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Berlino capitale dell’Europa

Dalla nuova capitale tedesca contraddizioni e speranze di tutto un continente.

Berlino, porta di Brandenburgo. I cavalli della quadriga di bronzo, che ne hanno viste tante, guardano indifferenti i raduni di jogger e i gruppi di skater notturni, la marcia "dell’amore" e i turisti soprattutto tedeschi che, fatta la foto di rito a Pariser Platz, lasciano Unter den Linden per avviarsi a fare la coda e salire sulla nuova cupola di vetro del Reichstag. Un edificio che, nonostante il trionfo della trasparenza, e il simbolismo della democrazia, (i cittadini camminano letteralmente sulla testa dei parlamentari e li vedono dall’alto seduti nelle loro poltroncine), non ha perso la sua aria minacciosa.

Il parlamento rappresenta fisicamente la nuova capitale della Germania. Bruciato nel febbraio del 1933 dai nazisti che attribuirono l’atto criminale ai comunisti, danneggiato gravemente alla fine della guerra, l’edificio era rimasto scuro e poco usato, addossato al muro. Ora la rinascita, che mette in vista il vecchio e il nuovo, una memoria bruciante e uno slancio nel futuro globalizzato. Il parlamento tedesco, a Berlino dall’aprile 1999, deve provare a governare questo passaggio.

Come spesso le capitali storiche, la città parla a chi la guarda con attenzione e le impressioni dei vecchi berlinesi non fanno che confermare. Un chilometro a sud-est c’è Potsdamer Platz. La piazza, che era il cuore della vecchia Berlino, rasa al suolo dalle bombe e attraversata dal muro, era diventata un deserto in cui era cresciuto perfino un boschetto. Ora decine di gru sono l’immagine simbolica e realistica del lavoro in atto per attuare i progetti di Renzo Piano in vetro, metallo e terracotta e quelli di altri architetti di grido chiamati da tutto il mondo. Già si vedono i palazzi della Sony, della Mercedes, ecc.. Sì, perché a Berlino la città viene ricostruita dagli investitori privati, mentre lo Stato si trova già in difficoltà con gli edifici istituzionali. Investimenti da capogiro sono tenuti sotto controllo da leggi urbanistiche rigorose, che definiscono vie e piazze, volumi e altezze, rapporto fra residenza e terziario. Ma è evidente che la tentazione di usare la città nuova come vetrina all’avanguardia nel mondo ha già avuto la meglio sulle nostalgie per una città accogliente e vivibile, nonostante una delle vie più recenti si chiami "Alte Potsdamerstraße", avendo preso il nome di una via esistente più o meno in quella zona fino a sessant’anni fa.

Nonostante Potsdamer Platz sia un cantiere, il centro della città si è già spostato visibilmente dalla Breitscheidplatz (dove si erge la Gedächtniskirche, la chiesa del ricordo, ricostruita a metà in memoria della guerra, vicina alla famosa Kurfürstendamm) verso est, dove si ergono gli edifici storici e dove si concentra il lavoro di restauro e nuova costruzione.

La straordinaria occasione di investimento ha spazzato la città, modificandone radicalmente le centralità. Artisti, studenti, intellettuali hanno abbandonato il mitico Kreuzberg che condividevano con gli immigrati turchi, per spostarsi nell’Hackescher Markt, il quartiere che fu abitato dagli ebrei. Là, vicino alla stazione di Alexanderplatz, si trovano le case che si affollarono all’inizio del secolo, quando cominciò la fuga dai pogrom russi, la grande sinagoga di Oranienburgerstraße, il cimitero profanato e distrutto, con un’unica tomba ricostruita nel dopoguerra. E’ la Berlino che stringe il cuore, dove la storia brucia e diventa attualità. Davanti alla Sinagoga ci sono i poliziotti armati e così in ogni luogo della desolata memoria ebraica, minacciata ancora di profanazione.

E’ il secondo nodo che le donne e gli uomini che siedono nelle poltrone indaco del Reichstag devono affrontare e che è stato il tema caldissimo dell’estate del 2000 nei mass media tedeschi.

Si torna vicino al Brandenburger Tor: duecento metri a sud, un terreno incolto e leggermente scavato aspetta da dieci anni che si concluda il dibattito pubblico sul progetto che prevede l’erezione di un monumento all’Olocausto. E’ in quella zona che sfilano i neonazisti, tollerati e sottovalutati più dalla politica e dalla polizia che dall’opinione pubblica, che chiede divieti e reazioni forti da parte dello Stato. L’ampiezza e la passione civile che caratterizza il dibattito è un punto a favore della democrazia tedesca.

Ma la tolleranza non basta: dalle aggressioni e uccisioni di immigrati, dalla paura dei bambini di colore nei tram, molto più che dalle feste per la nascita di Hitler e dalle sfilate con gli slogan "Heil Haider", emerge a Berlino, con sconvolgente chiarezza, che la politica in Germania e in Europa non potrà continuare in materia di convivenza a dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ma dovrà fare scelte molto nette e chiedere a cittadine e cittadini di schierarsi. O si lavora e si educano le nuove generazioni ad una società policulturale, e si ricerca una nuova universalità che permetta di comunicare e comprendersi reciprocamente per decidere come procedere, oppure si apre lo scenario di un ritorno ad una moderna barbarie, composta da un lato di chiusura nella solitudine della cittadinanza globale e dall’altra di uno spazio pubblico retto dalla legge del più forte, fino ad essere dominato dalla violenza e dall’incapacità di far rispettare le leggi.

Da Berlino capitale, zeppa d’arte, di scienza, distesa dalle ville di sogno sullo Schlachtensee, oggetto del desiderio delle nuove ambasciate, alle pensioncine squallide abitate dai nuovi immigrati dall’est, vengono all’Europa un segnale inequivocabile e anticipatore delle contraddizioni e delle speranze che segneranno i prossimi anni e un appello silenzioso e insieme rumoroso a non aspettarsi che le cose si risolvano da sé.

Non saranno Sony né Mercedes che potranno farlo dai loro palazzi della nuova Potsdamer Platz. Ma non sarà neppure la politica chiusa e soffocata nei piccoli poteri locali. C’è bisogno di intelligenza e di responsabilità per costruire una nuova Europa dove valga la pena di vivere.

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