Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Le ragioni della Dc

I neo-centristi tentano di riesumare la Dc dorotea. Fanno il loro mestiere, il problema è l'Ulivo (e Dellai) di cui non si scorge il progetto modernizzatore.

Quando Guglielmo Valduga, dal palco al Grand Hotel Trento, ha profferito la fatidica frase "Basta processare la Dc!" (che fu del peggior Aldo Moro, quando eresse le barricate ai tempi dell'impeachment del presidente Leone; e che in questi giorni è stata ripresa da Cossiga), la platea tutta di ex Dc è scattata in un applauso frenetico; e i giornalisti si sono messi a scrivere sui taccuini.

Eppure sarebbe sbagliato ridurre le frenetiche convulsioni del centro alle nostalgie degli ex. E quando il giorno dopo Lorenzo Dellai, con parole sbrigative ha risposto "A dire il vero non ci sta processando nessuno", ha ristabilito una verità; ma contemporaneamente ha eluso dei problemi altrettanto veri.

QT ha scelto di non riferire dei mille spostamenti all'interno del mondo politico trentino, soprattutto nell'area attualmente in subbuglio del centro ex-democristiano. Ne riferiamo sinteticamente, per passare subito a delle valutazioni generali. Dunque, gli ex-Dc sembrano divisi su due fronti: da una parte Dellai (che è anche segretario del Partito Popolare) e coloro che sostengono il bipolarismo e guardano al centrosinistra; dall'altra, una multiforme somma di sigle, orientata verso il centrodestra, ma che soprattutto, attraverso il rifiuto del bipolarismo, intende ricostruire un centro in grado di far tornare il Trentino ai tempi della stabilità democristiana.

Sarebbe facile ironizzare su queste nostalgie e sottolineare come nella platea del Grand Hotel, per il lancio dei nuovi centristi, ci fossero personaggi discutibili, a iniziare dal maggior speculatore del capoluogo. Eppure queste considerazioni non bastano; dietro i neo-dorotei ci sono motivazioni di fondo, su cui è opportuno ragionare. Noi ne individuiamo tre.

La prima la più ovvia è l'attuale impasse politica. "Avete visto? Si stava meglio quando si stava peggio" è il ritornello dei neo-dorotei di fronte allo stallo della politica, incapace in Trentino di trovare un minimo di operatività, dopo la caduta democristiana. E serve a poco controbattere che proprio gli ex Dc sono stati tra i più attivi nel mettere pali tra le ruote (vedi i sabotaggi alla legge elettorale) del faticoso rinnovamento della politica. Chi ha favorito e/o beneficiato del crollo democristiano (Lega, sinistra, Patt, centro-destra) deve sostituire la vecchia politica con qualcosa di nuovo: se non ci riesce, ne è responsabile; e legittima il ritorno dei nostalgici.

Secondo punto, il doroteismo, nel senso del corporativismo sociale, della diffusione capillare della clientela nella società. Principi di cui i promotori del nuovo centro sono fattivi propugnatori: pensiamo a Valduga, e alla sua vittoriosa battaglia in difesa dell'inutile burocrazia comprensoriale; a Francesco Romano, consigliere grazie a estesi rapporti clientelari ad personam; all'assessore Conci, sempre impegnata contro ogni razionalizzazione, per dilatare la spesa corrente; all'assessore Zanoni, pronto a regalare 200 miliardi ai contadini per la gelata dello scorso anno. C'è tutto un Trentino che in questi princìpi si ritrova. Ma quanto è grande, quanto convinto? Insomma, quanto consenso si può oggi costruire con le logiche di scambio? Oggi, con l'Europa che preme e non permette contributi, con l'Italia che razionalizza la spesa, con la concorrenza che riduce le zone franche, le aree di privilegio e le isole felici? La risposta a queste domande dipende anche dalle altre forze politiche, quelle che teoricamente sono per il liberismo, le riforme, la modernizzazione. Dipende anche da loro orientare l'opinione pubblica, presentare delle opzioni alternative al doroteismo.

E qui veniamo al terzo punto: la latitanza del progetto alternativo. Non parliamo tanto della destra, né della sinistra (ne accenniamo inI personalismi nella sinistra): parliamo del centro, degli altri ex Dc. Parliamo di Dellai. Il quale ha imboccato con coerenza l'opzione alternativa (l'uscita dalla Dc verso sinistra); ma l'ha confinata al mero aspetto partitico, al solito gioco delle tattiche: alleanza con l'Ulivo, sì, ma per fare cosa ? Sui contenuti del governare - clientelismo, spesa pubblica, ambiente - il sindaco-segretario è sempre assente. Impadronitosi del Ppi, Dellai l'ha messo nel cassetto; per poi organizzare una lista civica, che è cosa diversa e del tutto evanescente. La lista civica che mette insieme alcune persone di buona volontà può andare bene per amministrare un paesino; ma per governare una provincia, per di più autonoma, occorre la politica: cioè un progetto complessivo, scelte definite, uomini che le attuino.

Nulla di tutto questo nel progetto dellaiano, che si configura come un 'assemblaggio di personaggi i più vari, dai percorsi personali spesso ondivaghi, dall'affidabilità politica discutibile (pensiamo al sindaco di Riva Molinari, a quello di Cavalese Gilmozzi, a quello di Borgo D 'Andrea). Un progetto che si affida a un unico elemento: il carisma del leader. Un percorso che abbiamo già visto compiere a livello nazionale dai vari Segni, Orlando, o Cacciari, con i noti risultati.

Intanto questa dinamica ha reso evanescente il Ppi; e l'opzione ulivista. E dato qualche motivazione in più a chi sogna la restaurazione dorotea. In conclusione: i restauratori hanno effettivamente frecce per i loro archi. Ma la colpa non è del destino cinico e baro.