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QT n. 5, 7 marzo 1998 Servizi

L’immigrazione faticosa

Una ricerca ci illustra le aspirazioni e i valori specifici dei diversi gruppi etnici e religiosi. Accomunati da un elemento: il disagio.

Nello scorso numero (Islam: c'è da averne paura?), parlavamo delle difficoltà, per la nostra cultura, di entrare in rapporto con il mondo islamico: per colpa, certo, di alcune effettive differenze, ma soprattutto per la scarsa conoscenza reciproca e i conseguenti stereotipi. Se allarghiamo il discorso alle relazioni fra noi e l'insieme degli immigrati, il discorso si fa ancora più complesso.

Oltre all'elemento della religione, occorre considerare la cultura dell'area di provenienza, ma anche il modo con cui queste persone vengono percepite e accolte dagli italiani, oltre alle differenze individuali, che nel nostro modo di vedere gli stranieri spesso scompaiono, sopraffatte da giudizi sommari per cui, ad esempio, tutti i maghrebini (se non addirittura tutti i musulmani ) sono uguali. Una ricerca compiuta da Nora Lonardi e Adel Jabbar dello Studio Res di Trento su un campione di circa 300 immigrati di diversa provenienza (vedi scheda nella pagina a fianco) residenti nella provincia di Udine - una realtà non troppo dissimile dalla nostra - si è occupata appunto di questo tema, arrivando a motivare una conclusione peraltro prevedibile: come l'esperienza dei paesi di più antica immigrazione ci dimostra, "la pura e semplice permanenza nel tempo sul territorio non porta automaticamente ad uno stato di cittadinanza". Dunque, non basta "aver pazienza" sperando che col tempo le situazioni conflittuali di oggi si stemperino, che le differenze responsabili delle incomprensioni si attenuino, che queste persone, insomma, finiscano "naturalmente" per integrarsi nella nostra società. L'esplosiva situazione delle periferie francesi dovrebbe insegnarci qualcosa.

Una prima indicazione che emerge dalle interviste è la necessità di distinguere: se alcuni valori tradizionali (come la famiglia e il lavoro) appaiono condivisi in ugual misura da tutti i gruppi, il discorso cambia quando si passa alla religione, considerata importante dal 90% degli africani e da meno della metà degli europei dell'Est. Ritroviamo quasi lo stesso dato per quanto riguarda la domanda relativa all'obbedienza alle leggi: anche qui africani ed europei si trovano agli estremi, visto che i primi danno importanza a quel principio nell'81% delle risposte, contro il 41% dei cittadini dell'Est.

Passando alla sfera sociale e morale, al primo posto troviamo invece i latino-americani, che mostrano di dare molto peso a idee quali la solidarietà, l'onestà, l'istruzione e l'auto-realizzazione. In fondo alla classifica, in questo caso, troviamo i maghrebini.

Si passa dai grandi principi alla concretezza quotidiana con una domanda che chiede di classificare, in base alla loro gravita, alcuni comportamenti. La valutazione fatta dal campione di intervistati nel suo complesso non è particolarmente indicativa, e potrebbe corrispondere a quella che avrebbe stilato un gruppo di italiani: 1. il furto; 2. il non prestare soccorse ad un ferito; 3. l'uso di droghe ( l'abuso di alcool; 4. la corruzioni e l'evasione fiscale.

E' però interessante notare come i dati culturali determinino differenze anche notevoli fra un'etnia e l'altra. Ad esempio, latino-americani e maghrebini sono i meni severi nei confronti della comizio ne, che invece riscuote maggio biasimo fra gli africani. Questi ultimi, insieme con i maghrebini sono i più accaniti contro droga ed alcool, più tollerati, invece, de gli europei; i quali, a loro volta, i segnalano nel condannare l’omissione di soccorso ad un ferito.

Passando a trattare l'appartenenza religiosa, va anzitutto precisato che i musulmani comprendono tutti i maghrebini un terzo degli europei dell'est e altrettanti africani. Cattolici, i latino-americani e un quarto sia degli africani che degli europei. I restai europei sono ortodossi, mentre t gli africani troviamo anche i gruppo di immigrati del Ghana di religione protestante (pentecostali).

Fra tutti costoro, la ricerca ha individuato quattro atteggiamenti fondamentali nei confronti della propria fede. La visione forse più netta, diffusa soprattutto fra i musulmani maghrebini con bassa scolarità, tende ad attribuire alla religione un valore assoluto, nel senso che la ritiene importante sia a livello personale, sia sul piano istituzionale e culturale. Dunque, un riferimento degno di grande considerazione, che però a volte sembra più dichiarato che effettivamente vissuto Queste persone, in realtà, si mostrano legate soprattutto agli elementi rituali della cultura e religione di appartenenza, restando come sospese fra F attaccamento alle proprie origini e ai propri luoghi, dove molti desiderano tornare, e l'inserimento nella società italiana.

