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La mia famiglia tunisina

Vincere una borsa di studio di Intercultura per trascorrere un anno in un paese, la Tunisia, quando invece si voleva andare in Cina. Dallo sconforto iniziale alla scoperta di un paese bellissimo. Da “Una Città”, mensile di Forlì

Beatrice Boninelli. A cura di Gianni Saporetti

Sono partita nel 2019 per trascorrere un anno di studio in Tunisia, con un progetto di Intercultura, un’associazione no-profit che offre soggiorni di studi all’estero con delle borse di studio. Quando fai la richiesta, devi anche proporre alcune destinazioni. Potevo indicarne al massimo una decina, ma volevo andare in Cina. Avevo segnalato nove paesi, mancava il decimo e i miei genitori la sera prima della consegna della mia domanda, mi hanno chiesto: “Perché non aggiungi la Tunisia?” Ho risposto che non mi interessava. Poi alla fine l’ho inserito. Sono passati alcuni mesi e quando sono usciti i risultati mi sono sentita mancare il terreno sotto i piedi e ho iniziato a piangere, perché la Tunisia era l’ultima delle mie scelte. Ma alla fine ho deciso di partire. Ed è stata la scelta migliore che potessi prendere.

La prima settimana sembrava di essere in vacanza. Era fine agosto, era caldo, c’erano questi paesaggi bellissimi di mare, eravamo tutti assieme, era bello. Poi arrivi dalla famiglia ospitante e dopo alcuni giorni cominci a capire che non è una vacanza. Anzitutto c’è il problema della lingua. In casa, i miei fratelli ospitanti parlavano inglese ma non benissimo, il padre qualche parola di francese e poi il tunisino, la madre solo tunisino. Comunicavamo a gesti, non era semplice. Poi la questione del cibo, buonissimo - infatti ho preso otto chili - però all’inizio non capivo cosa stavo mangiando.

Poi sono diventata dipendente dagli altri: avevo bisogno di qualcuno per andare al supermercato, per qualsiasi cosa perché non sapevo parlare, non sapevo gestire i soldi e così via... Ma dopo un mese cominci a orientarti. Anche a scuola all’inizio non conosci nessuno, arrivi in una classe già formata, ti devi presentare, affrontare i pregiudizi che hanno gli altri nei tuoi confronti, oltre a quelli che hai tu verso di loro. Quindi l’impatto è stato sicuramente forte.

Le famiglie ospitanti sono volontarie, non vengono pagate, lo fanno veramente per uno spirito di socialità e accoglienza. La mia era composta da padre e madre fra i 60 e i 70 anni e quattro figli, due maschi e due femmine, tutti sopra i 25. Ma la famiglia era composta anche dai cugini, gli zii, gli zii dei cugini: a tutte le ore c’era gente che passava anche solo per un saluto, per lasciare dei datteri che avevano raccolto, per chiacchierare o per cenare tutti assieme. Quello della famiglia è un valore che ho riscoperto lì. In Italia avevo il concetto che famiglia sia quella stretta, i genitori, i fratelli. Certo, ho sempre incontrato anche la parte più larga, alle feste o in altre occasioni, però erano rapporti più distaccati. Per i tunisini il valore della famiglia è altissimo e grande il rispetto per gli anziani. Il nonno abitava accanto alla nostra casa e ogni mattina, se lui era seduto lì davanti, noi appena scesi, passavamo e lo salutavamo, chiedendogli come stava.

La casa era abbastanza grande. Una grande cucina con i divani dove si trascorreva la maggior parte del tempo, poi un salone, la camera da letto dei genitori e tre camere da letto per noi. Poi un balcone, dove si stendeva, e anche una terrazza.

In Tunisia non ci sono i tetti come da noi, sono tutte terrazze, e nella nostra vivevano un sacco di animali domestici: galline, conigli, tartarughe... Poi la casa era comunicante con quelle degli altri, zii, cugini e parenti.

