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QT n. 2, febbraio 2021 Monitor: Libri

Il diritto di non emigrare

Perché emigrano Maurizio Pallante, Il diritto di non emigrare. Torino, Lindau, 2020, pp. 134, euro 13.

Antonio Marchi
Maurizio Pallante, Il diritto di non emigrare. Torino, Lindau, 2020, pp. 134, euro 13.

Ne ho tanto parlato e scritto, ma niente: il tema dei migranti finiva o in fondo al mare o nelle stive delle ong, o nei respingimenti. Un continuo, ossessivo lamento, uno stracciarsi le vesti per i morti in mare e la polemica sulle Ong e i decreti sicurezza, e l’Europa che non fa la sua parte.

Ma è possibile che non si capisca che il problema erano e sono gli imbarchi e non gli sbarchi? Con le Ong che si ergono a paladini dell’accoglienza, a salvatori del naufrago, mettendo in mostra i corpi morti dei fratelli di miseria per un dollaro di carità.

A lenire il mio lamento, finalmente arriva un libro che fa chiarezza. Dopo averlo letto, mi è sembrato di uscire da un incubo che mi assillava sui complessi motivi che spingono milioni di persone a lasciare i loro paesi per emigrare in Italia o in Europa, e tante volte annegare nel Mediterraneo. Ora voglio provare a raccontarlo per farlo conoscere a chi, senza se e senza ma, ripete che “salvare tutti è un dovere”.

Il mio tentativo è arduo, perché è quasi impossibile riassumere tutto quello che c’è in questo libro e dunque l’ invito è a leggere “Il diritto di non emigrare”, che smonta la favola bella del migrante che scappa dalla sua terra per scelta alla ricerca dell’eldorado Italia o Europa. In realtà non scappa, ma è fatto scappare, non solo per colpa delle guerre, della repressione, della miseria, ma anche per colpa della truffa criminale di chi specula, di chi promette, di chi fa lo sporco mestiere dello scafista e imbarca depredandolo e minacciandolo.

Maurizio Pallante lo spiega bene in ogni sua pagina. Descrive la complessità dei problemi posti dalle migrazioni, la gestione dell’emergenza, la contrapposizione tra accoglienza e respingimento; perché aiutare le persone in pericolo di vita è un obbligo morale prima ancora che giuridico, ma la solidarietà che non consente di ignorare le sofferenze, non ne elimina però le cause.

Le sofferenze generate dalle migrazioni si riducono solo se si riducono i flussi migratori”. Chi sostiene che tutti hanno diritto a emigrare e va in loro soccorso non tiene in considerazione che dalla seconda metà del ‘700 le migrazioni sono state e continuano ad essere un’esigenza del modo di produzione capitalistico, e non una libera scelta per uscire dalla miseria.

La vera solidarietà con chi è costretto a emigrare non si manifesta limitandosi a sostenere la libertà di farlo e la sua accoglienza sempre e comunque, ma anche, e soprattutto, impegnandosi politicamente a eliminare, o quantomeno a ridurre, le cause che lo costringono a farlo”.

Se in passato le migrazioni si giustificavano con l’esigenza di conquista dei popoli di altri territori da sfruttare economicamente sottomettendo o sterminando gli abitanti, o costringendoli ad emigrare, gli attuali flussi migratori verso i paesi ricchi sono causati dall’esigenza di questi ultimi di impadronirsi delle materie prime, delle risorse energetiche esistenti nei territori dei paesi poveri per sostenere la propria crescita economica. Questi paesi predatori, per appropriarsi delle ricchezze, agiscono “con la violenza, l’inganno, la corruzione, la devastazione ambientale, costringendo le popolazioni povere ad abbandonare i loro Paesi con la speranza di trovare nuove opportunità di vita andando ad incrementare il numero dei produttori/consumatori di merci di cui le economie dei Paesi ricchi hanno bisogno per continuare a prosperare”. Perciò, le migrazioni attuali “sono la forma del dominio dei ricchi sui poveri e dei forti sui deboli nell’epoca storica della globalizzazione”.

Un’egemonia capitalistico-culturale esercitata dalle società occidentali nei confronti dei paesi africani, che li induce a disprezzare la propria storia, a omologarsi ai valori dei paesi ricchi, a suscitare il desiderio di emigrare.

Se si confonde la costrizione a emigrare (l’impossibilità a vivere dove si è nati) con la libertà o il diritto di emigrare, si cancella dal proprio orizzonte mentale la possibilità di contribuire a rimuovere le cause che costringono a emigrare, generando sofferenze, aumentando le disparità tra popoli poveri e popoli ricchi, aggravando la crisi ambientale.

La povertà degli oltre 800 milioni di persone che soffrono la fame o la malnutrizione dovrebbe sollecitare i paesi ricchi a mettere a disposizione di quei popoli “le conoscenze scientifiche e le tecnologie dei paesi industrializzati non per indurli ad imitare il loro modello economico e produttivo, ma per aiutarli a rendere più efficaci i modi, con cui, sulla base della propria storia e dei propri valori, ricavano dai luoghi in cui vivono ciò che ritengono necessario per vivere”.