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“Mario Malossini” biografia non autorizzata

Pierangelo Giovanetti, Mario Malossini. Storia di un ex potente resuscitato. Trento, Curcu & Genovese, 2003, pp.135, € 8,00.

Non ha avuto vita facile il libro su Mario Malossini. Poco recensito (solo da L’Adige, il giornale dell’autore, Pierangelo Giovanetti; il Trentino lo ha ignorato in quanto scritto da una concorrente; la Rai trentina, ora in quota Forza Italia, ha fatto sapere – sic! - che "non tratta di libri su personaggi politici"); per niente pubblicizzato, sembra che l’editore se ne vergogni; e ha dovuto subire un primo assalto dallo stesso Mario Malossini, disposto a comperarne tutte le copie, a patto che non se ne facessero ristampe. Doveva essere in libreria prima delle elezioni, ma se ne è appositamente ritardata l’uscita, compromettendone l’esito commerciale.

Mario Malossini da presidente e, sotto, da imputato.
Mario Malossini da presidente e, sotto, da imputato.

Comunque ora il libro c’è. Se ne parla poco, un po’ per la cortina di silenzio che si è riusciti a erigergli intorno (anche gli attuali potenti non amano che si parli male degli ex-potenti); un po’ perché le ultime elezioni il Malossini l’hanno sdoganato, e fatto rientrare nel giro che conta. E invece i problemi che il libro pone (e quelli che trascura) sono tuttora importanti.

Il libro ripercorre con stile agile l’ascesa prima e la caduta poi di Mario Malossini. Di umili origini, svogliato a scuola, Malossini si butta nella politica, salendone di corsa tutti i gradini. Prima autista poi segretario di Flaminio Piccoli, consigliere comunale a Riva, consigliere provinciale, assessore. Charme personale, capacità di stare con le persone facendole sentire a proprio agio, iper-attivismo sono gli ingredienti del successo; più alcuni colpi di fortuna (come la sentenza del pretore Pascucci che azzerò la Giunta Mengoni obbligando la Dc ad issare sugli scranni assessorili anche i neofiti); e qualche intuizione vincente (credere nelle potenzialità del turismo e del relativo assessorato).

Giovanetti risulta particolarmente felice nel collegare l’attività politica, palese, di Malossini, con quella oscura, criminosa. Il culto dell’immagine, dello spot, dell’apparire, spinto fino a pervadere la società (sono decine gli studi grafici e pubblicitari che operano in quegli anni, in massima parte foraggiati dalla Provincia); le spese per centinaia di miliardi in inutili consulenze (di una delle quali la magistratura poi ha provato il ristorno nelle tasche del politico di riferimento); l’arricchimento personale di Malossini, come proveranno i 33 libretti "Pippo" da 9 milioni e mezzo a lui intestati; la corruzione, le tangenti, la ricettazione, per cui verrà condannato (o assolto ma per prescrizione).

La parabola del Presidente della Giunta inizia a scendere prima dei guai giudiziari, come sottolinea Giovanetti: nel nuovo clima dei primi anni ’90, insofferente verso le prevaricazioni e gli abusi di una classe politica che aveva portato l’Italia sull’orlo della bancarotta economica, Malossini non appare più così smagliante: lo scandalo della metropolitana lo azzoppa e la Dc pensa bene di liberarsene. Lui si dimette da Presidente della Giunta aspettandosi il posto di Presidente del Consiglio, ma lo raggiunge la prima comunicazione giudiziaria e la Dc lo abbandona; "Il Mario," come in tanti lo chiamavano, si trova solo, senza più amici. Due mesi dopo finisce in cella. Alla fine dei tanti iter giudiziari viene riconosciuto responsabile di corruzione e ricettazione.

Giovanetti è molto puntuale, anzi (giustamente) spietato, nel sottolineare l’assenza di moralità dell’uomo: mai un pentimento, un’assunzione di responsabilità; invece astuti traffici per apparire nullatenente, e non pagare i risarcimenti all’Ente Pubblico cui le sentenze lo condannano; e per converso pronto sfruttamento delle norme (corporative) attraverso le quali la Pat paga, senza alcun limite di spesa, le parcelle degli avvocati dei politici se non condannati in via definitiva (anche in caso di prescrizione): e così il nostro furbacchione non paga né alla Provincia né alle parti civili quando viene condannato perché nullatenente (anche se continua a risiedere nella grande villa di Casteller, che però formalmente non è più sua) e incassa invece 529 milioni quando viene assolto.

Poi, la resurrezione attraverso la Compagnia delle Opere, Forza Italia, la delusione - aggiungiamo noi - del post-DC, non all’altezza delle speranze. "Oggi un angelo è ridisceso sulla terra" - lo esalta nel giorno della "resurrezione" (assemblea della Compagnia) il presidente nazionale Giorgio Vittadini.

Ma il vizietto - la disinvoltura con i soldi pubblici - non sembra passato, come pare emerga dalla forzata assegnazione di un appalto del Palacongressi (di cui Malossini è consigliere) ad una società, sua e del figlio, che pur era appena costituita e aveva presentato un’offerta molto alta.

Il libro di Giovanetti è un serio esempio di impegno civile. Incisivo, ben scritto, si legge tutto di un fiato. Ha però due difetti, che ci pare giusto rilevare.

Il primo, veniale (ma per noi fastidioso, ci si perdoni l’essere parte in causa) è l’aver trascurato, nelle fonti di documentazione, Questotrentino, che negli anni ’80 era di gran lunga l’organo di stampa che più denunciava, talora in splendida solitudine, le malefatte del palazzo. Così alla ricostruzione di Giovanetti vengono a mancare elementi importanti o comunque significativi.

