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Acque da proteggere anche in montagna

Una decina d’anni fa l’allora vicepresidente della giunta provinciale trentina Walter Micheli percorrere le nostre vallate per difendere l’istituto dei parchi naturali e per provare ad istituirne di nuovi.

La tutela delle grandi riserve idriche di queste aree era una delle motivazioni ricorrenti nei ragionamenti di Micheli. Ascoltavo poi i commenti dei tanti amministratori comunali che irridevano questa preoccupazione: "Come, nel Trentino, nel vero e unico parco delle Alpi, il serbatoio idrico di tutta la sottostante pianura, ci preoccupiamo dell’acqua?"

L’estate che sta finendo ha scritto invece una pagina dell’emergenza idrica, meno visibile nel Trentino, ma a volte già drammatica sul rimanente arco alpino. La società funivie Tofana-Marmolada ha chiuso finalmente la stagione dello sci estivo in Marmolada col ghiacciaio ridotto a discarica diffusa, sempre più piccolo. Abbiamo visto tutti i ghiacciai ritirarsi ulteriormente, in modo drastico, dall’Adamello alla Presena, da quelli del Monte Bianco a quelli delle Alpi Centrali.

Abbiamo visto che il Veneto scopre l’allarme deserto - così titolava il Sole 24 Ore. Le falde acquifere sono scese anche fino a dieci metri e l’Autorità di Bacino ha varato limitazioni severe per pozzi, cave e irrigazioni lungo il Piave e la Brenta e modifiche nell’irrigazione, abbandonando quella ad acqua corrente.

Quanto sta accadendo non incide solo sull’agricoltura, ma nella statica degli edifici e nell’altezza dei suoli. Basta quindi escavazioni nei torrenti e fiumi, basta nuovi pozzi, attività di controllo sanitaria per quelli esistenti, regolamenti severi, previsti ottanta miliardi di interventi strutturali: queste le prime risposte all’emergenza veneta.

Sempre nel Veneto è accaduto che il torrente Cordevole e il fiume Piave siano rimasti totalmente a secco, con conseguente moria di fauna ittica e desolazione del paesaggio; ma a differenza di quanto avviene nel Trentino, i guardaparco del parco delle Dolomiti Bellunesi, sostenuti dall’ente stesso, hanno presentato denuncia alla magistratura sulla situazione dei corsi d’acqua.

E’ accaduto che i bacini idroelettrici abbiano dovuto affrontare, fin da giugno, carenza d’acqua e che in regione si stia ipotizzando, come avviene anche in Lombardia, di frenare la capacità produttiva dell’agricoltura e la sete d’acqua che questa economia comporta.

In tanti altri comuni pedemontani o delle Prealpi si è stati costretti a razionare l’acqua, o ad intervenire con la distribuzione attraverso autobotti perché dagli acquedotti arrivavano acque inquinate.

Se saliamo sui nostri ghiacciai non troviamo i colori che ci aspettiamo: non pretendiamo più di ritrovare i giochi di azzurro e verde visti in gioventù o che ci illustrano i documentari, ma almeno vorremmo trovare soddisfazione nel percorrere superfici bianco-sporco. Troviamo invece distese enormi di grigio o brunastro, e se andiamo in Marmolada prevalgono le chiazze di nero, di gasolio e benzine.

Quando poi scendiamo nei torrenti delle vallate ci si accorge che nonostante le centinaia di miliardi spesi nella costruzione dei depuratori non abbiamo migliorato lo stato di salute delle acque superficiali; anzi, in alcuni tratti sono peggiorate. Le acque in questo caso segnalano un limite ben preciso alle capacità di assorbimento dei fenomeni legati all’antropizzazione e alla qualità dello sviluppo.

Se questa è la situazione , dobbiamo preoccuparci. In queste righe si legge il fallimento dell’azione delle Autorità di Bacino, che dovevano ridisegnare la mappa di sicurezza del territorio, garantire la qualità dell’acqua, proporre misure di solidarietà nella gestione della risorsa fra le aree di origine dell’acqua (la montagna) e le aree del grande consumo, città e pianure. Se il fallimento è grave nelle regioni ordinarie, in quelle a statuto speciale i contorni diventano allarmanti e dovrebbero richiamare le istituzioni ad atti di coraggio. In queste regioni - nel nostro caso in provincia - tutto pareva più semplice: territorio omogeneo, servizi preparati, esperienza in tutti i settori. Invece l’Autorità di Bacino, oltre a differire la presentazione del piano dell’Adige, non ci ha ancora fornito nemmeno progetti-stralcio di intervento nelle zone più delicate; è incapace di intervenire perfino dove si sono costruite discariche in ambito fluviale (Taio, Scurelle o zona Sacco a Fortezza) o nel limitare i pesanti interventi di cementificazione del servizio acque pubbliche; e invece permette che le rive dei nostri torrenti vengano invase da parcheggi, piste ciclabili e grande viabilità, che l’urbanizzazione si diffonda lungo le rive dei laghi, che le captazioni per l’innevamento artificiale o di servizio all’agricoltura si sottraggano a una pianificazione severa. Non c’è insomma percezione dell’emergenza acqua: si continua a gestire il territorio come un puzzle nel quale è possibile inserire di tutto senza aver presente un disegno finale.

Gli allarmi dell’estate porteranno nelle nostre istituzioni maggiore coraggio? O dobbiamo ancora attendere nuove disgrazie per riflettere, per denunciare, per cadere nella retorica delle frasi fatte, per far ricadere sempre su altri - sui nostri vicini- le responsabilità dei dissesti che abbiamo diffuso su tutto il territorio?