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“L’Italia invasa”

Gianni Rocca, L'Italia invasa, 1943-1945. Mondadori, 1998, pp. 256, £ 30.000

La storia militare è un genere che non mi appassiona. Ma Gianni Rocca, commentatore politico e giornalista storico tra i più affermati, è una firma che attira. Su un periodo, e un evento, tra i più discussi della storia italiana del Novecento: gli anni fra il '43 e il '45, fra lo sbarco degli alleati in Sicilia e la sconfitta finale del nazifascismo.

L'Italia invasa, a sud dagli anglo-americani, a nord dai tedeschi, ci appare, come ai tempi di Niccolo Machiavelli, "senza capo, senza ordine; battuta, spogliata, lacera, corsa". E come lo storico fiorentino, agli albori dell'età moderna, non distingue nella tragedia italiana, fra "crudeltà ed insolente barbare" di Francesi, Spagnoli, Tedeschi, così oggi, allo storico contemporaneo, gli eserciti contrapposti appaiono egualmente invasori.

La storia militare di quegli anni terribili è questa: attacchi e difese, spari e bombardamenti in Sicilia, a Montecassino, sulla linea Gustav lungo il Garigliano, sulla Linea Gotica fra Pisa e Rimini, a Roma, Firenze, Bologna. E' tutto un ammasso informe di carri armati, mitragliatrici, cannoni, mine, mortai, corazzate, bombardieri, panzer, autoblindo, cingolati, anfibi, cacciatorpediniere, bunker. Armate e divisioni si sfidano, manovrate sulla scacchiera dai "signori della guerra", generali e feldmarescialli, mossi dall'ambizione, dalla carriera, dallo spirito di corpo, dalla mania di grandezza. E dalla smania di gloria: attentissimi all'inviato al fronte e al titolo del suo giornale, al fotografo e al cineoperatore; organizzati e capaci, anche i più scalcagnati, di feste danzanti e di "case chiuse" accoglienti nelle città liberate.

I generali, gli inglesi Alexander e Montgomery, e gli americani Clark e Patton, si comportano più da rivali che da alleati: la confusione, le imprevidenze, i sospetti reciproci rendono la campagna d'Italia inutilmente lunga e tragica per i soldati e per le popolazioni civili della penisola. Il giovane lettore, perché ai giovani da istruire naturalmente pensano soprattutto l'autore e l'editore, in questo racconto distingue a fatica gli ufficiali delle potenze liberal-democratiche da quelli nazisti, Rommel, Kesselring, Reder e Kappler. Le stragi naziste delle Fosse Ardeatine, di Boves, di Marzabotto sono incomparabili, ma anche i reparti nordafricani del generale francese Juin saccheggiano, stuprano, uccidono in scene di inaudita violenza. Patton, incapace di comprendere che un soldato può restare vittima di drammatici crolli psicologici, era famoso per le scenate negli ospedali militari, quando si metteva a urlare: "Dannato codardo, pauroso figlio di puttana. Dovresti essere messo contro un muro e giustiziato. Dovrei spararti io stesso ".

Le battaglie sono narrate , dal punto di vista strategico e tattico, con precisione e freddezza, tanto che mi sono sentito, in più occasioni, indifferente all'esito delle stesse. Anzi, talvolta, la simpatia finisce con l'andare ai tedeschi, inferiori in uomini e mezzi.

Un insegnante di storia non è di libri così che sente il bisogno a sostegno del suo lavoro. Di fronte all'ignoranza diffusa, il prestigioso giornalista considererebbe queste obiezioni come fumose ubbie scolastiche, me ne rendo conto.

Che fare? Doveva Gianni Rocca nasconderei le meschinità e le crudeltà di chi combatteva dalla parte giusta, per la libertà e la democrazia? No, ovviamente. E' la storia militare, penso, che si rivela inadeguata a spiegare la complessità dei problemi della seconda guerra mondiale: essa non può che vedervi uno scontro tra corpi d'armata, una guerra fra Stati, che si spartiscono i combattenti indomiti, quegli abulici, i traditori. Come la guerra è troppo importante per lasciarla ai generali, così la storia della guerra è troppo complessa per lasciarla alla storiografia militare.

Ci sono però figure che non si lasciano comprimere nella narrazione di battaglia, che si rifiutano di schierarsi a sparare in silenzio dalle linee contrapposte tracciate dagli Stati maggiori. Con la figura del generale tedesco Frido von Senger assumono importanza la politica, l'etica, il problema della scelta. L'alto ufficiale è definito "in cuor suo nemico del nazismo, ma soldato fedele agli ordini superiori sino alla fine della guerra". Qual è la personalità autentica di quest'uomo? Che cosa viene in lui apprezzato, il suo essere antinazista, nell'intimo della coscienza, o l'essere fedele esecutore degli ordini? Le due qualità sembrano dall'autore equiparate, e il lettore, nell'incertezza, finisce probabilmente con il considerare l'ufficiale un "indomito combattente".

La passione politica diventa viva nel capitolo "L'Italia s'è desta", in cui la Resistenza si impone sulle prudenze del re Vittorio Emanuele III e del capo del governo generale Badoglio, ma anche sulle diffidenze di Churchill, tutti timorosi che il movimento partigiano voglia dire antifascismo, repubblica, comunismo. La "cospirazione" antimussoliniana del 25 luglio e l'armistizio dell'8 settembre sono manovre di una classe dirigente che vuole salvare se stessa, e teme l'intervento del popolo, avvertito come "sovversivo" dell'ordine politico e sociale. Il collasso del vecchio Stato viene riscattato dalla Resistenza di un popolo, che sa affrontare il dramma della guerra civile, anche contro i collaborazionisti italiani.

In questo capitolo le fonti di Rocca non sono soltanto i diari, le testimonianze, le lettere dei militari, e gli interlocutori diventano, seppure implicitamente, Roberto Battaglia, Claudio Pavone, Renzo de Felice, con le loro diverse interpretazioni dei fatti.

Ma il corpo del libro rimane un altro, quello dei generali indomiti, abulici, cameristici e violenti. Furono certo necessari l'impeto e lo sprezzo del pericolo di quei soldati per sconfiggere il fascismo e il nazismo, regimi su cui per altro non li vediamo mai ragionare ne a voce ne per iscritto. La domanda è se la piccineria e la crudeltà, talvolta l'istinto bestiale, erano fatalmente, inestricabilmente connessi con l'impeto teso alla vittoria; se la guerra inquina gli animi e i cuori anche di chi combatte dalla parte della ragione, come sapeva già Erasmo da Rotterdam.

Sulla legittimità, sul valore, sui limiti della violenza si sono interrogati in profondità alcuni dei partecipanti alla Resistenza europea. Le pagine di quegli irregolari vanno almeno lette insieme, da contrappeso, alle cronache militari di quei generali regolarmente inquadrati, Ike, Monty, Patty. E' dalla coscienza, dai dubbi, dagli errori dei primi, più che dalle manovre tattiche dei secondi, che sono nate le fragili costruzioni della Costituzione italiana che "ripudia la guerra", e dell'Onu tesa a fondare la pace nel mondo.

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