Si tratta certo, di posizioni marginali, che però, se messe insieme, la dicono lunga sulla reale minaccia del sovranismo e sulle sfide che attendono i soggetti europeisti.

Molto dipenderà dalla capacità di questi ultimi di essere coerenti con le proprie posizioni, di ribadire i valori europei.

Ad esempio: cosa deve fare l’Unione Europea di fronte alle violazioni dello stato di diritto negli stati membri? Negli ultimi anni sono state aperte due procedure rispettivamente contro Polonia e Ungheria, ma non si è mai arrivati a utilizzare quella che viene definita l’”opzione nucleare”, ovvero la sospensione del loro diritto di voto in seno al Consiglio dell’UE.

Monika von der Leyen con Angela Merkel

Von der Leyen ha ipotizzato nel suo programma la possibilità di sospendere i fondi europei agli stati membri che violano i diritti fondamentali dell’Unione. Un’idea a prima vista buona, ma che rischia di avere effetti contrari a quelli desiderati, stimolando nella popolazione dello stato colpito un senso ancora maggiore di avversione all’UE.

Fino a che punto e in che modo l’Unione Europea deve intervenire per salvaguardare la democrazia negli stati membri resta quindi una questione aperta. Molto passa probabilmente dalla lotta nei confronti del discorso illiberale. Come contrastare la disinformazione, i discorsi di incitamento all’odio: non solo i decisori politici, ma anche il mondo dell’informazione, sempre più attento alla dimensione sentimentale, a discapito di quella esplicativa, hanno un compito in questa missione.

Un grande pensatore francese, Alfred Sauvy, disse: “Democrazia non è mettersi d’accordo, ma sapersi dividere”. È un sapere che è sempre stato fragile ma che oggi lo è sempre di più. Il sovranismo si nutre della scarsa propensione dell’altra parte, quella liberale, ad ascoltare la posizione dell’altro e a mettersi in discussione. Forse da qui bisognerebbe ripartire, perché, per concludere con un’altra citazione, di Wayne Dyer, “se cambi il modo in cui guardi le cose, le cose che guardi cambiano”.