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QT n. 11, 2 giugno 2001 Servizi

Lavini: un progetto sbagliato senza più padri

Lo smaltimento di rifiuti tossici nell’area dei Lavini di Marco di Rovereto. Nessuno osa assumerne la paternità, nessuno osa fermarlo.

Nell’ultimo numero di Questotrentino, presentando la vicenda della Cava Lastiela a sud di Rovereto (Come bonificare un'area? Industrializzandola!), abbiamo erroneamente riportato che il progetto di bonifica tramite un insediamento industriale di trattamento di rifiuti è stato patrocinato e gode di opinione favorevole da parte dell’assessore provinciale all’Ambiente Iva Berasi, del partito dei Verdi.

L'assessore provinciale all'ambiente Iva Berasi (Verdi).

Dobbiamo rettificare: l’assessore Berasi si trova a dover gestire una situazione della cui origine non ha nessuna responsabilità. Ci scusiamo con Iva Berasi per l’errore del nostro ultimo articolo e per l’ingenerosità di alcune affermazioni ivi contenute. Abbiamo approfondito la vicenda, che si è rivelata ancor più indicativa di errori e approssimazioni nella gestione del territorio; qui la ripercorriamo, aggiornandola con gli ultimi accadimenti.

La questione ha radici in parecchi anni passati. La cava della Lastiela è stata utilizzata nel corso degli anni Ottanta come discarica di silicato bicalcico, proveniente dalla lavorazione industriale della magnesia, da parte di una ditta di Bolzano. Questo silicato bicalcico conteneva residui di lavorazione, come metalli pesanti o altro, che hanno provocato infiltrazioni di ammoniaca nel terreno circostante, causando una situazione di preoccupazione ambientale. Per di più in un sito circondato da zone di grande pregio ambientale: ad ovest il biotopo dei Lavini, una zona allo stesso tempo arida e umida, formata da massi calcarei di origine franosa, nella quale sono presenti alcuni laghetti ricchi di vegetazione, collegati con la falda acquifera e il cui livello è soggetto a grande variabilità; ad est le piste dei dinosauri e il Parco del Cengio Alto. Si tratta quindi di un’area che ha scoperto recentemente una chiara vocazione ambientale e turistica, e che merita di essere valorizzata.

I Lavini di Marco.

Già, ma c’è il problema della bonifica. Come riportato nel numero scorso, nel ’98 venne avanzata da parte della ditta AGaVi la proposta di sistemare nella zona della cava un capannone industriale di smaltimento di rifiuti, ed in cambio dell’autorizzazione, lavorare il silicato bicalcico senza oneri per il Comune (anzi, pagando qualche tassa per l’uso di un bene pubblico come la rete viaria, ecc.: dal contratto risulterebbero circa 60 milioni all’anno). Poi, passati 6 anni, rinnovabili per altri 6, la ditta avrebbe smantellato tutto e se ne sarebbe andata.

Va notato però che, secondo lo schema originario, la ditta in pochi mesi smaltirebbe il silicato, per poi lavorare rifiuti industriali, come scorie e terre di fonderia e di fanghi dell’industria della ceramica, che probabilmente non proverrebbero dal Trentino.

Corrado Corradini (Verdi) assessore comunale a Rovereto quando fu accolta la proposta della AGaVi.

La proposta della AGaVi fu accolta favorevolmente dal Comune di Rovereto: non dalla attuale giunta Maffei, bensì dalla giunta Ballardini. C’è infatti un atto di indirizzo della Giunta Comunale di Rovereto del 18 novembre 1998, che approva lo schema di convenzione proposto dalla AGaVi, compresa una clausola di risoluzione contrattuale che prevede che entro 6 mesi (e, ricordiamolo, siamo nel 1998) la AGaVi deve ottenere tutte le autorizzazioni da parte della Provincia, altrimenti non se ne fa niente. L’atto fu approvato in Giunta Comunale quando era assessore all’ambiente da pochi mesi Corrado Corradini, ma era stato preparato quando assessore all’ambiente era Pino Finocchiaro (tutti e due della Lista Verde). Adesso, da noi consultati, entrambi hanno buon gioco nello scaricare sull’altro la responsabilità dell’atto.

La clausola di risoluzione prevedeva che in sei mesi tutte le autorizzazioni provinciali dovessero essere concesse: probabilmente un modo del Comune per coprirsi le spalle di fronte alla ditta. Infatti la convenzione era stata approvata a condizione che la ditta lavorasse materiali non pericolosi elencati nel Decreto Ronchi 22/97. Ma anche la ditta aveva in questo modo la possibilità legittima di sottrarsi ad obblighi contrattuali nel caso l’iter amministrativo dovesse essere troppo lungo. Ed invece le cose diventano un po’ vaghe: infatti lo schema di convenzione approvato dalla Giunta non è poi stato firmato da nessuno. I protagonisti di allora appaiono oggi molto "riservati": non c’è nessuno disposto ad assumersi la paternità dell’atto.

