Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

“Delitti”

Vittorino Andreoli, Delitti. Rizzoli, Milano, 2001.

Storie di matricidi, parricidi, infanticidi, delitti consumati per lo più dentro le pareti domestiche; così, un grande psichiatra, Vittorino Andreoli delinea i contorni della personalità, le "zone d’ombra" degli esecutori.

Il giovane Pietro Maso uccise i propri genitori con la complicità di alcuni amici, Ferdinando Carretta sterminò l’intera famiglia scomparendo nel nulla per nove anni, Luigi Chiatti assassinò due bambini a Foligno; Andreoli racconta i vissuti dei protagonisti di questi ed altri delitti efferati che hanno scosso l’opinione pubblica e occupato le pagine dei giornali.

Questi delitti spesso nascono su un terreno di degrado sociale e psicologico fatto d’emarginazione, noia e mancanza d’ideali. Le personalità degli esecutori appaiono fragili e dipendenti. Come specifica l’autore, "dipendenza significa difficoltà di prendere decisioni, mancanza di un’identità precisa, facile suggestionabilità. Insomma, una forte incapacità di gestirsi autonomamente sulla base di regole e principi".

I protagonisti dei delitti si muovono inoltre in un contesto privo di legami d’attaccamento affettivo. E’ evidente lo stato di solitudine, l’incapacità di comunicare con gli altri fino a percepire il rapporto con il mondo esterno come pericoloso. Il disagio psicologico ed emotivo rimane quindi inespresso, la socialità è bloccata, si diviene incapaci di costruire relazioni sane e si attivano invece quelle conflittuali e patologiche.

Luigi Chiatti, che uccise due bambini, racconta il bisogno di contatto fisico per fronteggiare la propria solitudine: "Si è radicata in me la difficoltà di entrare in contatto con gli altri e a trovare degli amici. Vivevo ormai da un pezzo da solo e questa solitudine aveva fatto crescere dentro di me, oltre alla necessità di una compagnia, anche il bisogno di un contatto fisico che a quella si accompagnasse, qualcosa che mi montava dentro come una fame man mano che perdurava la mia solitudine. Avevo iniziato a cercare bambini con cui stare; con loro avevo un ottimo rapporto, riuscivo a conquistare la loro fiducia e farmi coinvolgere nei loro giochi …non ho mai creduto che gli adulti potessero essermi d’aiuto, perché con loro non riesco a entrare in sintonia".

I protagonisti dei delitti manifestano quindi personalità immature affettivamente, egocentriche e narcisistiche. Spesso la relazione con l’altro non si basa sui legami di reciprocità ma sui propri bisogni, così buono è tutto ciò che è utile al proprio ego, cattivo tutto ciò che ne inibisce l’affermazione.

Tutte le azioni sono finalizzate ad accrescere la propria forza, all’avere, all’apparire e non all’essere. In quest’ottica, anche le figure genitoriali si trasformano in puri ostacoli da eliminare pur di poter esporre la propria potenza.

Andreoli, analizzando il caso di Pietro Maso, così si esprime: "I genitori esistevano non come principio d’autorità ma come oggetto, un salvadanaio da cui il giovane poteva trarre tutto ciò che gli serviva. Giunto ad un certo punto, per ottenere ciò di cui aveva bisogno, ha sentito l’incondizionata necessità di rompere questo salvadanaio. Non aveva ideali ai quali fare riferimento al di fuori del proprio narciso e i suoi desideri erano comunque incarnati in oggetti: BMW, abiti, feste."

Il denaro diviene quindi il mezzo per celare la propria fragilità interiore ed ostentare una falsa sicurezza di sé. Questi soggetti non sopportano di dilazionare un desiderio e vivere una frustrazione, a costo di sovvertire ogni valore etico per ottenere una ricchezza immediata, e sono incapaci di amare gli altri perché ammirano solo se stessi.

Dietro l’impulso omicida si nascondono quindi personalità dalle varie sfaccettature, ma Andreoli analizza, oltre al lato "oscuro" dei protagonisti, il contesto famigliare di ciascuno di loro. Talvolta le figure genitoriali sono carenti dal punto di vista della relazione affettiva; i comportamenti anomali dei figli esprimono il loro profondo disagio psicologico, come laceranti "grida d’aiuto" che non sono percepiti dai familiari.

La famiglia si chiude sempre più in se stessa incapace diascoltare e comprendere, perché è sempre più difficile nella società del benessere ammettere la patologia dei propri cari.