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Lotta ai partimoni mafiosi: un monte di ostacoli

In 6 anni appena due miliardi di confische definitive su un patrimonio valutato in 108.000 miliardi. Forse è il caso di ripensare la strategia...

Vettori Barbara

A partire dagli anni ’80 l’ordinamento italiano si è dotato di specifiche figure di confisca per colpire le accumulazioni patrimoniali del crimine organizzato. In particolare sono state introdotte, rispettivamente dalla legge 646/82 e dalla legge 501/94, la confisca di prevenzione e la confisca penale dei valori ingiustificati.

Si tratta di strumenti teoricamente di notevole impatto sui patrimoni criminali. In entrambi i casi è infatti prevista la confisca dei beni di cui l’indiziato o il condannato per tipici reati di mafia dispone in misura sproporzionata alle sue legittime fonti di reddito, sempre che l’interessato non fornisca la prova della loro lecita provenienza.

I dati diffusi dal Ministero di Grazia e Giustizia nell’agosto del 1999 evidenziano tuttavia che tali misure hanno sottratto al crimine organizzato una parte infinitesimale delle ricchezze illecite. A fronte di un fatturato annuo della criminalità organizzata italiana che si attesta, secondo stime del 1998, sui 108.100 miliardi di lire, è infatti irrisorio il valore dei patrimoni colpiti da provvedimenti di sequestro e di confisca. Dal 1994 al 1999 sono stati infatti sequestrati beni per un valore di circa 107 miliardi di lire, mentre i beni sottoposti a confisca definitiva superano di poco i 2 miliardi

Come spiegare queste cifre? La scarsità dei beni sequestrati rispetto al fatturato delle organizzazioni criminali dipende dalla difficoltà che le forze investigative incontrano nell’individuare i patrimoni criminali. L’utilizzo di tecniche di riciclaggio sempre più sofisticate, la diversificazione degli investimenti attuata dai mafiosi, il ricorso a persone insospettabili a cui intestare fittiziamente i beni complicano infatti l’individuazione dei proventi illeciti. A ciò si deve aggiungere l’inadeguatezza delle indagini patrimoniali, che vengono spesso svolte in modo indiscriminato e perciò scarsamente produttivo. Gli accertamenti patrimoniali si focalizzano inoltre sui beni più visibili, ossia gli immobili, nonostante la maggior parte del capitale mafioso sia investita in titoli.

Numerose sono le cause che concorrono a determinare il gap tra il valore dei beni sequestrati ed il valore dei beni confiscati in via definitiva. In primo luogo va menzionata la formulazione lacunosa ed imprecisa che spesso caratterizza i provvedimenti di sequestro, i quali sono quindi facilmente destinati a cadere nel momento in cui si valuta la legittimità della conversione della misura cautelare in confisca.

L'esiguità dei beni definitivamente sottratti alla mafia rispetto a quelli sequestrati dipende poi dai lunghi tempi necessari per passare dal sequestro alla confisca definitiva, che si traducono nel deterioramento e nel deprezzamento dei beni, e dalle difficoltà che il pubblico ministero incontra nel dimostrare la riconducibilità dei beni in capo al proposto/imputato nel caso in cui gli stessi siano fittiziamente intestati a terzi.

I dati del Ministero forniscono importanti indicazioni anche sulla fase successiva alla confisca definitiva dei beni immobili, per i quali la legge 109/96 ha previsto un utilizzo a fini di utilità sociale. Il procedimento di destinazione dei beni immobili confiscati è stato avviato, dal 1994 all’agosto del 1999, in relazione a 363 beni. Solo 116 immobili, tuttavia, sono stati effettivamente consegnati al termine della procedura di destinazione. Tale situazione dipende dai lunghi tempi necessari per la definizione del procedimento di destinazione. La legge prevede una durata della procedura di poco superiore ai 4 mesi, ma causa della scarsa collaborazione tra i competenti organi la procedura si protrae in realtà per anni. Intanto gli edifici confiscati si deteriorano; a volte sono soggetti ad atti di vandalismo, divenendo inutilizzabili, oppure vengono saccheggiati degli arredi e delle suppellettili.

Non è migliore la condizione delle automobili confiscate. Il Servizio Consultivo ed Ispettivo Tributario (Secit), che fa capo al Ministero delle Finanze, ha rilevato che esse, di solito, vengono abbandonate in depositi pieni di vetture ormai inutilizzabili, per cui lo Stato paga una tariffa di deposito e custodia pari a circa 100 miliardi annui.

Alla luce del deludente bilancio applicativo delle figure di confisca elaborate per intaccare gli interessi del crimine organizzato, è necessario un ripensamento della strategia di contrasto ai patrimoni criminali. Senza un’efficace normativa finalizzata a colpire i proventi illeciti, la lotta alla mafia è infatti lontana dall’essere vinta.