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QT n. 5, 7 marzo 1998 Servizi

Scintille a Storo

Venti case incendiate in dieci anni: l'ultima, quella del sindaco. Che succede a Storo?

Giuliano Beltrani

Giovedì grasso: è scoccata da poco la mezzanotte; sulle strade c'è ancora molta gente, che si sposta da un locale all'altro per ballare. Ad un paio di centinaia di metri dalla discoteca Store Club di Storo (animatissima), nel silenzio rotto dai motori delle macchine che passano sulla Statale a poca distanza, c'è chi armeggia davanti ad una casa. La porta viene sfondata da qualcuno che sale per le scale fino al piano superiore (una mansarda) ed appicca l'incendio. Quel qualcuno poi (secondo una ricostruzione degli esperti) scende e tenta di appiccare il fuoco anche ai tappeti delle camere. Poi, via... Magari nella vicina discoteca, a fare un po' di carnevale.

Ma di chi è quella casa, a poche centinaia di metri dalla discoteca? Del sindaco di Storo, Olimpio "Pippo" Scaglia. La storia è conosciuta, perché è finita sui giornali.

Lo scalpore sollevato è notevole, anche perché bruciare la casa di un sindaco (sia pure la casa di campagna, cui peraltro la famiglia è molto legata, perché era un po' il buen retiro degli ultimi anni di vita di Nino Scaglia, padre di Pippo, poeta, commediografo ed istituzione a Storo per decenni), l'incendio alla casa del sindaco, dicevamo, non è una vendetta qualsiasi.

Ma a fare scalpore c'è anche il dopo-rogo, attraverso le dichiarazioni di Scaglia sui possibili responsabili, e poi la taglia. Non c'è dubbio: Pippo Scaglia (di professione farmacista, per vocazione Pierino, ruolo che ha mantenuto pure da quando, quasi tre anni fa, fu eletto sindaco) una ne fa e cento ne pensa. Ma partiamo dalle dichiarazioni.

All'indomani dell'attentato il sindaco non ha lesinato le bacchettate a coloro che gli esprimevano solidarietà. Non ha esitato ad addebitare una sorta di responsabilità morale ad una serie di categorie: l'opposizione comunale (rea di fare solo del disfattismo), la stampa (colpevole di non saper cogliere il positivo che c'è nell'amministrazione e di inseguire solo gli scandaletti), coloro che erano con lui alle elezioni e che si sono distaccati in questo periodo per dissensi sul modo di amministrare.

D'altra parte, Scaglia ha abituato i suoi amministrati, i colleghi sindaci e pure amministratori e funzionali provinciali alle sue prese di posizione (diciamo così) fuori dagli schemi. Non le manda a dire a nessuno, quando gli pare vadano dette: le dice in faccia a tutti, con quel sottile velo di ironia che a volte si trasforma in trama grossa.

Qualche esempio? Ha ingaggiato una battaglia dura con la Provincia e con la Forestale per liberalizzare il transito automobilistico sulle strade forestali; è andato in contrasto deciso con Francantonio Granerò (in veste di commissario liquidatore dell'Asuc, non di Procuratore) per la vendita di terreni gravati da uso civico; ha avuto contrasti con il personale comunale perché ha pubblicato sul bollettino comunale le presenze annuali di ogni dipendente, con ferie, malattie e infortuni; ha satireggiato sulle qualità morali del maestro della banda nel bel mezzo del discorso di Capodanno, durante il "Concerto" di due anni fa. E se qualcuno lo rimprovera per questi atteggiamenti, Scaglia risponde: "Sono fatto così".

Rispetto alla Provincia ha un'idea chiara: "Non si può continuare ad andare con il cappello in mano a chiedere: noi rappresentiamo delle comunità, abbiamo dei diritti ed una dignità da difendere".

Il suo più grande cruccio: la macchina comunale da sistemare. Risolto quello, secondo Scaglia, può dirsi esaurita gran parte della sua missione comunale.

Ci riuscirà? Certo, non sarà l'incendio a fermarlo, anche se qualche ripensamento l'ha avuto. Poi (come ha spiegato in Consiglio comunale) si è deciso a rimanere, non perché l'abbiano convinto i suoi collaboratori (che pure l'avevano incoraggiato a restare), ma grazie ad un elettore che gli aveva bussato alla farmacia di notte, dicendogli di andare avanti, e alla sua figlia sedicenne. Anzi, com'è suo costume, non solo ha deciso di restare, ma ha addirittura rilanciato, proponendo, durante l'ultima seduta di Consiglio comunale, una taglia sulla testa degli incendiari. Manco a dirlo, la proposta ha sollevato un coro di sbigottiti e di indignati, che l'hanno accusato di avere metodi da Far West.

Ma cosa sta accadendo a Storo? 2.700 abitanti, centro a grande concentrazione industriale (la campagna è in via di riscoperta da qualche anno grazie alla Cooperativa Agri Novanta che ha rilanciato la prelibata farina di Storo), negli ultimi anni sta manifestando un certo malessere. Basti pensare che la casa del sindaco è più o meno la ventesima ad andare a fuoco negli ultimi dieci anni. Prima c'era stata quella del segretario comunale (completamente bruciata, anche perché in montagna, perciò incendiata senza che nessuno se ne accorgesse). E prima ancora si sono trasformati in pire baiti, stalle, garages, rustici di anonimi cittadini apparentemente senza nemici, sicuramente senza ruoli pubblici. Si tratta quasi sempre di persone qualsiasi, costrette, come ci racconta la vittima di un incendio, "a percorrere con la mente tutto il paese, strada per strada, casa per casa, con una sola domanda in testa: cosa avrò fatto alla famiglia Taldeitali, all'altra, e all'altra ancora? Saranno stati quelli? O questi?".

Accanto a simili fatti ne vanno annoverati altri, anche se non sono propriamente tipici della zona, come i furti (in notevole aumento) e gli episodi di micro criminalità e di vandalismo. Per non parlare di esempi non rari di tagli di vigne o di piante.

Perché? Non è il Bronx, si badi bene, ma non è nemmeno una società che goda ottima salute.

Cercare le radici di questa malapianta non è facile. C'è chi, come il vice sindaco Giampietro Mezzi, addebita gli incendi delle case del sindaco e del segretario comunale ai problemi di urbanistica. C'è chi va più avanti e sostiene che una base solida per eventi simili è da cercare nella conduzione della cosa pubblica storese degli ultimi trent'anni, votata al lasciar correre, al caos ed alla mancanza di regole. Proprio nella mancanza di regole troverebbe il terreno ideale il seme della vendetta e della giustizia fatta in casa.

C'è anche chi se la prende con le forze dell'ordine (i carabinieri), che non sono mai intervenuti, pur avendo informazioni a sufficienza. Chi avrà ragione? Probabilmente, al di là delle accuse, sarebbe più opportuno che amministratori locali, operatori sociali, culturali ed economici si interrogassero su quando sta accadendo. Si può rispondere al "male oscuro" di Storo? Ma è male solo di Storo o di tutte le nostre apparentemente pacifiche comunità?

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