In effetti, un computo sereno delle ragioni del sì e del no non può lasciare dubbi. Le ragioni per il sì sono che a costo zero (anzi, ricavando 60 milioni all’anno di tasse), si ottiene il recupero ambientale dell’area, anche se per sei o più anni questa sarebbe utilizzata dagli impianti della ditta. Però è anche vero che le ipotesi di costo delle ipotesi alternative di smaltimento non sono drammatiche come 3 anni fa: si parla di circa 300 milioni, cifra più o meno variabile a seconda di cosa sia rimasto veramente di pericoloso dentro il cumulo di silicato: c’è chi sostiene che ormai è lì da così tanto tempo che è diventato quasi tutto inerte per effetto degli agenti atmosferici.

E le ragioni per il no sono molto consistenti: l’esperienza infatti insegna che è molto più facile costruire che demolire: nuovi insediamenti industriali aprono spesso la strada ad altri insediamenti, piuttosto che il contrario.

Tra 6 o 12 anni, verrà davvero demolito il capannone della AgaVi? In caso contrario, una zona di grande pregio ambientale risulterebbe urbanizzata nel modo peggiore: ai bordi di un biotopo da una parte, e di un (ipotizzato) Parco dall’altra, sorgerebbero capannoni, sulla scia di un’impresa che lavora rifiuti industriali provenienti da fuori provincia.

La popolazione del vicino abitato di Marco non ci sta; e ci sembra difficile non darle ragione.

Ed ecco quindi svilupparsi una dinamica politico-burocratica a suo modo esemplare. Come nessuno si prende la paternità politica del progetto, parimenti nessuno si è preso la responsabilità di dire un sonoro no alla AgaVi. Però le perplessità (per fortuna) andavano aumentando: la ditta iniziava le procedure amministrative per ottenere le autorizzazioni necessarie, ma i tempi intanto si allungavano.

In particolare l’Agenzia per l’Ambiente, con tutta una serie di richieste (sulle tipologie dei rifiuti, su ulteriori aspetti tecnici, ecc.) in pratica dilazionava. Risultato: quello che doveva essere risolto in cinque mesi, non è ancora risolto dopo più di due anni.

L’assessore Berasi lo dice esplicitamente: "Noi non diamo una valutazione positiva dell’impianto. Però capiamo i problemi del Comune ed abbiamo tirato per le lunghe allo scopo di permettere a Rovereto di arrivare a una decisione che valuti soluzioni alternative."

Frattanto a Rovereto è diventato assessore all’ambiente Cristian Sala, che non ha ancora rilasciato una dichiarazione ufficiale sull’argomento. Né tantomeno la Giunta del nuovo sindaco Maffei esprime un parere al riguardo.

Questa assenza di posizioni ufficiali, assieme alla voce che l’iter tecnico della ditta abbia concluso il suo corso, fa sì che all’interno stesso dell’amministrazione si diffonda una versione distorta dei fatti. Nel febbraio di quest’anno a Rovereto si discute di Piano Regolatore ed alcuni giornali indicano come possibile zona di sviluppo artigianale o industriale proprio la zona ad est della statale Brennero, la cava della Lastiela . La circoscrizione di Marco si riunisce per ribadire il suo no all’impianto e chiedere lumi al nuovo assessore Sala sulla pratica AgaVi. La notizia che ormai mancherebbe solo l’autorizzazione della Berasi, scatena i timori peggiori. Anche la Commissione Ambiente del Comune interroga per avere chiarimenti, ma non arrivano posizioni ufficiali dalle autorità competenti. E un silenzio, che pare vada inteso come: "Non abbiamo ancora ragioni sufficienti per dire di no", viene scambiato per "Diremo di sì appena possibile".

Invece la situazione è ben diversa. Questo è quanto ci ha comunicato l’assessore Berasi al riguardo: "Andrò in Giunta Provinciale con un conchiuso in cui si blocchi tutta la questione in attesa del prossimo Piano Provinciale dei Rifiuti. Nel frattempo il Comune può far trattare dalla AgaVi il materiale presente in loco, ma solo quello."

In sostanza, si disincentiva la AgaVi impedendole di portare materiale da trattare, e quindi rendendole anti-economico lo stabilimento. Questo per ora. Poi si vedrà, con il Piano Provinciale dei Rifiuti.

Come andrà a finire? Abbiamo detto del silenzio del Comune; Cristian Sala ci chiede di non anticipare le sue opinioni: ci sarà - ed è prevista tra breve - una riunione della Giunta comunale che riconsidererà l’intera questione e che terminerà con un parere definitivo, sotto la condizione che si trovi il modo di risolvere il problema del silicato bicalcico in modo conveniente. Quindi aspettiamo e vediamo.

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In altri numeri:
Come bonificare un’area?Industrializzandola?

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