Quello che mi ha aiutato a cambiare la mia prospettiva è stato proprio vivere la vita di tutti i giorni insieme a loro: dopo un certo tempo, non ero più un ospite. Maometto dice che per tre giorni si è ospiti, dopo si è parte integrante della casa. Quindi vieni considerato in tutto e per tutto parte della famiglia.

Loro hanno un grande rispetto dei ruoli maschio-femmina e ci sono cose che si possono fare e altre che sarebbe bene no. Io avevo a scuola un amico carissimo che mi aiutava a fare i compiti, e ogni tanto mi invitava a casa sua per guardare un film. Quando dovevo dirlo alla famiglia ospitante, ero un po’ in difficoltà, perché per loro non era usuale che una ragazza andasse a casa di un ragazzo. Allora pregavo la mia sorella ospitante di fare da tramite e chiederlo lei per me. Era in gioco la reputazione della famiglia, abitavamo in una frazione dove si conoscevano tutti. .

Così io parlo di me come un “Beatrice pre-Tunisia” e “Beatrice post-Tunisia”. Sono arrivata lì che ero arrogante, magari anche per l’età, 17 anni: credevo di sapere tutto, ma quando sono tornata la dimensione globale è entrata a far parte della mia vita. Ho amato la Tunisia, ancora oggi sento quasi tutti i giorni la mia famiglia ospitante e ci vogliamo davvero bene. E poi mi hanno supportato perché - a proposito delle mie disgrazie nell' anno all’estero - mi sono pure fratturata una caviglia e durante il ricovero - visite, tutore, fisioterapie - sono stati sempre presenti, mi hanno sostenuto in tutto, anche economicamente. Quindi questi legami e le amicizie che ho costruito mi hanno fatto amare la Tunisia.

In Tunisia c’è sicuramente una disparità tra uomo e donna, cose che noi non capiamo, però ho visto anche un rispetto della figura della donna che da noi si è perso, una cosa d’altri tempi. La mia famiglia ospitante era credente, praticante, tutte le mie sorelle e mia madre portano il velo, ma la religione era vissuta come una libera scelta. A volte nel quartiere vedevi delle bimbe velate e mio padre ospitante diceva che a nove anni non puoi aver scelto tu di indossarlo. Quindi c’è anche questo aspetto della religione, dell’Islam, che magari tendiamo a ignorare.

A volte, scherzando con le mie sorelle, mi velavo. Se il padre ci vedeva, rideva anche lui, però mi diceva di toglierlo: non era una cosa mia, non mi apparteneva.

Non si può negare che comunque ci sia una subordinazione della donna nella società. Ma dentro le case è diverso, la moglie in qualche modo comanda e poi è sempre più diffuso il fatto che le donne lavorino.

Una situazione molto critica invece è quella della comunità Lgbt. Il mio volontario di riferimento in Tunisia era un ragazzo molto giovane, rappresentante per la nostra città di un’associazione che aiuta gli appartenenti alla comunità Lgbt. Ho partecipato a delle loro riunioni e una cosa che mi ha sconvolto è che ci sono molte cose che i ragazzi non sanno, a cui si potrebbero ribellare. Per esempio, quando ero lì (non so adesso) capitava che venissero fatte ancora delle perquisizioni corporali, una cosa non più ammessa dalla legge. Era vietata, ma non lo si sapeva in giro. Quindi capitava che una coppia di ragazzi venisse fermata e perquisita dai poliziotti perché si presumeva fossero omosessuali. Era proibito, ma non lo si sapeva. Quindi questa associazione aveva anche il compito di diffondere questa consapevolezza.

