I volti della sapienza. Dosso e Battista Dossi nella biblioteca di Bernardo Cles
Trento, Castello del Buonconsiglio, fino al 22 ottobre
Il restauro da poco ultimato dei dipinti di Dosso e Battista Dossi e della loro bottega per la “libraria” del Clesio, è divenuto l’occasione per questa mostra che è godibile per più aspetti. Anzitutto essa ricostruisce le vicende, divenute come quelle del Castello molto accidentate a partire dall’epoca napoleonica, delle diciotto tavole, rimaste poi dodici, destinate al soffitto della biblioteca, dipinte a tempera tra il 1531 e il 1532, e ci consente di vederle a distanza ravvicinata prima della loro collocazione definitiva.
In secondo luogo aiuta a percepire meglio le differenze di stile tra i due fratelli e le modalità della collaborazione tra loro e con gli aiutanti, portando avanti il discorso proposto nella memorabile mostra sui Dossi tenuta al Castello una decina di anni fa, focalizzando oggi l’attenzione sul trattamento del tema iconografico dei “Sapienti”. Cioè su quelle figure di antichi filosofi, poeti e scrittori che, a partire dall’Umanesimo, diventano una presenza caratterizzante e quasi obbligata dell’apparato decorativo delle biblioteche.
Tre opere di Dosso, provenienti da musei di Ferrara, dell’Ontario e della Virginia, dipinte tra il 1520 e 1l 1522, mostrano il suo piglio molto personale nel trattare questo tema, sia per l’energia che fonde una poderosa corporeità di matrice michelangiolesca con il sontuoso cromatismo veneto, sia perché sanno evadere senza timore dalla convenzione iconografica del sapiente come uomo anziano e barbuto. Il diverso carattere del fratello Battista si può riconoscere qui, tra l’altro, in ritratti di alta qualità, ma meno impetuosi, inclini ad una quiete meditativa.
Come si riflette tutto ciò nelle tavole per la “libraria” del Clesio? Alessandra Pattanaro, in un denso contributo all’analisi stilistica dei Dossi e di questo ciclo in particolare, dice che, se l’impianto generale del soffitto viene da progetti pensati da Dosso una decina d’anni prima per il duca di Ferrara, “le singole figure sembrano concepite dalla mentalità di Battista ed eseguite forse con l’ausilio dei ‘lavorenti’, e solo saltuariamente, in particolare per le messe a punto finali, deve essere intervenuto il più anziano fratello”. Forse, possiamo aggiungere, in certi cieli gravidi di tempesta si può ancora avvertire la traccia del modo di sentire di Dosso, ma senza il vibrante estro inventivo che gli era proprio.
Clesio, divenuto cardinale da un anno (1530), aveva un programma autocelebrativo che richiedeva non solo una biblioteca, ma un apparato pittorico consono a un principe rinascimentale che intendeva “portare Roma nelle Alpi”.
Questi “sapienti” sono tipi idealizzati, associati da certi contrassegni alle arti e alle discipline del canone classico, ma non identificabili con precisi personaggi: sono numi tutelari del sapere che attestano anche la cultura del loro committente. Semmai ci si può chiedere perché i sapienti pagani non siano messi in dialogo con i padri e dottori della Chiesa, come si era iniziato a proporre da qualche decennio, e diventerà usuale nel secolo successivo (cui la mostra riserva un’ apposita indagine) all’indomani del concilio. È improbabile che le sei tavole mancanti rispondessero a un simile idea, che forse fu aggirata proprio evitando di attribuire alle effigi una precisa identità personale.
Quando, dopo la caduta del Principato vescovile, furono tolte dal soffitto, le tavole vennero assegnate al Liceo Ginnasio, e là si trovavano ancora alla fine della Grande Guerra, quando il sovrintendente Giuseppe Gerola decise di ripristinare la “libraria” clesiana, anche abbattendo tramezzi che nel frattempo l’avevano divisa, collocandovi poi la raccolta archeologica.
Probabilmente, se abbiamo ben capito, questo ritrovato maestoso ambiente non ha mai svolto la funzione per la quale fu creato. Alla morte del Clesio (1539) i volumi di cui disponeva non vi erano collocati (come ricorda il Mattioli nel suo poema encomiastico dedicato al Magno Palazzo). Ma il patrimonio librario era divenuto notevole (si parla di mille volumi, una parte dei quali è conservata alla Biblioteca Comunale di Trento, che ha prestato alcuni pezzi per la mostra), frutto sia degli studi personali del Clesio a Verona e soprattutto a Bologna, sia dei consigli richiesti a grandi intellettuali con cui era in contatto, il più prestigioso dei quali era Erasmo da Rotterdam.