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QT n. 4, aprile 2020 Servizi

Come far prosperare la peggiore imprenditoria

Comuni inerti, controlli assenti, una legge provinciale (la Olivi-Viola) che santifica le sanatorie. Così si dissipano i beni comuni e l’occupazione

Coordinamento Lavoro Porfido

La lettera anonima di un imprenditore del porfido in gravi difficoltà, che abbiamo pubblicato sul numero scorso, merita ulteriori approfondimenti.

Ci parla, dall’interno di quel mondo, delle distorsioni nella burocrazia e nelle istituzioni che creano ed alimentano la cultura e la pratica dell’illegalità: “Purtroppo essere onesti in questo settore non paga” afferma l’imprenditore. Un’illegalità diffusa fino a diventare dapprima egemone, poi ineludibile, generando un’imprenditoria predatoria che, nel suo complesso, adotta come modus operandi l’infrazione delle regole. Entriamo nello specifico di quanto denunciato nella lettera.

Uno dei principi basilari sotteso alla regolamentazione del settore è la tutela del patrimonio costituito dalle montagne di porfido. Patrimonio di tutti, della collettività, non del singolo cavatore, che infatti è solo un “concessionario”: gli viene permesso di scavare, alterando anche gravemente luoghi e paesaggi, a condizione che sfrutti al meglio la materia prima (che, ricordiamolo, è di tutti) e che offra contropartite alla comunità, tra le quali l’occupazione.

Per questi motivi la Legge Provinciale sulle Cave del 2006 (e poi le delibere dei consigli comunali della zona del porfido, che ne seguono le prescrizioni), stabilisce una serie di divieti assoluti tendenti ad impedire che il concessionario esternalizzi la produzione, la faccia cioè eseguire ad aziendine esterne.

Il motivo? Le micro-aziende dipendenti dal concessionario (che QT ha chiamato “il mondo di mezzo”) non hanno senso industriale, anzi indeboliscono la solidità del comparto; hanno solo lo scopo di rendere più difficili i controlli e più facile lo sfruttamento della manodopera. Per questo il concessionario ha l’obbligo di lavorare “direttamente o tramite accorpamenti con altre ditte concessionarie (altri pari grado quindi, non aziendine del mondo di mezzo, ndr) almeno l’80% della produzione”; non può operare il “trasferimento della proprietà, a qualsiasi titolo, del materiale tout venant” (materiale di scarto, ndr); ha bensì “l’obbligo di lavorazione di tale materiale con ricorso a propri dipendenti”. Tutto nell’ottica di ricavare il massimo dal bene comune porfido, e al contempo di massimizzare l’occupazione. A chi non ottempera a queste prescrizioni viene tolta la concessione.

Questa però è la teoria. Nella pratica, scrive il nostro anonimo imprenditore, chi segue questi principi va fuori mercato. “Vediamo che alcuni cavatori non hanno nessuna cubettatrice” (macchina per lavorare il materiale grezzo, ndr), non effettuano cioè lavorazione alcuna.

Lavoratori nelle aziende concessionarie
AnnoNumero
19951298
20091212
2010933
2013926
2014625

E così l’obiettivo della salvaguardia dell’occupazione non viene minimamente centrato. Le aziende concessionarie registrano un costante calo degli addetti (vedi tabella): dai 1.212 del 2009, ai 625 del 2014. E in parallelo, anche la polverizzazione del sistema nella miriade di artigiani del mondo di mezzo non favorisce l’occupazione, tutt’altro: si passa infatti dalle ben 153 aziendine di lavorazione con 498 occupati nel 2009 a 140 aziende con 458 occupati nel 2013.

Come mai questo disastro? Perché i presupposti della legge vengono disattesi. Impunemente: anche in presenza di palesi violazioni, nessuna concessione viene messa in discussione. Le concessioni vengono dai Comuni sempre prorogate senza stabilire “con apposita clausola i livelli occupazionali da mantenere per la durata della concessione”, come prescrive la legge del 2006.

A questo proposito va osservato che le varie Giunte provinciali non hanno mai fatto ricorso al potere sostitutivo che la legge assegna alla Pat: in altre parole, se un Comune (facilmente egemonizzato dai cavatori, come sappiamo) non provvede a revocare le concessioni in caso di gravi inadempienze (tra cui appunto la mancata lavorazione in proprio del materiale, e il non mantenimento dei livelli occupazionali) deve intervenire la Provincia e provvedere lei alla revoca. Mai successo. “Cosa aspettano a far rispettare la legge?” chiede infatti il nostro imprenditore.

La legge Olivi

In questa situazione era partita con le migliori intenzioni la legge Olivi (dal nome dell’assessore all’industria Alessandro Olivi del Pd) che nella scorsa legislatura si proponeva di regolamentare più efficacemente il settore, essendo “necessario un cambio di direzione, anche per togliere zone opache da quello che per il Trentino è un comparto molto importante” (così Olivi alla conferenza stampa di presentazione del suo disegno di Legge, come riportato da Il Dolomiti).

Non succede niente di tutto ciò. La legge Olivi diventa Olivi-Viola (dal nome del consigliere provinciale del Pdl Walter Viola, molto vicino al mondo dei cavatori) e per quanto Olivi dichiari che quella appena varata è “una legge che favorisce le imprese migliori, che rispettano le regole e che sono disposte a fare in futuro vere politiche di sviluppo, puntando sulla qualità del prodotto”, in realtà non chiarisce per niente “le zone opache” del settore. Anzi.