Tetti della Medina di Tunisi

Il quartiere era circondato da moschee ovunque, quindi durante le cinque preghiere, sentivo sempre il muezzin che cantava ed era anche piacevole ascoltarlo. Prima di ogni preghiera si deve essere veramente puliti, non possono pregare sporchi. E per sporchi intendo anche semplicemente avere toccato qualcosa. Appena è il momento della preghiera sistemano il tappetino in direzione della Mecca, dopodiché si lavano accuratamente mani, viso, piedi, tutto, e vanno a pregare. Poi c'è tutta una serie di altre pratiche: prima di mangiare, per esempio si dice “bismillah”, che è un modo per ringraziare Dio per il cibo. Tutto è collegato a Dio in qualche modo. Se qualcuno per esempio chiede: “Come va?” non si risponde semplicemente “Tutto bene” (“Lebes” in tunisino), bensì “Hambdoullah”, che vuol dire, “Grazie ad Allah tutto bene”. Oppure un’espressione che ci ho messo mesi per imparare a usarla in modo appropriato: “Saha”, che si usa in molti contesti diversi, ma che vuol dire sempre: “Che Allah ti dia la salute per goderti quella cosa”. Per esempio, se compri un vestito e lo mostri a qualcuno, ti rispondono: “Saha”, cioè che Allah ti dia la salute per goderti il vestito nuovo. Ti fai una doccia, sei uscito, sei pulito, sei a posto, “Saha”, che Allah ti dia la salute per goderti la doccia che ti sei fatto. Alla fine queste espressioni le usavamo anche noi perché fanno parte della vita di tutti i giorni.

La loro religione è molto normativa, ci sono regole su come comportarsi in ogni situazione; però tutto questo non lo imponevano agli altri. Certo, quando entravamo nelle moschee dovevamo metterci il velo, ma quello è il rispetto per un luogo pubblico. Era comunque difficile incontrare persone non musulmane che non fossero stranieri. C’è una forte comunità ebraica e anche una comunità cattolica e la convivenza è abbastanza pacifica, perché partono dal presupposto che si crede tutti nello stesso Dio: l’ateismo non lo concepiscono.

In Tunisia è normale vivere a casa dei genitori fino ai trent’anni, e oltre. Mi è capitato spesso che bussassero alla porta, io andavo ad aprire, ed erano delle signore, mai viste prima, che volevano chiedere a mia madre ospitante di sposare il proprio figlio con una sua figlia. Ma la famiglia era molto aperta da questo punto di vista, e mia sorella ospitante andava dalla madre a raccomandarle di dire di no, che lei stava pensando ad altro.

Quanto al sesso, in teoria non si può praticare prima del matrimonio. E la donna nel 90% dei casi veramente non lo fa; gli uomini invece sì. Molti hanno rapporti con donne, soprattutto non musulmane: quando una ragazza straniera arriva nella comunità, viene subito adocchiata, perché potrebbe rappresentare una facile via per un rapporto.

Gli uomini hanno relazioni con donne che poi non sposerebbero mai perché hanno avuto rapporti prima del matrimonio. Addirittura non ci si può baciare, quasi nemmeno toccarsi la mano, prima del matrimonio. Qualunque contatto fisico lo devi riservare alla persona con cui passerai la vita. Ci sono per fortuna sempre più ragazzi e ragazze che la pensano diversamente.

Si balla tanto perché ci sono continuamente matrimoni che durano almeno una settimana. E ogni giorno è una festa, e in alcuni momenti partecipa tutto il vicinato. C’è sempre musica folkloristica e balli molto semplici, e poi magari anche quando si è a casa, si mette su la musica e se non c’è nulla da fare, magari si comincia a ballare. È una cosa bellissima! Io prima di partire ho sempre avuto dei freni inibitori: se una cosa non la sapevo fare bene, non la facevo. Ma una volta che arrivi lì, trovi queste situazioni dove ci sono vecchi, giovani, donne, uomini, di tutte le età, che ballano, e queste danze che hanno dei movimenti molto semplici; c’è addirittura gente che balla da seduta. E a nessuno importa come lo fai, l’importante è divertirsi.

Sono passati quattro anni dal mio ritorno, ma credo che anche fra dieci anni la Tunisia rappresenterà una tappa fondamentale della mia vita.

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Beatrice Boninelli, 21 anni, catanese, vive e studia a Forlì.