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Gli asili delle due Reggio

Perché non si riesce a colmare il divario fra Nord e Sud nei servizi erogati ai cittadini? Da "Una Città", mensile di Forlì.

Vittorio Gaeta
L’asilo di Guastalla (Reggio Emilia)

Una puntata di Report sul “divorzio all’italiana”, la crescente separazione tra le due Italie, ci informa in dettaglio del divario tra le due Reggio, l’emiliana e la calabrese, che pure hanno una popolazione quasi uguale: si può prendere come emblema il caso degli asili nido, che sono sessanta a Reggio Emilia e tre a Reggio Calabria.

Il sindaco di Reggio Emilia dichiara al giornalista che l’esistenza di un numero così alto di asili dipende sì dal criterio della spesa storica (in attesa dei LEP, i livelli essenziali delle prestazioni, lo Stato finanzia i servizi degli enti in ragione di quanto già spendono), ma soprattutto dall’efficienza dell’amministrazione pubblica.

Dal canto suo, il sindaco di Reggio Calabria dichiara che il Comune è in dissesto e che lui per i servizi non può spendere un solo euro in più di quanto stabilito senza rischiare i rilievi della Corte dei Conti e la bocciatura del bilancio.

La vulgata che si è diffusa col tempo è quella che le popolazioni del Sud non sanno eleggere amministratori efficienti: i loro amministratori sono per definizione incapaci e corrotti, e possono far meglio solo se ricevono meno stanziamenti, in modo da imparare a spendere bene; da ciò dichiarazioni a raffica di dissesto, di fatto il commissariamento a tempo indeterminato della democrazia locale.

I risultati virtuosi non si vedono, ma intanto si crea il senso comune che i più poveri se ricevono molti soldi non li capiscono, e invece se ne hanno pochi imparano a spenderli; insomma, si diventa grandi chef solo con gli avanzi di cucina o di pattumiera. In fondo, è lo stesso ragionamento che fanno le persone istruite quando tengono in nero la colf straniera (“È ucraina, i contributi non le servono, i bollettini Inps non hanno i caratteri cirillici”), ma la cosa non turba. Su questa vulgata, al Nord, nessuna vera differenza tra destra e sinistra: al sindaco democratico di Reggio Emilia che rivendica più finanziamenti per i propri asili perché loro sì che li sanno gestire, fa da contrappunto il presidente leghista veneto, che ironizza sulle finanze calabresi, lì dove un ente locale su due è in dissesto. Si pensa insomma che chi non ha i soldi non può neppure imparare a spenderli; o, magari, che potrebbe intervenire lo Stato centrale a fornire direttamente i servizi essenziali.

Ora succede che il primo annuncio fatto a settembre da Giuseppe Conte, diventato premier giallorosa dell’esecutivo col maggior numero di ministri meridionali da decenni, sia quello sugli asili nido gratuiti. All’iniziale compiacimento presto subentrano perplessità, alle quali danno voce Marco Esposito (già autore per Rubbettino del pamphlet “Zero al Sud”, lettura necessaria) sul Mattino di Napoli e Stefano Feltri sul Fatto quotidiano. Due gli obiettivi: azzerare i costi per gran parte delle famiglie (la manovra di bilancio stanzia 520 milioni per il 2020) e costruire nidi dove mancano (fondo della Buona scuola 0-6 anni rafforzato a 249 milioni): in tutto 769 milioni, molti di più che in passato.

Eppure al Sud, che ha il 34% della popolazione nazionale, va solo il 24% medio: il 17% dei 520 milioni per rendere gratuiti i nidi che già ci sono, in gran parte al Nord, e il 37% dei 249 milioni per creare nidi lì dove mancano. Soldi, questi ultimi, che dovrebbero andare in prevalenza al Sud per riequilibrare la situazione.

Ma - ci informa Esposito - a rivoltarsi contro questa ingiustizia, nella prima riunione dell’associazione dei comuni (Anci) dopo la proposta di Conte, sono invece i Comuni del Nord, che non accettano il misero 3% in più rispetto alla popolazione, dato al Sud come inizio di riequilibrio; gli assessori di Napoli, Bari e Palermo devono faticare (finalmente coalizzati) per ottenere il mantenimento del 37%.

Piove sul bagnato

Pare che solo il 10% dei genitori che non mandano i figli all’asilo lo faccia per ragioni economiche: si potrebbe dare il bonus solo o prevalentemente a quelle famiglie, e il resto spenderlo per creare servizi lì dove non ci sono. Al contrario, nota Stefano Feltri, la misura finisce per “indirizzare risorse dove ce n’è meno bisogno, cioè nelle Regioni del centro-nord, che già ora offrono un welfare migliore. Come l’Emilia Romagna, eccellenza mondiale in tema di asili, e dove - guarda caso - si vota a gennaio, poche settimane dopo l’entrata in vigore (anticipata) del bonus maggiorato per gli asili nido. Le famiglie di elettori del Pd se ne ricorderanno alle urne quando si tratterà di decidere se consegnare o meno la Regione alla Lega”.

I bonus emiliani saranno pagati dalla fiscalità nazionale, con l’ennesimo trasferimento di risorse dal Sud che si vuole incapace di spendere bene al Nord che si vuole virtuoso perché auto-educato a spendere bene con i soldi anche degli altri.

E non è tutto. Dopo che, quasi a rappresentare la “terza via” nella squadra del Nord, in un video la viceministra grillina torinese Laura Castelli cerca di smentire Esposito parlando di piani strutturali di costruzione di asili e clausole di investimenti al Sud non inferiori al 34% (riferimenti al futuro radioso del tutto estranei al presente pessimo), il 25 novembre la riunione tecnica dei rappresentanti regionali presso il Ministero degli affari regionali pare abbia deciso, sotto la guida della rossa Toscana, un taglio agli stanziamenti per asili al Sud, portati dal 24% al 23%. Con l’opposizione della sola rappresentanza della Campania, silenti o assenti le altre regioni meridionali, al solito incapaci di fare squadra.

Andando così le cose, per bonus nidi e fondi per costruire altri asili, nel 2020 il Veneto riceverà 66 milioni di euro contro i 44 della Campania, che pure ha 35.000 bambini al di sotto dei 3 anni in più del Veneto.

L’ambigua recente intesa tra Stato e Regioni sulla legge quadro per l’autonomia differenziata ha trovato il presidente veneto non d’accordo solo sugli “schei” (come dichiara ai cronisti); ma c’è da chiedersi, visto che gli schei già adesso arrivano copiosi, se il problema principale non sia piuttosto di capire come si dice in veneto “chiagni e fotti”.

Conclude Esposito: “Chi ha di più, avrà di più, anche a tre anni d’età”.

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