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QT n. 6, giugno 2024 L’editoriale

Giorgia contro Elly, e i temi di fondo

E’ stato interessante al Festival dell’Economia il confronto a distanza Meloni-Schlein. Intendiamoci, non siamo entusiasti della deriva da talk show che ha preso il Festival. Ha sicuramente catalizzato l’attenzione di tutti i media, che Trento e il suo festival lo hanno citato in lungo e in largo per un paio di giorni; ma ci sembra un’attenzione effimera, transitoria, dovuta alla prossimità delle elezioni e alla contingente possibilità di supplire alla mancanza dei mitizzati scontri diretti dei leader in tv; e per converso una manifestazione che si vorrebbe culturalmente elevata, che fa perno non sui premi Nobel, ma su una sfilata di ministri e sottosegretari, talora, anzi spesso, di modesta levatura, e che dicono a Trento il contrario di quanto detto prima, per poi cambiare ancora (esemplare in proposito l’ineffabile ministro della giustizia Carlo Nordio) la manifestazione, dicevamo, ci sembra abdicare al suo ruolo.

Poi, è vero, c’erano vari altri eventi: sulla transizione ecologica, su auto elettriche e dazi, sull’intelligenza artificiale: ma sembravano dei corollari, non presentavano relatori di spicco, non aggiungevano molto – almeno quelli cui abbiamo assistito - a quanto già si sapeva.

Insomma, la trasformazione da Festival dell’Economia e delle sue conseguenze sociali, a sgargiante passerella per politici, non ci sembra un cambiamento di lungo respiro.

Detto questo, torniamo al confronto sulle due prime donne della politica italiana. “Prime donne” non a caso; almeno per quanto riguarda Meloni. Che anche a Trento, fin dal titolo dell’intervento – un presuntuoso “Io, Giorgia, e i dilemmi dell’Europa” (e scusate se è poco) – poneva se stessa come punto cardine della propria proposta politica. E così poi durante l’intervento – incoraggiata dalla piatta condiscendenza dell’intervistatrice (Maria Latella, di Sky TG24) – era sempre un “io, io, io” “penso, dico, faccio” forse efficace per un certo pubblico (in sala c’erano un paio di gruppi di giovani osannanti), almeno finché non le è scappata la frizione: “La mia vita è questa: mi alzo la mattina, vedo di risolvere questioni, finché torno a casa a dormire. In tutta la giornata avrò forse un’ora per mia figlia” Insomma, la solita, penosa lamentazione del leader troppo impegnato, poverino; e poi la frase che ha fatto il giro dei media: “Qui o la va o la spacca, se non passano le riforme vado a casa, non faccio questa vita solo per scaldare la sedia”. Due giorni dopo ritrattava: “Se perdo il referendum costituzionale, chi se ne importa? Io rimango al governo per tutti i cinque gli anni”.

Comunque, a parte questo brutto scivolone e un altro paio di uscite eccessive, la Presidente ha avuto una certa efficacia nel presentare innanzitutto se stessa, ma anche, in parte, l’operato del governo. Con qualche acrobazia, tipo i condoni che diventano “un fisco non vessatorio”, il rifiuto del salario minimo (di 9 euro) che è a difesa dei lavoratori perché “tutti i salari si appiattirebbero su 9 euro” la sanità pubblica su cui si è tanto investito ecc. E in ogni caso, i problemi dell’Italia sono responsabilità dei governi precedenti, da sempre di sinistra (anche quelli in cui Giorgia era ministro?). Insomma, una certa abilità dialettica che, per i suoi sostenitori, riesce a mascherare le tradizionali difficoltà dei governi sovranisti nel mantenere le fantasmatiche promesse elettorali.

Elly Schlein partiva avvantaggiata. Dal parlare – stessa spiaggia, stesso mare – due ore dopo, e potere pertanto ribattere; e dall’avere un intervistatore (Ferruccio De Bortoli) poco accondiscendente, e che quindi le forniva il destro di argomentare in maniera più convincente, invece di appiattirsi su litanie autocelebrative.

Poteva quindi facilmente ribaltare le affermazioni più disinvolte della Presidente. Aiutata anche da un pubblico amico, meno sguaiato ma più partecipe di quello meloniano (24 applausi a 8, anche se i decibel erano tutti per Giorgia), a nostro avviso vinceva la partita.

Con due riserve di fondo. La prima è sul mantra di Meloni “E la sinistra al governo che ha fatto?”, che si prendeva la risposta: “Se il Pd avesse fatto tutto giusto, non sarei io la segretaria; e comunque dopo 19 mesi al governo, Meloni dovrebbe dire quello che fa lei”. Perfetto; ma rimane il problema che non si vedono grossi rivolgimenti nella linea della sinistra ora guidata dall’outsider. E analogo è anche il limite su quello che doveva essere il punto centrale della svolta di Schlein, la lotta alle disuguaglianze. Perché è giusto e facile denunciare il governo “dei 19 condoni”, dell’”occhio strizzato agli evasori”, ma una politica fiscale alternativa, in grado di ribaltare 30 anni di crescenti disuguaglianze, non si vede.

Come mai? Perché ci si rassegna a considerarla impopolare. Occorrerebbe una battaglia politica e soprattutto culturale: ma non si vede all’orizzonte.