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QT n. 23, 23 dicembre 2000 Cover story

Il nostro Vajont?

La frana dello Slavinac, con la sua drammatica pericolosità, mette a nudo i rischi di una politica incapace di rapportarsi correttamente con l’ambiente. Intanto la Giunta provinciale latita, paralizzata dai veti delle lobby, e da un macroscopico conflitto d’interessi interno (l’assessore Casagranda).

Ricordo, nel tardo autunno del 1985, il monito di Ezio Ferrari, responsabile delle foreste trentine, integerrimo funzionario della Provincia Autonoma, ma soprattutto un cittadino che viveva con forte passione civile i destini della sua terra, durante il nostro primo incontro dopo l’insediamento della nuova giunta provinciale nata dal trauma politico della tragedia di Stava: "Il problema più grave del territorio trentino è nella gestione del porfido, subordinato agli interessi dei concessionari con l’ente pubblico incapace di tutelare gli interessi generali della comunità".

Ricordo la drammatica conferma di queste parole, pochi mesi dopo, quando la frana del Graon, nel gennaio del 1986, minacciò di provocare nuovi devastanti effetti lungo la valle dell’Avisio e dell’Adige. Non posso dimenticare, poche settimane dopo, i corridoi del Consiglio provinciale intasati dagli imprenditori del porfido che minacciavano serrate, dopo la decisione della giunta di bloccare le discariche di versante sull’Avisio, che erano state facile luogo di smaltimento delle enormi quantità di porfido estratto e scartato da lucrosi processi di lavorazione.

Ricordo - era il 1990 - il commento severo - accanto a tanti compiacimenti - fatto a Roma dall’allora ministro Giorgio Ruffolo, alla presentazione del primo rapporto dello stato dell’ambiente trentino: "Il vostro punto debole è il settore estrattivo, che confligge in modo troppo stridente con l’insieme del vostro sistema paesaggistico e ambientale".

Ci fu lo sforzo di salvare il salvabile. Andammo addirittura a cercare esperienze presso la lontana università californiana di Pomona, formammo tecnici del ripristino di settore, ancor oggi in servizio presso la Provincia ed imprese private, recuperammo sfregi ambientali e zone a rischio, proprio nel comune di Lases.

Si ridiede protezione e qualità a quel lago che oggi, sfregiato e manomesso, appare come la vittima sacrificale di un sistema che mostra, per l’ennesima volta, il suo equilibrio precario.

Si avviò l’esperienza dei "piani cava modello". E, infatti, sarebbe ingiusto negare che oggi i modelli di estrazione non siano cambiati rispetto agli anni delle cave selvagge. Tuttavia è il vecchio non risanato che, sovrapposto al nuovo che in ogni caso continua a produrre effetti usuranti sul territorio, non regge più e impone di ridiscutere il tutto: area e modi d’estrazione.

Il pericolo di crolli imponenti di materiale nel lago di Lases, non è, infatti, un pericolo qualsiasi, effetto di un destino cinico e baro o più semplicemente delle inevitabili modificazioni dell’orografia della montagna trentina.

Da venticinque anni su quell’area si intrecciano le attenzioni, le prescrizioni, gli interdetti delle strutture pubbliche provinciale e comunali, luogo emblematico dell’incapacità dell’ente pubblico di far seguire provvedimenti efficaci e coordinati, alla conoscenza certa di uno stato di incompatibilità tra la tenuta ambientale e un sistema produttivo che pervicacemente si vuol continuare a mantenere in una zona che non riesce più a sopportarlo. A tal punto da portare la Provincia a prevedere un piano preventivo di sgombero dell’intero paese di Lases, provvedimento precauzionale che ha pochissimi precedenti nel Trentino, forse solo quello, rimasto per decenni nella nostra memoria, di Zambana Vecchia a metà degli anni Cinquanta.

[/a]E’ aperta la discussione sulle dimensioni e sulla portata del rischio incombente, ma nessuno nega che rischio grave ci sia, e che a rischio ci sia un intero paese. Del resto che anche le previsioni più nere non possano a priori essere scartate, lo conferma la storia non remotissima del lago di Lases e la naturalità del medesimo. Ricorda Gino Tomasi nella sua opera fondamentale "I laghi del Trentino": "Nel 1882, anno memorabile per la grande piovosità, esso arrecò danni al paese, tanto che si dovettero difendere le case più basse fabbricando delle dighe". E ancora: "L’emissario settentrionale del lago esce dalla spiaggia settentrionale attraverso depositi ghiaiosi e dopo breve percorso si getta nell’Avisio."

I depositi ghiaiosi, citati nell’opera di Gino Tomasi, sono oggi trasformati nelle enormi discariche, oggi dismesse, di Nalbaré e a seguire le altre lungo il corso dell’Avisio, fino a Camparta.

Più a nord la fragilità della discarica del Graon si è già palesata, la precarietà rimane, tanto è vero che il servizio geologico aveva progettato un piano di recupero in sicurezza, peraltro mai realizzato.

Ancora problemi di limiti, di misura, di vocazioni per il Trentino e per il suo sviluppo. Problemi che non possono essere affidati, o meglio scaricati su una piccola comunità, dove l’intreccio d’interessi fra chi è concessionario, chi dà le concessioni, chi lavora nelle cave concesse è troppo forte perché garantisca trasparenza e lucidità negli interventi necessari. Interventi di tale complessità e portata che oggi solo la titolarità, la forza, la capacità della Provincia possono mettere in campo. Provincia che, come spesso accade, riesce a fare in maniera eccellente il suo mestiere nel momento dell’emergenza, quando entra in campo la protezione civile, ma che sembra paralizzata quando deve decidere su come programmare l’uso del proprio territorio. Anche qui, quanto ha pesato, quanto pesa la forza delle lobbies e delle corporazioni? Moltissimo, ricordava la testimonianza di Ezio Ferrari. Oggi uno dei più forti rappresentanti della corporazione dei cavatori, per di più titolare di cave localizzate sulle stesso monte Gorsa dove si trova lo Slavinac, è addirittura in Giunta provinciale.

Sergio Casagranda, assessore provinciale e rappresentante dei cavatori; anzi, in barba ai conflitti d'interessi, titolare egli stesso di cave proprio a Lona-Lases.

Quando si tratterà di decidere nuovi limiti, nuove procedure di estrazione, quando si tratterà di chiedere ragione degli immensi danni naturali provocati dal depauperamento di un bene ambientale di valore incommensurabile come il lago e il biotopo, chi sarà chiamato a pagare? Il conflitto di interessi, quotidianamente e in modo sacrosanto denunciato per Berlusconi, verrà posto qui, nell’isola nordica del del centro-sinistra, anche per l’assessore Casagranda? Resta il fatto che la Giunta provinciale tarda a prendere in mano l’intera questione - quella dei limiti, quella delle sanzioni, quella dei risarcimenti.

Problemi di sicurezza, problemi di tutela ambientale, ma anche problemi di costume politico dunque. Lases ha già subito i crolli di Coston-Grigne e del ricordato Graon, e su Lases incombe ora un nuovo pericolo. Ma per quello che abbiamo visto e detto non può essere una questione da chiudere entro i confini di quel comune. Pone problemi per tutti, è una questione che intreccia temi vitali per il presente e il futuro di tutto il Trentino.