Ricordiamo il servizio ("I conti in tasca a Malossini" dell'aprile '92)sui costi della mega-villa al Casteller, tali da assorbire tutte le pur generose entrate del presidente; il quale rispose con un’accorata lettera ("Per me e la mia famiglia la casa è da sempre stata di massima importanza, su essa ho concentrato, assieme alla mia famiglia, il massimo dell’impegno per oggi e per il futuro": insomma, vivevano a pane e fagioli per pagarsi la villa); e allora seguì un altro servizio ("Tutte le auto del Presidente" dell'ottobre '92)in cui si dimostrava come le entrate ufficiali di Malossini (90 milioni, di cui 40 ipotecati dal mutuo sulla casa) non fossero sufficienti a pagare nemmeno i vorticosi acquisti (per 100 milioni annui) di auto, moto, fuoristrada, che lui, moglie e figli avevano cambiato negli ultimi tre anni. E poi la fatale inchiesta sulla villa di Torbole e la sua connessione con i terreni di Trento-Nord ("Addio, Torbole bella" del marzo '93); QT arrivò fino a sapere dell’esistenza e localizzazione del documento con cui Malossini e la signora Prada sottoscrissero il patto scellerato (tu mi dai la tua villa, io faccio acquistare dalla Provincia i tuoi terreni), e fu proprio dai nostri articoli che prese il via l’indagine della magistratura, che quel documento poté sequestrare. E poi durante il processo, il disvelamento dei rapporti ancora sussistenti tra l’ex-presidente e il cronista di giudiziaria dell’Alto Adige, e conseguenti cronache compiacenti ("E arrivò l'«Alto Adige» ad assolvere Malossini" del marzo '94). O ancora, in questi ultimi anni, gli articoli sul primo timido riemergere di Malossini all’Unione Commercio e Turismo, al seguito dei "culi di pietra" Gianni Bort e Mario Oss e dei loro progetti politici (Dietro Malossini e la Compagnia delle Opere...).

Tutto questo nel libro non c’è, ed è un peccato; la documentazione risulta consistentemente incompleta.

Più di fondo un’altra carenza. Il politico Malossini non viene messo a fuoco: sembra che fosse solo un malversatore, capitato per caso al vertice della Provincia. E quindi del suo operato manca la parte positiva. Giovanetti mette a confronto le promesse di inizio legislatura e le realizzazioni: "Gli obiettivi centrati risulteranno minimi, e molti di quelli promessi inesistenti". Il giudizio è ingeneroso. Perché se è vero che il promesso decentramento e riforma istituzionale non ebbero luogo (come peraltro nei dodici anni successivi, né - accettiamo scommesse – nei prossimi cinque), pure la presidenza Malossini si caratterizzò per una notevole produttività: nell’ambito del Turismo, ovviamente (con la fondamentale riforma dell’Apt), come in quello dell’Ambiente (dove il Presidente appoggiò la politica ambientale del socialista Micheli, con conseguenti legge urbanistica, attivazione dei Parchi e della VIA) e poi nel Lavoro (il "Progettone", per fornire un’occupazione vera e utile ai cinquantenni espulsi dalle fabbriche) e nella Sanità (con il varo del Piano Sanitario, l’ultimo, da allora si naviga a vista). E tutto questo dall’89 al ’91, in meno di tre anni. E’ vero, Malossini sottobanco si faceva gli affari suoi, ma non solo.

E d’altra parte di Malossini manca nel libro l’appartenenza politica. "Il suo modo di fare, l’arrivismo, l’uso plateale della demagogia, il bisogno incessante di denaro per finanziare costosissime campagne elettorali personali, sono ritenute un qualcosa di estraneo alla Dc stessa. Qualcosa più vicino al craxismo della Milano da bere, che al rigore morale e alla pudica sobrietà degasperiani".

Secondo noi questo giudizio coglie solo la superficie. D’accordo, l’ostentazione da neo-ricco, le macchine, le ville, come pure il culto dell’immagine e della pubblicità stridono con la tradizione democristiana (e anche tout court trentina).

Ma questa è solo la superficie, la particolare forma degenerativa che negli anni ’80 prese la gestione del potere. La sostanza, le consulenze agli amici, gli appalti teleguidati, e soprattutto la politica dei contributi, i soldi dell’Autonomia che vengono distribuiti in mille rivoli per accontentare tutti, sono l’essenza del doroteismo. In questo, tra Mengoni, Malossini e Grisenti non c’è discontinuità; "il rigore e la sobrietà di Degasperi" già prima del Mario erano solo un ricordo, che dopo continuerà a sbiadire.

E val la pena ricordare come in fondo il cuore della corruzione, come disvelato dalle inchieste di Mani Pulite, non fossero le malversazioni dell’appariscente presidente; bensì quelle del grigio doroteissimo Enrico Pancheri, che a capo dell’Autobrennero taglieggiava/favoriva le imprese, e finanziava quasi tutta la politica trentina.

Da qui il punto debole del libro: il non iscrivere il cuore della politica di Malossini nella tradizione dorotea, come il negargli le connotazioni positive, impedisce di capire i motivi della resurrezione di un politico colto con le mani nel sacco. Resurrezione che - siamo d’accordo con l’implicito assunto di Giovanetti - non è certo un sintomo di buona salute per la comunità trentina. Ma che comunque non può essere ascritta solo ad un mix di poca memoria e scarso amore per la legalità di una porzione (consistente) dell’elettorato trentino. Ma anche, e soprattutto, al ricordo – magari mitizzato – di un’epoca dalle decisioni rapide e anche (parzialmente) coraggiose, ed al perdurante doroteismo dei governi successivi, che hanno finito con il rilegittimare quello dei precedenti.