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QT n. 12, dicembre 2022 Servizi

La nuova attualità della diga di Valda

Emergenze climatiche e sviluppo della meteorologia spingono verso la riconsiderazione di un progetto controverso

Dal novembre del 1966, data dell’ultima disastrosa alluvione dell’Adige, e dopo i molteplici studi diligentemente effettuati nel corso degli anni, la città di Trento attende dalla Provincia le opere per la sua messa in sicurezza nei confronti delle alluvioni.

Nell’oltre mezzo secolo, trascorso dall’alluvione del’66, nel Consiglio Comunale di Trento si sono susseguite varie interrogazioni sul tema, più ordini del giorno approvati all’unanimità, ai quali è seguito molto poco di sostanziale.

Solo dopo l’ordine del giorno del 25 luglio 2009, approvato nel settembre del 2011, e successive domande d’attualità, presentate puntualmente in ogni occasione di allerta alluvione, si è cominciato a muovere qualcosa.

Dapprima una lettera circostanziata del Sindaco al Presidente della Provincia di Trento con la quale si chiedeva un esame dettagliato delle azioni ed opere, poste in atto dalla Provincia, che servissero ad assicurare alla città di Trento la sicurezza nei confronti delle alluvioni dell’Adige. Si consideri che si stava dando sostanza al progetto del nuovo ospedale provinciale – il Not - su un’area giudicata potenzialmente alluvionabile. E’ seguito un incontro tra i tecnici Provinciali e le due Commissioni consiliari dell’Urbanistica e dell’Ambiente del Comune di Trento.

Trento nell’alluvione del 1966

Nel novembre 2014, avvenne la prima presentazione dello stato dell’arte della sicurezza idraulica della città di Trento, al Consiglio ed alla Giunta Comunale, con grande spolvero di responsabili tecnici, della Protezione Civile, dei Bacini Montani e delle Foreste, con l’Assessore provinciale all’epoca deputato alla materia.

Si ricordò ai consiglieri comunali come l’alveo del fiume Adige, che anticamente attraversava la città connotandone lo splendido assetto urbano, fosse stato rettificato alla fine dell’Ottocento mediante un canale artificiale, realizzato con tecniche molto povere dall’Amministrazione austroungarica, per risanare aree agricole prima pericolosamente invase dall’acqua ad ogni piena del fiume, ma soprattutto per favorire il tracciato della nuova ferrovia, altrimenti costretta all’edificazione di troppi ponti, e per proteggere dalle piene la parte di città che si voleva espandere.

Il fiume Adige correva allora libero, con grandi meandri in una valle semi-paludosa che si spingeva sino a Merano, con una portata moderata, nelle sue punte, dalle espansioni nelle campagne a monte della città, e dai lunghi tempi impiegati dall’acqua per defluire dai monti a valle, grazie alla modestissima cementificazione degli abitati presenti nel suo bacino idrografico.

Oggi la portata dell’Adige a Trento nella sezione del ponte di San Giorgio, rappresentata dalla somma delle portate dell’Avisio, del Noce, e naturalmente dello stesso Adige a Salorno, ha un regime semi-torrentizio, a causa della impressionante cementificazione degli abitati presenti nel bacino. Non c'è paese, infatti, che non abbia arginato i corsi d’acqua cementificando gli spazi ripali, e quindi riducendo i tempi di deflusso.

Nelle condizioni di massima criticità - si avvertì - è possibile arrivare e superare i 3.000 metri cubi al secondo, e non si formulò previsione circa il tempo del ripetersi di tale portata.

Ora, se consideriamo come l’alluvione del 1966 registrò all’altezza di Trento una portata di non più di 2.200 metri cubi al secondo, che fecero gravissimi danni, è chiaro il disastro che provocherebbero 1.000 metri cubi in più.

Queste quindi le opere che si sarebbero dovute fare per garantire sicurezza alla città.

Innanzitutto l’innalzamento e il rinforzo degli argini a monte ed attraverso l’area del Comune di Trento, per poter difendere la città da una portata di almeno 2.500 metri cubi al secondo. Un intervento peraltro figlio di una logica controversa, perché alzare gli argini a monte significa spostare i problemi a valle.