I Comuni non hanno provveduto a stabilire “con apposita clausola i livelli occupazionali da mantenere per la durata della concessione” come prescriveva la legge del 2006? Olivi fa slittare al 31 dicembre 2017 (siamo al gennaio di quell’anno) i termini entro cui i Comuni dovrebbero mettersi in regola.

È di fatto una sanatoria, i Comuni lo capiscono e ne approfittano per ulteriormente favorire i cavatori aprendo alla possibilità di ulteriori consistenti riduzioni del personale, fino al 60% ha stabilito ad esempio il Comune di Albiano.

E gli obblighi di lavorazione dell’80% almeno del materiale estratto attraverso propri dipendenti? La nuova coppia Olivi-Viola abbassa l’obiettivo al 50% “per il periodo fino al 31 dicembre 2020” per poi fare la voce grossa: si dovrà arrivare “almeno all’80%... dal 1° gennaio 2021 fino alla scadenza della concessione”, cioè si assicura (nel 2017) che i limiti imposti dalla legge del 2006 e mai rispettati, verranno fatti rispettare nel 2021. Ma non ci crede nessuno, è una grida manzoniana.

E i controlli?” - chiede il nostro imprenditore. Anche qui Olivi era partito con vigorosi annunci. Attivare delle pese nelle cave per misurare il materiale prodotto. Ottima idea. Poi però sostituita dalle autocertificazioni degli stessi cavatori. Verificate dai Comuni, che dovrebbero spulciare le fatture e controllare se le quantità tornano. Figuriamoci.

Grida manzoniane

Le norme sarebbero stringenti, stabiliscono che il concessionario è tenuto a inviare al Comune “il dato relativo al peso per ogni tipologia di materiale grezzo, il nominativo del destinatario […] e il luogo di destinazione” prima del trasferimento stesso. Inoltre “il concessionario che lavora il materiale grezzo senza ricorso ai propri dipendenti, deve comunicare al comune concedente, prima dell’inizio della lavorazione, il nominativo dell’incaricato della lavorazione e la quantità di materiale affidato per la lavorazione”.

Ma quali sono le sanzioni previste? La Olivi-Viola sembrerebbe drastica: prevede la decadenza della concessione per chi non rispetti le regole; peccato che per incorrere in tale sanzione si debba violare per ben tre volte la stessa norma. Anche questo intervento sul precedente testo - che pure aveva il limite di lasciare al Comune la decisione se agire o meno nei confronti del cavatore indisciplinato - ci sembra peggiorativo, rispetto alle conclamate intenzioni di comminare sanzioni certe a tutela dei lavoratori e della collettività. Per non tacere del fatto che nessuna sanzione ci risulta prevista in caso di mancato rispetto dell’obbligo di “ricorrere a contratti che prevedono la solidarietà retributiva e contributiva”.

Per quanto riguarda gli organi di verifica, stando alla “nuova” legge le funzioni di controllo sono ripartite tra i vari servizi provinciali, prioritariamente al Servizio minerario al quale spettano i controlli sull’attività di cava specificatamente “per quanto riguarda le norme di polizia mineraria”, senza stabilire alcuna forma di coordinamento. Il Comune ha da un lato compiti amministrativi (verifica dell’autorizzazione/concessione e relativi disciplinari), dall’altro dovrebbe svolgere attività di controllo e verifica sull’attività estrattiva, segnalando “le eventuali irregolarità o violazioni alle competenti strutture provinciali, ai fini dell’esercizio del potere sostitutivo” per l’adozione dei provvedimenti di loro competenza.

Questo “potere sostitutivo” altro non è se non la facoltà della Provincia di sostituirsi all’amministrazione locale inattiva.

Ebbene, a partire dai provvedimenti di proroga adottati tra il 2010 e il 2011, tra mancati adempimenti e tardive (o mancate) adozioni dei programmi di attuazione, fino alle più recenti inadempienze in materia di controlli in merito alle irregolarità retributive e contributive, le inadempienze da parte dei Comuni sono state tante, ma raramente la Provincia si è avvalsa di tale facoltà.

Qui ci resta sempre il dubbio: è la Pat ad essere impotente o il Comune che non segnala? E soprattutto, se lo stesso Olivi riconosceva l’esigenza di questo potere sostitutivo “non per essere accentratori e centralisti” ma per “promuovere una omogeneizzazione” dei controlli (sono sempre sue dichiarazioni) che senso ha subordinarlo alla segnalazione da parte del Comune, a maggior ragione in una realtà dove non possono sfuggire gli evidenti conflitti di interesse, con i cavatori che spesso siedono all’interno dei consigli comunali?

Proprio perché ci sembra evidente, la scelta sembrerebbe essere stata fatta per evitare di intralciare la lobby del porfido che condiziona, direttamente o indirettamente, tutte le amministrazioni comunali della zona. E questo spiega le inadempienze di tali enti e la situazione denunciata dall’anonimo autore della lettera.

La nuova legge, sostenuta, è bene ricordarlo, a spada tratta dalla Cgil, si è rivelata un’operazione di facciata all’insegna del motto gattopardesco del “cambiare tutto perché nulla cambi”; ciò che in realtà è mutato nel settore sono gli equilibri interni all’imprenditoria: dopo un feroce scontro protrattosi per una decina di anni, con la liquidazione coatta amministrativa del Consorzio Cavatori Produttori Porfido di Albiano nel 2016, sono stati sanciti i nuovi equilibri con vincitori e vinti e pare proprio che tra i vinti vada annoverato anche l’anonimo imprenditore di cui abbiamo commentato la missiva.