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In memoria di Alessandro Natta

Fra i comunisti della mia generazione la morte di Alessandro Natta ha provocato una particolare tristezza. Con lui se n’è andata una parte di noi.

La vicenda che si è consumata nel giro di pochissimi anni, dal 1989 al 1993, si conclude oggi anche fisicamente con la scomparsa di Natta, che fu l’ultimo vero segretario del PCI, quando questo era ancora considerato, a ragione, una imponente corazzata che con la sua flotta (sindacati, cooperative, centri di cultura, editoria) sotto la copertura ideologica della "via italiana al socialismo" in realtà assolveva al compito storico di costruire la democrazia pur dall’opposizione, di educare alla politica milioni di persone che da secoli ne erano state escluse, di sprovincializzare la cultura, di modernizzare la struttura economica del Paese. Questa funzione progressista e liberatrice fu adempiuta con onore, anche se a volte il PCI appariva come un Giano bifronte, con uno dei due volti oscurato dal dogma rivolto al socialismo reale, all’Unione Sovietica con cui manteneva uno stretto legame. Da questo cordone ombelicale, a intermittenze sottoposto a tensioni e tagliato soltanto con la caduta del muro, il PCI traeva alimento emotivo per la sua base, ma rallentando e a volte inceppando la sua vera funzione nazionale, fornendo una giustificazione oggettiva alla conventio ad excludendum.

E’ inutile recriminare. Le cose sono andate così, e forse non potevano andare diversamente dato che la storia, sempre e dovunque, obbedisce alle regole della duplicità (unione dei contrari). Alessandro Natta guidò il PCI quando il legame con l’URSS si era fatto ormai tenue, aveva da tempo subito il trauma di Budapest e lo strappo di Praga, e il partito si era ormai laicizzato. Chi meglio di Natta poteva essere il segretario generale di un partito del tutto "occidentalizzato", dopo la morte di Enrico Berlinguer, con la grandezza e l’austerità del suo carisma?

Natta era piccolo di statura, agile nel corpo e mobile nel volto grifagno, pronto alla battuta e alla risata a volte ironica a volte liberatoria. Intellettuale con solide basi umanistiche, veniva dalla Normale di Pisa e dalla Resistenza nei lager, aveva una profonda preparazione politica, inimmaginabile oggi anche a sinistra, dove spesso uno slogan sostituisce anni e anni di (mancato) studio. Accolse la carica di segretario generale con la modestia francescana che gli era propria: "Dubito - scriveva nel suo diario - della mia forza politica". Ma poi obbedì a quello che riteneva un dovere e diede il meglio di se stesso.

Ricordo alcuni fortunati incontri in occasione della tragedia del Vajont: mi colpirono la forza dei suoi ragionamenti, la passione che li animava, la curiosità delle domande, l’allegria giovanile del suo sguardo. Era straordinaria la sua capacità di mettere subito a suo agio l’interlocutore. Ricordo quanto la prima volta fossi teso e preoccupato. Non capitava spesso di avere un colloquio col segretario generale. Dopo pochi minuti ero completamente rilassato e gli parlavo come a un vecchio amico.

Mi stupì l’ironia con cui giudicava, pur rispettandoli, i rituali che ancora regolavano l’attività del partito, la sua gerarchia, i suoi "concistori". Mi parve come un laico in chiesa, che non si pone il problema dell’esistenza di Dio, ma apprezza la forza dei fedeli, la compattezza del gregge, la generosità della via.

Natta insegnò molte cose alla nostra generazione: per esempio che nel fare politica bisogna essere rigorosi e incorruttibili, non perdere mai di vista la rotta e l’obbiettivo, ma al tempo stesso essere pronti ad ogni manovra pragmatica per ottenere risultati non effimeri; che bisogna rimanere fedeli alle proprie idee soprattutto quando la corrente è contraria, perché la politica costituisce il senso più profondo della vita civile, che non si misura con l’abilità di fare carriera ma con la forza dei principi.

Quando non tanto l’infarto ma l’irruenza dei giovani colonnelli lo costrinse a lasciare il timone, lo fece con la stessa umiltà di quando aveva assunto il comando. E così fece quando morì, e volle essere sepolto con la semplicità e il pudore di un monaco.

Gli uomini muoiono, i partiti si dissolvono, ma le idee continuano a vivere anche durante le eclissi.

Multa renovantur quae jam cecidere.

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