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QT n. 5, maggio 2020 Cover story

Io e il virus

L’esperienza di un redattore di QT: dalla febbre, alla quarantena, e finalmente al tampone.

Tutto ha inizio martedì 24 marzo. Non mi sento bene e ho qualche linea di febbre. Non sono particolarmente preoccupato, mi pare di essermi sempre attenuto alle regole. Non ho mai usato la mascherina, ma all’epoca gli esperti erano divisi sull’opportunità di usarla.

Ho fatto male ad essere ottimista. Il giorno dopo la febbre è salita. Sento telefonicamente il dottore che mi raccomanda di prendere degli antipiretici. Nei due giorni successivi la febbre resta alta, soprattutto nelle ore serali e notturne.

Venerdì 27 risento il dottore per aggiornarlo e dirgli che, per fortuna, non mi è venuta la tosse. Mi conferma la sua diagnosi telefonica di Covid 19 e mi invita a proseguire con la tachipirina. Gli ricordo che vivo da solo e che mi preoccupa il timore di un eventuale peggioramento nel corso del weekend. Mi assicura che segnalerà il mio nominativo all’Azienda sanitaria a cui eventualmente rivolgermi.

Fortunatamente la situazione non degenera e anzi la febbre diminuisce un po’. Martedì 31, a una settimana dall’inizio, la svolta: mi sveglio senza febbre e non l’avrò più.

Nei giorni bui ho avuto un doppio conforto: il primo, importantissimo, mi è venuto dalla rete amicale e parentale di cui fortunatamente godo e che, almeno di giorno e se pur a distanza, mi ha amorevolmente seguito. Passare le notti è stato un po’ più complicato.

Il secondo è arrivato grazie al saturimetro. Fin dall’inizio mi era stato spiegato da medici amici che un elemento importante, da tenere sotto controllo per capire se stessero insorgendo problemi polmonari, era la quantità di ossigeno nel sangue, che può essere misurata con un piccolo strumento in cui si infila un dito, e voilà, appare il numero magico, un’indicazione in forma percentuale: per essere ben ossigenati il valore deve risultare vicino al 100 %. L’operazione è semplice come misurarsi la febbre, ma purtroppo non altrettanto semplice è, nell’era del “resta a casa”, avere a disposizione in tempi rapidi un saturimetro. Nel mio caso il problema si è risolto grazie all’aiuto di un’amica dottoressa che è riuscita ad ottenerne uno in prestito da un altro medico suo amico. In Italia funziona spesso così.

A quel punto, in assenza di altri elementi per capire com’ero messo e quale sarebbe stata l’evoluzione della malattia, e avendo capito che l’ipotesi tampone era esclusa, il saturimetro è diventato la mia coperta di Linus. Non ho mai smesso di usarlo, anche nei momenti in cui, causa la febbre, tutto mi sembrava difficile. Leggere valori mai inferiori a 93/94 (90 è la soglia sotto la quale avrei dovuto preoccuparmi) mi ha permesso di avere quel minimo di tranquillità sul fatto che il virus non stava facendo troppi danni.

Venerdì 3 aprile, esattamente una settimana dopo la segnalazione del mio caso all’Azienda sanitaria ricevo una telefonata un po’ burocratica (dati anagrafici, indirizzo, numero di telefono, che peraltro è lo stesso a cui mi hanno chiamato). Informo di non avere più febbre da quattro giorni, né altri sintomi e che vivo da solo. In chiusura affronto il tema tampone, ma senza risultato. Per ora, mi viene detto, non è previsto. La telefonata termina con la raccomandazione di restare in contatto col mio medico di base, cosa che farò via mail.

Mercoledì 15, trascorse più di due settimane dalla precedente telefonata, chiedo al mio dottore un appuntamento telefonico. Dopo un rapido aggiornamento da parte mia (ho ben poco da segnalargli), ritorno alla questione del tampone, ma lui risponde che non spetta a lui la decisone, ed è vero.

Gli faccio però notare che, se durante la fase più pesante era giustificato dare la precedenza a medici, infermieri, personale delle RSA, forze dell’ordine,ecc., ora non siamo più in piena emergenza. Inoltre trovo assurdo che, avendo abbondantemente finito la quarantena di 15 giorni, io possa riprendere ad uscire nei casi previsti, quando invece, essendo potenzialmente contagioso, dovrei restarmene a casa. Solo il tampone può sciogliere il dubbio.

Il dottore si convince e mi promette di inviare una mail all’Azienda sanitaria con la mia richiesta. Passano meno di due ore e ricevo una telefonata da una dottoressa che gentilmente mi fissa un appuntamento per venerdì 17 per eseguire il primo tampone ed un altro per il martedì della settimana successiva. Sono un po’ emozionato all’idea di andare a farli.

La procedura è semplice. Si va al tavolo allestito sotto la tettoia di Trento Fiere, e senza scendere dall’automobile, si abbassa il finestrino e a quel punto, confermati i propri dati, un infermiere esegue il tampone nasale.

Per entrambi i tamponi vengo informato dell’esito per via telematica entro 48 ore.

Sono entrambi negativi, ossia i test non rilevano presenza del virus nel mio organismo. Se perché guarito o perché non di Covid si è trattato, non mi è dato sapere. Le settimane trascorse tra la malattia e il primo test giustificano il dubbio. Per risolverlo ci vorrebbe il testo sierologico, che consente di rilevare la presenza o meno di anticorpi nel sangue, ma questo per ora non è fattibile.

Poco male: sapere di non essere sicuramente contagioso mi è di grande conforto. Ora posso continuare la mia ripresa passando dalla posizione di chiuso a casa in stretta quarantena volontaria a quella di “io resto casa” in fiduciosa attesa che inizi la fase due. Va bene così...