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QT n. 11, novembre 2025 Servizi

ITEA: il declino dell’Istituto denunciato all’Onu

I movimenti segnalano all’Onu le violazioni del diritto all’abitare conseguenti alle pratiche di ITEA. Con esiti positivi.

L’ITEA, Istituto Trentino per l’Edilizia Abitativa, sorto nel 1922 e rilanciato cinquant’anni dopo da Bruno Kessler come tassello fondamentale dell’Autonomia, ha rappresentato un servizio fondamentale nella tutela del diritto all’abitare. I lettori di QT di antica data ricorderanno come fin dal 1980 ne avessimo analizzato (i tanti, allora) meriti, e i limiti, via via crescenti.

A partire dal 2000, la crisi abitativa si è aggravata e l’allora super presidente Lorenzo Dellai pensò bene (si fa per dire) di trasformare ITEA in Società per azioni. Da allora l’ente ha mostrato crescenti difficoltà nel portare avanti la propria missione. I bilanci annuali evidenziano chiaramente che, a fronte degli alloggi riconsegnati, il numero di appartamenti effettivamente riassegnati tramite graduatoria continua a diminuire.

A fine luglio 2024 è stato pubblicato il Bilancio Sociale relativo al 2023, che restituisce un quadro preoccupante di negligenza e incuria nella gestione del patrimonio pubblico. Al 31 dicembre 2023, le unità abitative gestite da ITEA risultano 10.644 (14 in meno rispetto al 2022, a causa della vendita di alcuni immobili), di cui solo l’86% effettivamente locato, ossia assegnato all’utenza.

Secondo la tabella riportata nel Bilancio, gli alloggi in ristrutturazione sono 1.132: 407 con lavorazioni in corso (necessitano di sistemazioni più o meno importanti), 674 in programmazione (in attesa di ristrutturazione completa e pianificazione), 51 in fase di verifica finale.

A questi si aggiungono 161 alloggi di prossima consegna (segnalati agli enti locali per l’assegnazione) e 141 in fase di sgombero, cessione o valutazione. Altri 67 alloggi, infine, sono stati riconsegnati all’ente proprietario – solitamente i Comuni – affinché provveda alla ristrutturazione a proprie spese, come nel caso di Trento e Rovereto.

In totale, quindi, al 31 dicembre 2023 risultavano 1.501 alloggi ITEA sfitti, mentre, come si legge a pag. 37 del Bilancio Sociale, 2.812 persone avevano presentato domanda di assegnazione (1.138 per il solo alloggio e 1.676 per alloggio più contributo integrativo, cioè già inquilini nel mercato privato).

La capacità di ITEA di ristrutturare i propri immobili è risultata altalenante tra il 2014 e il 2020.

Nel 2020, complice la pandemia, si registra un vero tracollo: 718 alloggi in attesa di ristrutturazione, solo 235 ristrutturati e 340 riconsegnati.

Nel 2021 il trend negativo prosegue con 980 alloggi in ristrutturazione, 227 ristrutturati, 480 riconsegnati, mentre nel 2022 se ne contano 1.036 in ristrutturazione, 351 ristrutturati e 412 riconsegnati.

Le conseguenze sono evidenti: i canoni delle case ITEA raggiungono ormai livelli paragonabili ai prezzi di mercato – già elevati anche per il ceto medio – e molti affittuari faticano a sostenere costi e bollette sempre più onerosi. Negli ultimi anni, inoltre, ITEA ha avviato una campagna di sfratti per finita locazione nei confronti di nuclei familiari che avevano ottenuto un’assegnazione d’urgenza, senza offrire alternative abitative a persone già in forte difficoltà sociale ed economica.

Il ricorso all’ONU

Dall’estate del 2023, grazie all’impegno della società civile e dei movimenti per il diritto all’abitare – in particolare lo Sportello Casa per Tutti di Trento – diversi casi di sfratto da alloggi ITEA sono stati segnalati al Comitato ONU per i Diritti Economici, Sociali e Culturali, denunciando la violazione del diritto all’abitare da parte dello Stato italiano. Tale diritto è riconosciuto da numerosi trattati internazionali e dalla stessa Costituzione italiana, come condizione essenziale per una vita libera e dignitosa (Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, 1948; Convenzione sull’eliminazione della discriminazione contro le donne, 1979; Convenzione sui diritti dell’infanzia, 1989; Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, 1966; Convenzione europea dei diritti dell’uomo, 1950; Carta sociale europea, 1961 e 1996).