Seguiva invece una logica più moderna il secondo intervento: la gestione, attraverso le nuove conoscenze in meteorologia, della portata del torrente Noce tramite lo sfruttamento della capacità di invaso del bacino artificiale di Santa Giustina, parzialmente svuotato prima di ogni prevista grande pioggia, lasciato poi riempire in previsione del passaggio di un'onda critica dell’Adige, e infine svuotato a passaggio avvenuto. In questa maniera si ridurrebbe l’apporto del Noce al fiume di almeno 200-300 metri cubi al secondo.

Il punto poi diventa governare la portata del torrente Avisio, che durante la disastrosa alluvione del 1966 aveva raggiunto e superato i 1000 metri cubi al secondo. Qui si può agire sull’invaso del bacino artificiale di Stramentizzo, che viene lasciato riempire, sino a 10 milioni di metri cubi di capacità teorica durante il passaggio di onda critica dell’Adige. Anche qui si riduce di almeno 200-300 metri cubi al secondo l’apporto dell’affluente all’onda di piena. Per rendere effettivo questo intervento occorrono dei lavori: infatti attualmente la capacità residua del bacino non supera i 7 milioni di metri cubi, dato il parziale interramento avvenuto negli anni dalla sua realizzazione nel 1957 ad oggi, e mai svuotato per molteplici ragioni ed interessi .

Poi si deve chiedere che la provincia di Bolzano faccia la sua parte, limitando a Salorno la portata dell’Adige ad un massimo di 1.400 metri cubi al secondo, obiettivo raggiungibile mediante opere che il Sudtirolo deve realizzare sul suo territorio, che peraltro ne beneficerebbe.

In linea di massima l’insieme di queste indicazioni apparve di buona fattura, ma come sempre il diavolo sta nei dettagli della realizzazione.

Quando saranno ultimati i lavori di sovralzo e rinforzo degli argini del fiume Adige? Come fa la Provincia di Bolzano a ridurre da 1.600 a 1.400 metri cubi al secondo la portata a Salorno, essendosi finora ben guardata dal realizzare alcun bacino di laminazione delle piene?

Quando sarà svuotato il Bacino di Stramentizzo e realizzato il sovralzo della diga con un nuovo scarico di fondo, per renderlo idoneo a laminare almeno parte della portata di piena del torrente Avisio?

Queste domande si possono porre ancora oggi, novembre 2022, a ben 56 anni dalla storica alluvione. Siamo perciò ancora lontani dalla messa in sicurezza idraulica della città, condizione indispensabile per dar luogo alla importante trasformazione urbanistica di cui si parla. Infatti il nuovo ospedale e la facoltà di medicina, l'utilizzo delle ex Caserme, il boulevard, e la nuova funivia del Bondone presuppongono la messa in sicurezza dell’Adige, così come il tanto atteso affaccio della città al suo fiume.

A questo punto ridiventa molto attuale il progetto più importante per arrivare all’eliminazione del rischio idraulico della città: la realizzazione di una nuova diga in località Valda, che con i suoi 40 milioni di metri cubi di capacità riuscirebbe a ridurre la piena del torrente Avisio, e quindi dell’Adige, di oltre 500 metri cubi al secondo.

Il progetto è ormai al livello esecutivo, già pagato, con il Servizio Geologico della Provincia che ha già operato tutti i sondaggi per garantire la stabilità delle fondazioni della nuova diga. E se in passato ci sono state diverse opposizioni all’opera, oggi, con le spaventose evidenze di variazioni climatiche in termini sia di carenza di piogge come di precipitazioni disastrose, diventa di massimo interesse la realizzazione del bacino di Valda. Sia per la sua capacità di laminazione delle piene del torrente Avisio, ma anche quale riserva idrica per l’irrigazione del tesoro vitivinicolo della val di Cembra e per i territori agricoli della val d’Adige, come pure per la possibilità di produrre energia idroelettrica rinnovabile.

Si tratta di un progetto che ha un potenziale ritorno economico ed ambientale formidabile, da valorizzare, valutandone il costo ed i benefici, vecchi e nuovi. Tra i benefici, non ultimo è quello di venire in aiuto al capoluogo e al contempo di essere propulsivo per una valle: una significativa sinergia tra i territori.