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QT n. 3, 10 febbraio 2001 Monitor

Stutzmann, una delusione a metà

Luca Casagrande

Nathalie Stutzmann, invitata a tenere un concerto alla Sala della Società Filarmonica di Trento, è senz’ombra di dubbio una delle attuali maggiori cantanti francesi di fama internazionale. Inoltre - dato questo degno della massima nota - uno dei pochi autentici contralti degni di questo nome esistenti sulle scene liriche mondiali. Parigina, classe 1965 (per lo meno ufficialmente), è conosciuta e seguita professionalmente da parte di chi scrive da almeno una decina d’anni, a partire, cioè, da quando la carriera internazionale della cantante ha preso quota, e l’allora ventiseienne contralto, pianista e fagottista, si è incominciata ad imporre rapidamente all’attenzione dei principali direttori d’orchestra: Ozawa, Jordan, Rosenthal, Scimone, Guttenberg, Rostropovich, Plasson, Davis e Lombard.

Nathalie Stutzmann ha cantato nei maggiori teatri europei, regalandoci, ad esempio, una splendida Mélisande nel "Pelléas et Mélisande" di Debussy a Bonn, un’Erda memorabile in "Das Rheingold" di Wagner a Bordeaux, e disimpegnando in maniera rasente il sublime, la parte del contralto nella "Messa di Requiem" di Mozart a Toulouse, la "Rapsodia per contralto" di Brahms e la "Missa Solemnis" di Beethoven. Queste sono solo poche tra le interpretazioni della cantatrice, tutte plasmate sulla sua eccezionale levatura di musicista e sull’inusuale, del tutto straordinaria qualità della sua voce. Una voce, quella della Stutzmann, a parte la rarità del registro e la personalità del timbro, di colore scuro, densa, nerastra quasi, nei suoni gravi, che possono assumere inflessioni androgine inquietanti, piena e rotonda senza essere pesante, quando sale al medium, dove schiarisce leggermente, per diventare, negli acuti di forza, metallica, mordente e penetrante, dolcissima in quelli a mezza voce e piano. Non una voce bella: anzi, piuttosto disuguale, nel complesso, ma una voce bellissima perché estremamente espressiva. A testimoniare, ancora una volta, che la musicalità e l’espressività, non la voce considerata in sé, fanno il cantante autentico.

Nonostante i fasti vocali e quelli di una carriera, che pone la Stutzmann tra le grandi interpreti della storia del canto del nostro secolo, il concerto di giovedì 1° febbraio, alla Sala della Società Filarmonica di Trento, non è stato del tutto convincente. Camerista di grande talento e di gusto aristocratico, impostasi anche per le sue interpretazioni liederistiche, la Stutzmann ci ha francamente delusi in Schubert: mancanza di "legato", molte note opache, fisse, sbiadite, portamenti "alla Debussy", nessun "tangibile" (o "udibile") riferimento al romanticismo tedesco e, per finire, una pronuncia sassone da "sposa tirolese", con delle gutturalità a malapena sopportabili, che i tedeschi veri, cantanti e non, non oserebbero mai emettere. Un vero peccato.

Sia come sia, crediamo che la corda del lied schubertiano non vibri per nulla tra quelle che Nathalie Stutzmann ha a disposizione. Al contrario, in Poulenc, nello specifico nel cycle "Les banalités sur des poèmes d’Apollinaire", è emerso un intenso, ipnotico lirismo, la voce si è fatta morbida e calda, la gestualità, finalmente, da grande cantatrice lirica, e, se il canto del contralto francese può non aver convinto qualcuno per grinta o verve, ha senz’altro commosso per lirismo e affascinato per morbidezza.

Molto bene anche in De Falla, di cui la Stutzmann ha compreso perfettamente lo spirito vigoroso, e, per concludere, divinamente ironico il bis, di nuovo di Poulenc.

La svedese Inger Södergren, al pianoforte, salvo uno "scivolone" in Schubert, ci ha fatto dono di sonorità molto tornite e controllate.

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