Per altri (per lo più persone oltre i 40 anni, ortodossi europei, a scolarità medio-bassa) la fede ha soprattutto un forte contenuto sociale/culturale: è "desiderio di comunanza, ricerca di simboli comuni di riconoscimento fra quanti vivono una condizione di straniero. La religione viene ritenuta impanante nella sua funzione di guida spirituale e di aggregazione, mentre meno riconosciuta è la sua ingerenza nell'ambito delle dinamiche sociali. Le persone che si ritrovano all'interno di questo profilo sono quelle che manifestano maggiore decisione nella scelta dei valori, orientati soprattutto verso il rispetto dell'altro, il confronto, e meno verso mete tradizionali o materialìstiche ". In costoro, spesso "emerge un 'incertezza di fondo riguardo alla proprie possibilità e scelte, che si divide fra il desiderio di ritorno al proprio paese e quello di rimanere ".

Abbastanza trasversale fra gli appartenenti alle varie religioni, presente soprattutto fra i non praticanti con scolarità medio-alta, è un atteggiamento che si potrebbe definire di scetticismo, secondo il quale la fede ha un ruolo esclusivamente individuale, senza particolari significati morali o socioculturali. Sono persone poco legate ai valori tradizionali della famiglia e del lavoro, a volte anche scarsamente interessate a relazionarsi con gli altri: in definitiva, una condizione che sembra esprimere disagio e che li porta a contare soprattutto sulle proprie risorse individuali.

Un ultimo profilo ci mostra un atteggiamento di distacco e indifferenza tanto verso la religione quanto nei confronti dei valori sociali, morali e tradizionali, accompagnato però da manifestazioni di conformismo e adesione a valori quali la legge, l'ordine sociale e l'acquisizione di beni materiali. "Poco portati alla socializzazione con l'ambiente locale, che avvertono come tendenzialmente ostile, questi soggetti sembrano però permeabili agli aspetti più modernisti dell'ambiente circostante. Si delinea come il profilo più ibrido, che esprime forse più dì ogni altro una forte fragilità individuale e culturale ". Caratterizza maggiormente gli stranieri più giovani e i cittadini africani, di religione pentecostale, anche se risulta comunque più frequente fra i non praticanti.

In conclusione, e tenendo conto anche di altri dati che qui non riportiamo (ad esempio, le scale di valori basate non sull'etnia ma sulla religione di appartenenza), sembra di poter dire che il vissuto religioso, anche se conserva un significato per molti degli immigrati, fa parte solitamente della sfera individuale, intima. Per qualcuno può rappresentare un elemento di identificazione culturale, ma forse più negli aspetti rituali che in quelli sostanziali. La religiosità, insomma, non sembra fornire significati profondi e orientamenti precisi per quanto riguarda i comportamenti e il vissuto sociale. "La testimonianza principale ci viene forse dagli africani di religione pentecostale, e quindi i ghanesi, i quali spesso affermano l'importanza della religione e nei quali, per lo meno nei credenti praticanti, pare di ravvisare effettivamente una religiosità concreta, quotidiana. E tuttavia questo non riesce a produrre un sistema orientato di certezze, di valori, di identità; al contrario, proprio qui troviamo le più ampie contraddizioni. Anche nei cittadini di religione musulmana tendono a emergere contraddizioni culturali-religiose, che esprimono più il bisogno di ricorrere ad elementi tradizionali per affermare una propria identità, che non una profonda convinzione e/o contrapposizione di modelli di vita e di aspirazioni. In ogni caso, se delle differenziazioni esistono nell'esperienza migratoria e nel vissuto di queste persone, tali differenze non sembrano riconducibili alla componente religiosa ".

Non sono risultati sorprendenti: all'interno della stessa società occidentale, si parla spesso di identità in crisi, di disagio sociale, di frammentazione, di cambiamento accelerato, di disorientamento. E' dunque logico che questo disagio lo avvertano anche gli stranieri; anzi, tanto più loro, che oltre al non facile impatto con una società così diversa, spesso hanno dovuto affrontare le difficoltà di qualche mutamento già nel loro mondo, prima ancora di intraprendere l'esperienza migratoria. Anche nei paesi da cui essi provengono sono in atto processi di profondo sconvolgimento, spesso innescato dall'esterno: processi di crescente secolarizzazione, di modernizzazione, di parcellizzazione della realtà. Il risultato è una contraddizione che lo straniero avverte fra il "dover essere" (per origine, senso o desiderio di appartenenza culturale) e l'essere reale, che fatica a trovare una ricomposizione psicologica, una identità soggettiva e culturale, e quindi riesce sempre più difficilmente a trovare nella religione una risposta soddisfacente.

Se la situazione è questa, l'ultima cosa da fare è cercar di forzare i tempi di questa difficile e dolorosa evoluzione: il risultato più probabile sarebbe quello di convincere gli immigrati che ogni loro sforzo è insufficiente alle nostre pretese, e di ricacciarli indietro, a cercare rifugio nella fallace ma tranquillizzante identità di un ritorno al passato.