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QT n. 4, aprile 2020 Servizi

Un “semplice” abuso edilizio?

Ex Argentina: come il tribunale ha ridotto uno scempio ambientale in un modesto abuso edilizio.

Beppo Toffolon
L'Hotel Olivenheim, poi Sanatorio Argentina. Il PRG prescriveva il suo ripristino filologico: è stato demolito.

L'esito del processo d'appello sul caso ex-Argentina impone qualche riflessione e qualche approfondimento. E una inevitabile domanda: una violazione del Piano Regolatore (PRG) e uno sfregio paesaggistico di tale gravità possono essere derubricati a semplice abuso edilizio (ormai prescritto)?

Per comprendere come si sia giunti a un esito tanto paradossale bisogna tornare al primo processo, dove i capi d'imputazione erano sei, alcuni dei quali del tutto auto-evidenti. Per esempio: la demolizione dell'Hotel Olivenheim ha violato la prescrizione del PRG che ne imponeva il ripristino filologico; la costruzione di nuovi edifici a monte dell'hotel ha violato la prescrizione del PRG che escludeva tale possibilità; gli enormi sbancamenti e gli altissimi terrazzamenti hanno violato la prescrizione del PRG di limitare al massimo le alterazioni del terreno.

Nonostante le evidenze oggettive, l'unica imputazione che il giudice ha ritenuto degna di considerazione è stata la violazione del limite posto al volume edificabile: gli imputati sono stati condannati esclusivamente per avere edificato un volume maggiore di quello ammissibile. Neppure il pubblico ministero ha ritenuto opportuno appellarsi contro quel colpo di spugna. Così il metro cubo è stato elevato a unico parametro, come se tutto il resto fosse opinabile o relativo, a dimostrazione del punto a cui è giunta la dissoluzione della cultura urbanistica, fuori e dentro le aule dei Tribunali.

Con queste premesse è iniziato il processo d'appello. Il consulente incaricato dal Tribunale ha faticato parecchio a comprendere perché le altre violazioni fossero state archiviate; la sua perizia se ne occupa estesamente, se non altro per ricostruire il contesto in cui è maturato il reato. La Corte d'Appello non ha potuto tenerne conto, ma il quadro che emerge è impressionante: un lungo elenco di omissioni e violazioni. Quanto alla sola violazione ancora contestabile, l'eccesso di volume, l'architetto Maccabruni conclude che i tre piani di garage su Via Lomego si devono considerare fuori terra e quantifica il loro volume in 4.883 metri cubi, stabilendo così – seppure con un calcolo piuttosto approssimativo – che si è costruito quasi un terzo in più di quanto ammissibile.

Il complesso che ha preso il posto dell'ex Hotel Olivenheim.

È singolare che nel corso di un dibattimento ruotante attorno ad un unico parametro (il volume) nessuno abbia ritenuto necessario approfondire il metodo di calcolo da impiegare. Si è assistito a una surreale discussione su inesistenti "piani di spiccato", mentre il calcolo del volume edilizio vigente all'epoca nel Comune di Arco era basato sull'altezza media ponderale delle facciate. Applicando puntualmente tale metodo, come dimostra il calcolo analitico contenuto nella consulenza di parte civile, il volume del garage risulta maggiore: 6.081 metri cubi.

Pur con qualche imprecisione, la consulenza e la sentenza stabiliscono due fatti certi. Il primo è che i tre piani di garage che sorgono sul marciapiede di Via Lomego sono fuori terra, e quindi l'edificio non è di due piani ma di cinque (in tutta evidenza, vedi foto), con le conseguenze paesaggistiche che ne derivano.

Il secondo è che il volume di quei garage non è certo trascurabile, anche prendendo per buona la stima prudente del Consulente. Ciò assodato, com'è possibile affermare che tale abuso sia di modesta entità?

L'argomento della Corte è che i garage non comportano un maggior carico antropico. Ma questo è un modo piuttosto riduttivo di considerare l'impatto di una costruzione sul territorio, un retaggio di quell'urbanistica funzionalista, meramente quantitativa, che ha deturpato l'Italia (e che, paradossalmente, non ha mai funzionato, né qui né altrove). Sulla base di questa inconsistente argomentazione la Corte ha deciso di derubricare il reato di lottizzazione abusiva in quello, minore e ormai prescritto, di abuso edilizio.

La costruzione nel giugno 2012: sono ben visibili i tre piani di garage che si ergono sul marciapiede.

Eppure, il testo unico in materia edilizia è scritto in un italiano che non lascia spazio a equivoci: "Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici". L'espressione "prescrizioni degli strumenti urbanistici" ha un significato ben più ampio di "rispetto degli standard".

Nel caso dell'ex Argentina, le prescrizioni del piano regolatore sono state violate tutte. Una per una, oggettivamente.

Ma anche limitandosi all'aumento di volume, cosa c'entra qui il carico antropico? Non ci si può limitare a constatare che l'abuso non comporta un aumento degli abitanti, e quindi non produce un maggior fabbisogno di servizi. L'urbanistica non può ridursi al dimensionamento delle dotazioni territoriali, dal sistema scolastico a quello fognario.

Dovrebbe essere evidente a chiunque abbia un minimo di cultura urbanistica e di attenzione per il patrimonio culturale che nel dettare le prescrizioni per il recupero dell'ex Argentina, il pianificatore era mosso da preoccupazioni ben diverse, in primo luogo paesaggistiche: lo testimonia ogni singola riga dell'art. 75 delle norme d'attuazione, scritto specificamente e dettagliatamente. Ebbene, in questo contesto paesaggistico e ambientale estremamente delicato, come si può sostenere che l'aver realizzato un volume edilizio superiore del 30 % al massimo consentito (e in quel modo!) non sia una palese "violazione delle prescrizioni"? Che differenza fa, sul piano dell'impatto paesaggistico e ambientale, che quel volume contenga abitazioni o garage? Nessuna, evidentemente.

Il bivio nell'ottobre 2018, con i garage in parte camuffati dalla vegetazione.

Tra l'altro, non è neppure vero che l'abuso non abbia comportato un maggiore carico antropico: se si fosse rispettato il limite posto dal Piano Regolatore, il volume dei parcheggi avrebbe necessariamente ridotto il volume residenziale. Avere fittiziamente azzerato il volume dei parcheggi (che pure andavano realizzati) ha quindi generato un consistente aumento del carico antropico.

Ma la posta in gioco all'ex Argentina non era l'equilibrio tra fabbisogno e dotazione di servizi, non si trattava di conformarsi a un disegno generale per non alterare la razionalità di uno schema insediativo. Qui si trattava esplicitamente di tutelare il valore paesaggistico di un luogo, conservandone la naturalità, ripristinandone i caratteri architettonici e subordinando a questi obiettivi ogni nuovo intervento. Tant'è che le prescrizioni sul piano funzionale erano molto elastiche: si chiedeva solo di destinare almeno un quarto del costruito ad attività alberghiera. Ma nemmeno questo vincolo è stato rispettato.

Dunque, che altro occorre a un Tribunale per decidere che la trasformazione dell'ex Argentina, che la Corte stessa afferma essere "comunque una lesione al paesaggio e all'ambiente costituito [sic] dalla costruzione dei volumi fuori terra", ha violato le prescrizioni degli strumenti urbanistici? Rimane la speranza che la Cassazione sappia ripristinare un minimo di razionalità nell'amministrazione della giustizia.

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