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QT n. 17, 9 ottobre 1999 Fondo

C’è spot e spot

Tutti sappiamo che cosa sono gli spot, perché li subiamo tutti i giorni. In lingua italiana si chiamano messaggi pubblicitari. Ma gli spot sono messaggi pubblicitari di tipo speciale, sono l’ultimo ritrovato della tecnica della comunicazione persuasoria. In inglese spot significa "punto, macchia, chiazza", cioè una zona delimitata più visibile di tutto ciò che le sta attorno, tanto da afferrare l’attenzione dell’osservatore. E per l’appunto gli spot riproducono artificialmente, servendosi della televisione, la stessa situazione: quasi un’improvvisa violenta illuminazione puntata su un oggetto che esprime il significato voluto, un faretto che isola dall’ombra circostante un messaggio destinato a trafiggere la disarmata sorpresa di colei (o colui) che osserva. La sapiente combinazione dei tradizionali accorgimenti della pubblicità con le possibilità offerte dal mezzo televisivo produce un aumento esponenziale dell’efficacia suggestiva della comunicazione persuasoria. Già nella cosiddetta informazione commerciale di tipo tradizionale ciò che conta non è tanto la qualità o il contenuto della comunicazione, quanto piuttosto una incalzante e continua ripetizione di stimoli pubblicitari brevi, incisivi, pressanti. Inoltre la reiterazione degli stimoli punta ad influire sulle motivazioni periferiche della scelta economica; le informazioni cioè non riguardano le qualità intrinseche del prodotto, la sua convenienza, i vantaggi e gli svantaggi che offre, ma piuttosto mirano a sollecitare le leve psicologiche e socio-culturali del destinatario, come l’istinto di emulazione, l’ambizione ad uno stile di vita, la seduzione del rango sociale espresso dal prodotto (status symbol); in altre parole, i messaggi pubblicitari non sono "discorsi sugli oggetti", che infatti negli annunci si vedono relativamente poco, ma rappresentazioni dell’"anima" del prodotto, rese attraverso l’associazione di questo a mondi e personaggi della mitologia moderna, a simboli dell’immaginazione collettiva, a sistemi di valori alla moda. La reiterazione di simili messaggi produce una sorta di effetto cumulativo che consolida nella mente del consumatore, passivamente invasa da così subdole infiltrazioni, gli stereotipi delle marche reclamizzate. Per giungere fino al luciferino messaggio pubblicitario subliminale, già largamente sperimentato, che insinua i suoi artigli addirittura nella sfera incontrollabile dell’inconscio. La tecnica pubblicitaria è insomma pervenuta ad un tale livello di raffinatezza che la sua efficacia manipolatoria delle menti sopravanza di molto i metodi attuati dal mago della propaganda nazista, Paul Joseph Goebbels. Non è dunque un caso che la produzione degli spot sia diventata un’attività economica con un fatturato enorme. Tanto che l’imponente fenomeno delle televisioni private commerciali costituisce in buona sostanza niente altro che un accessorio della pubblicità, uno strumento per diffonderla e che senza di essa probabilmente nemmeno esisterebbe. Lo spot televisivo è dunque un condensato di nozioni preconfezionate in un involucro emotivo, una sorta di droga psicologica che orienta, condiziona, quasi programma e scelte mercantili dei consumatori.

Ebbene, fino a quando tutto ciò avviene nel campo del mercato al dettaglio di massa, la sua nocività è tollerata, in virtù di un consolidato processo di assuefazione e perché mi sembra irrealistico pensare di eliminarlo. Ma estendere l’uso dello spot alla propaganda politica costituisce un vero e proprio attentato alla sanità mentale di una nazione. E’ ben noto che in Italia il patron della pubblicità è il cavalier Silvio Berlusconi. I risultati delle recenti elezioni europee sono stati una dimostrazione sul campo dell’efficacia persuasiva che gli spot possono avere anche sulle scelte degli elettori. Ciò costituisce la prova sperimentale dell’estrema pericolosità di un tale strumento se applicato alla politica. La scelta di un detersivo o di un elettrodomestico può anche essere compiuta sulla base di suggestioni semplificate, più o meno ingannevoli, quali sono quelle sintetizzate in uno spot. Ma le scelte politiche sono fra le più complesse che ognuno di noi è chiamato a compiere. La politica, fra tutte le attività umane, è la più ricca di contenuti. Essa riguarda tutto e contemporaneamente coinvolge tutti. Non esiste una formula che la definisca, perché è indefinita e onnicomprensiva. E’ giusto dire che il privato non è Stato, ma il determinare la maggiore o minore estraneità rispetto al privato è anch’esso pur sempre politica. Anche la propaganda politica ha bisogno di sintesi: le più screditate sono i cosiddetti slogan, strumenti tipici dei più deteriori demagoghi. Lo spot ridurrebbe il confronto politico a contrapposizioni isteriche seppur sofisticate di slogan ingannevoli. L’uso degli spot nella propaganda politica costituisce una seria minaccia di drogare la nazione. Finiremmo per diventare un popolo di robot telecomandati in una Repubblica non più democratica ma videocratica. Le democrazie più mature in Europa lo hanno capito e lo hanno hanno saggiamente vietato.

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