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Le code per il latte, a 80 anni di distanza

Corsi e ricorsi storici, ricordi d'infanzia e memoria di un tempo di guerra che ritorna in tempo di covid

Chiuderci in casa, separati nei corpi, è certo una “resa” alla potenza del virus, ma soffrire e pensare uniti nelle menti e nei cuori è già organizzare la resistenza. “Mi sono chiesto spesse volte dove passi il confine tra la necessaria resistenza e l'altrettanta necessaria resa al 'destino'”.

È questa la domanda di Dietrich Bonhoeffer che scrive dalla prigione lettere combattive, senza sapere che sarebbe stato giustiziato da Hitler. Ma qual è il grado di coscienza politica nel giorno in cui sulla strada il destino ci coglie e ci abbandona?

Non esiste la società, esistono solo individui”: aveva ragione Margaret Thatcher? Homo homini lupus, o homo homini deus? In attesa di uscire in città, noi possiamo comunicare, raccontarci la storia per dare speranza.

Sul calendario nel 1970, cinquant’anni fa, gli ultimi giorni di marzo erano per la nostra famiglia quelli della settimana santa. Allora gli incidenti stradali erano rari, ma fu allora che il mio papà fu investito da un’auto a un incrocio. Il destino ci cambiò la vita, ci costrinse a maturare. Ogni volta che a Mezzolombardo passo di lì, è una stretta al cuore. Laura, mia moglie, mi ricorda che per anni di notte mi sono svegliato di soprassalto perché un’auto mi precipitava addosso. Quella sera, il giovedì santo, ci eravamo dati appuntamento in chiesa per la messa. Noi lo aspettammo invano. L’agonia del papà, Francesco, durò due giorni, il funerale il giorno di Pasqua fu un grazie di tutto il paese. Morì senza più riconoscerci, senza ricevere né dare un saluto.

Io gli ho chiuso gli occhi domandando perdono per tutte le volte che non avevo saputo corrispondere al suo affetto, riservato, silenzioso. Per i cristiani la risurrezione di Gesù è la promessa che ci rivederemo: umanamente non sappiamo né il “se”, né il “quando”, né il “come”. È una fede attraversata dall’incredulità, la speranza che alla fine il bene sarà più forte del male.

La nostra piccola azienda agricola fu sciolta. In essa io avevo imparato a guidare il bue per tracciare i solchi più dritti, a tenere stretto il coniglio quando il papà lo spellava, a condurre la mucca al manzo nella stagione opportuna. Ma quel giorno, giovane insegnante di storia ai ragazzi dell’Iti “Buonarroti” di Trento, dovetti imparare come si vende la mucca, si restituiscono alla diocesi i terreni coltivati a mezzadria e, in aggiunta, come ci si muove nei meandri di un processo penale.

Nel 1954, da chierichetto puntuale, ero stato avviato agli studi in seminario da don Renzo, dopo che il papà e la mamma, col groppo in gola, avevano risposto al maestro “Noi no poden”. Il mio progetto di vita cambiò nel ‘63: la mamma scoppiò in lacrime, il papà mi sostenne.

In famiglia di politica si parlava raramente. Che però i problemi non fossero solo individuali, o familiari, ma sociali, e i primi fossero connessi ai secondi, lo capivo dal fatto che mio padre era socio dell’Enologica. Ad essa dedicava tempo, intelligenza, energie. Ne divenne anche presidente, lui, che aveva frequentato con profitto la scuola fino alla quinta elementare. Dai contadini fu preferito al farmacista, che a quella carica ambiva, e si adoperò perché le due cooperative del paese si unissero, invece di farsi la guerra attorno al Teroldego. Fu anche consigliere comunale per la Dc. Nel mio primo dibattito pubblico, nel ‘69, in un teatro affollato, difesi la legge sul divorzio che si stava discutendo in Parlamento. Lo feci a nome del movimento spontaneo, sorto laico sull’onda del ‘68, ed ecclesiale, sull’onda del Concilio Vaticano II. Il papà con me non era d’accordo, ma fu rispettoso: non abbiamo avuto il tempo per confrontarci in profondità. La mamma piangerà ancora, da sola, quando nel ‘74 fui eletto anch’io in Consiglio comunale, ma nelle liste del Pci.

Mi domando: quanta educazione alla politica esercita oggi la città resa deserta dal virus? Intendo: sul nostro stare insieme, sullo stile di vita che dopo dovremo adottare, sul dovere di pagare le tasse. Come, e cosa, continuano i giovani a imparare? Come invecchiano gli anziani? Come giocano i bambini? E gli astensionisti continueranno a crescere o diminuiranno?

Ascolto e leggo parole rassegnate, o infuriate, e azioni irresponsabili. Ma sono molti, più numerosi, i comportamenti e le parole di cura, che testimoniano un processo di ri-politicizzazione in corso. In molti ci sentiamo sempre più cittadini del mondo, perché il virus è combattuto, seppure a fatica, da un’alleanza globale. Guterres, segretario generale dell’Onu, condannata alla paralisi dai conflitti fra Stati, in uno scatto d’orgoglio, li ha supplicati di deporre le armi.

Il papà e la mamma, lui della Piana Rotaliana, lei della Valle di Cembra, separati dall’Adige, e quindi “forestieri” l’uno all’altra, si erano conosciuti negli anni ‘30 da emigranti in Germania. Lì, sui campi di lavoro si sono innamorati, hanno patito e gioito, hanno pensato ai loro bambini. Se i loro figli oggi non ripetono, spaventati e incattiviti, “prima gli italiani, prima i trentini”, lo devono a quella loro esperienza.

Quando esplose in Trentino la crisi dell’agricoltura, negli anni ‘30, il papà poteva avere un posto di magazziniere, ma piuttosto che iscriversi al partito fascista scelse l’emigrazione. E quando sono nato io, nel ‘43, a guerra in corso, hanno fatto la coda, inutilmente talvolta, con la tessera in mano, per ottenere il mezzo litro di latte che spettava a un neonato.

Oggi, davanti alla farmacia, fanno la coda mia figlia Chiara e suo marito Franco per ottenere il biberon per il piccolo Andrea, il bambino portato dal vento, uno spirito divino. Quale educazione alla politica esercitano le code per neonati, a ottant’anni di distanza?

Quali parole diranno in Trentino, passato lo spavento, quando il corso della democrazia riprenderà, i candidati sindaci? Non potranno ripetere le parole di prima, se non altro per rispetto delle vittime che ci fanno tutti soffrire, a destra e a sinistra. Il sentirci tutti, per mesi, in pericolo sulla stessa barca, accrescerà la nostra cultura costituente? Ci faranno ingoiare gli illustri editorialisti, un governo di tutti, con Mario Draghi al timone? O lo spirito della Costituzione è un’unità che legittima il conflitto politico?

E chi tornerà in chiesa a pregare, in comunità, domanderà a Dio di cambiare il suo sguardo sul mondo, o lo pregheremo perché aiuti noi a cambiare il nostro modo di abitarlo? Rese e resistenze si succederanno fino al giorno in cui “verità e pace si abbracceranno/ giustizia e amore si baceranno” (Salmo 85,11). Quando potremo finalmente liberare, per sempre, le mani e le bocche alle quali oggi è vietato toccarsi.

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