Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Pane e vino

Elena Vesnaver

Quando sono nato mio papà voleva registrarmi come femmina per non farmi fare il servizio militare. Mio papà era panettiere e anarchico, solo che non lo sapeva. Di essere anarchico.

Mi raccontava dei posti dove non aveva combattuto e dove non aveva sparato a nessuno, anche se era stato soldato e il fucile glielo avevano dato eccome; io provavo una grande delusione, come quando lo zio Annibale, che era stato a costruire ferrovie in Canada, diceva che i Pellerossa erano buoni e gentili e chiamava i coyote cjanuts, cagnolini.

Mentre mio papà e mia mamma andavano a sposarsi ci fu un bombardamento e tutto il corteo di nozze dovette buttarsi nei fossi; per questo penso che lui disse basta guerre, basta divise, basta armi e niente militare per mio figlio.

Mio zio Lino era comunista e lo sapeva.

Mi passava i giornali e mi spiegava le notizie, mi raccontava dei partigiani e credo sia merito suo se mi è nato l’amore per la storia. Però mi portava anche al cine e lì sì che gli Indiani erano cattivi, con le piume e le pitture di guerra, e al circo, dove le trapeziste mi incantavano con quelle gambe al vento.

Zio Lino era di compagnia, gli piacevano i discorsi all’osteria con il bicchiere di vino davanti e qualche partita a carte. Parlava di politica e si accalorava, ma tutti si accaloravano per le idee, in quegli anni.

Poi fu la volta della Madonna Pellegrina.

Ci sarebbe stata una grande processione che avrebbe attraversato di sera tutto il paese e le case sarebbero state addobbate per l’occasione.

Solo che mio papà, in negozio, aveva sentito sussurri che, se non ci fosse stata mia mamma, la pagnotta gliela avrebbe tirata in testa a quella malalingua e zio Lino, quando arrivò dopo cena come sempre, disse che il vino gli era andato in veleno per quello che aveva sentito all’osteria.

Girava voce che tutti avrebbero onorato la Madonna Pellegrina, meno quelli là, perché quelli là della Madonna se ne fregavano, erano comunisti e senzadio. Quelli là era la mia famiglia, naturalmente. Quando mi mandarono a letto, zio Lino e papà erano ancora là a battere i pugni sul tavolo.

Il giorno della processione arrivò mio cugino Raimondo.

Parlò con mio papà, con zio Lino, buttò via la sigaretta e disse sì, lo facciamo; tornò dopo un’ora, con un camion pieno di luminarie che io non ne avevo mai viste tante, prestate dalla Festa dell’Unità, che là ancora non servivano ed erano a prendere umido in magazzino, che una scaldata proprio andava bene.

Raimondo, papà e zio Lino lavorarono tutto il pomeriggio davanti a casa, tirando metri e metri di lampadine, chilometri, ridendo forte come bambini cresciuti, mentre Argo, il mio cane abbaiava e ringhiava al materiale sconosciuto e poi correva da me, che stavo seduto su un gradino, stupito quanto lui.

Arrivò il buio e con il buio la statua della Madonna con il prete e le donne che pregavano. Una per una si accesero le lucette delle altre case, modeste corone di lumi attorno alle finestre o alla porta e allora Raimondo buttò la sigaretta e attaccò la spina nel muro.

Mamma mia. Sbattei le palpebre senza riuscire a credere ai miei occhi: davanti a casa, scritte con le luminarie, c’erano due enormi lettere dell’alfabeto, una vu doppia e una emme.

– Cosa vuol dire? – chiesi a Raimondo.

– Viva Maria.

Zio Lino e papà guardavano orgogliosi il loro capolavoro, mentre Raimondo rifletteva che quella poteva essere una bella idea per la Festa dell’Unità, magari scrivendo "W il Partito Comunista" e io sognai che una bella trapezista, attratta dalla luce come una farfalla, mi sarebbe caduta fra le braccia e avrebbe fatto le sue acrobazie solo per me.

La sognai di nuovo quella notte, mentre dormivo nel mio letto e il buio sembrava ancora più buio

"Sono nata a Trieste nel 1964 e a 12 anni ho deciso di diventare attrice. Poi, l’Istituto d’Arte Drammatica e tanti sceneggiati radiofonici presso la sede RAI di Trieste. Nel 1988, insieme a Maurizio Silvestri, ho fondato il Teatrodellaluna e ho iniziato a scrivere i testi dei nostri spettacoli. Nel ‘90 ho incontrato il Teatro di Strada, che mi ha spinto ad affrontare mostri sacri come Brecht e Beckett e classici della letteratura per l’infanzia. Nel frattempo tutti mi chiedevano perché non provavo a scrivere qualcosa di diverso da uno spettacolo. Ce n’è voluto di tempo, ma alla fine li ho accontentati".

Parole chiave:

Articoli attinenti

In altri numeri:
La terra dei freddi
Roberto Santini
Quando è troppo è troppo
Loredana Squeri

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.