Negli ultimi anni diversi movimenti per il diritto all’abitare in Europa – in particolare in Spagna e in Italia – hanno utilizzato il meccanismo di reclamo individuale presso il Comitato ONU per segnalare la violazione di tale diritto. Sebbene le decisioni del Comitato non abbiano carattere vincolante per gli Stati, esse consentono di accertare pubblicamente la mancata osservanza degli obblighi internazionali assunti, sollevando anche la questione di quanto uno Stato possa realmente pretendere il rispetto della legalità da parte dei propri cittadini quando, a sua volta, non si preoccupa di rispettare quella internazionale a cui dovrebbe attenersi.

Nel solo ultimo anno, dall’Italia sono arrivati 48 ricorsi al Comitato ONU per la violazione del diritto all’abitare, di cui 6 provenienti dallo Sportello Casa per Tutti di Trento (pari al 12,5% del totale). Numeri che hanno suscitato preoccupazione a livello internazionale, tanto che a fine ottobre 2024 il prof. Rajagopal Balakrishnan, Rappresentante Speciale ONU per il diritto alla casa, è in visita in Italia per approfondire la questione.

I sei casi trentini riguardano tutti sfratti per fine locazione: cinque da appartamenti ITEA a Trento e uno da alloggio privato in zona Alto Garda. In quasi nessun caso le istituzioni – Provincia, ITEA, Comunità di Valle e Comuni – si sono attivate per garantire soluzioni abitative alternative, disinteressandosi del destino delle famiglie coinvolte.

Il Comitato ONU ha accettato tutti e sei i ricorsi, chiedendo all’Italia misure immediate: sospensione degli sfratti e individuazione di un’abitazione alternativa adeguata. I procedimenti sono tuttora in corso, ma la decisione del Comitato di intervenire in via provvisoria indica già la fondatezza delle segnalazioni.

Pur non essendo giuridicamente vincolanti, queste risoluzioni rappresentano un serio campanello d’allarme: certificano a livello internazionale la carenza di risposte strutturali al problema abitativo in Italia e la scarsa volontà politica di affrontarlo concretamente, al di là dei consueti slogan elettorali e degli eventi simbolici che servono più a placare le coscienze che a risolvere le emergenze reali.

Non è successo niente?

Le istituzioni locali hanno reagito alle segnalazioni ONU con un muro di retorica: le risposte ufficiali, basate sui dati forniti da Provincia e Comune di Trento, descrivono una situazione “sotto controllo” e parlano di strumenti “adeguati”, negando di fatto la gravità della crisi abitativa che emerge quotidianamente dalle cronache e dalle vite delle famiglie in difficoltà. Inoltre, tacciono sul fatto che molte misure citate come “soluzioni istituzionali” siano in realtà frutto di mobilitazioni collettive che hanno costretto le istituzioni a intervenire dopo anni di inattività.

L'ufficiale Giudiziario rimanda uno sfratto a seguito del ricorso all'ONU

Se andiamo a controllare il Welfare Italia Index redatto dal gruppo Unipol in collaborazione con The European House - Ambrosetti dal 2020 al 2024 notiamo che la Provincia di Trento è sempre ai primi posti; quindi ci diciamo “bene, siamo più bravi e virtuosi degli altri”, e la chiudiamo qui?

Ovviamente no, perchè a un’analisi più accurata salta agli occhi che il trend è in discesa: se nel 2020 il punteggio della PAT era di 83,4 (vengono presi in considerazione 22 parametri), nel 2021 sale a 85, nel 2022 cala di nuovo a 81,3 per poi risalire a 83,3 nel 2023; però nel 2024 si registra un altro calo, con il punteggio che scende a 79.7.

Se il trend è in discesa, sorge una domanda: se i problemi sociali legati anche alla casa aumentano, non dovrebbero aumentare anche i fondi per contrastarli?

Grazie all’intervento dell’ONU e dei movimenti per il diritto all’abitare, questa volta quattro dei sei sfratti segnalati sono stati rimandati (non annullati), uno degli inquilini ha ottenuto un nuovo alloggio ITEA e un altro ha trovato casa sul mercato privato – dimostrando che, quando si sceglie di ascoltare e di accompagnare le persone, una soluzione umana è possibile.

Resta però una domanda: dobbiamo davvero aspettarci che siano i movimenti dal basso e la società civile a farsi carico di correggere queste disfunzioni istituzionali?

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