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Roma, sabato 23 marzo

Il giorno successivo, a mente fredda, rivivo volentieri le sensazioni di sabato 23 marzo a Roma: so di aver partecipato ad un evento che forse non ha eguali nella storia della Repubblica.

Leggo con attenzione i quotidiani, do uno sguardo alle cifre, c’è chi dice ch’eravamo 3 milioni(la Cgil), chi 700.000 (la questura). Laggiù, nell’immensa cornice del Circo Massimo, era per me impossibile quantificare le persone, ma sapevo che molti erano ancora in corteo, qualcuno addirittura era rimasto bloccato sul raccordo anulare.

Passo ai commenti: c’è chi esalta la manifestazione, chi la guarda con attenzione e rispetto, chi la critica, chi infine ci spara contro, collegandola al clima d’odio che ha portato al recente atto di terrorismo che ha assassinato il professor Marco Biagi. Mi sembra davvero incredibile che certi ministri parlino di "sindacato privato che con la manifestazione ha portato un attacco alla legalità e alla Costituzione", o di "pericolo per la democrazia": per me, studente trentino iscritto a Bologna al primo anno di Scienze Politiche, questa manifestazione nazionale, organizzata dalla CGIL, ha rappresentato invece il segnale più forte proprio per rispondere a chi con le armi tenta di bloccare i normali metodi di confronto in una democrazia.

Sull’altro grande tema, la difesa dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che ha spinto tanti ad esserci, a Roma, mi sono documentato in queste settimane, leggendo i giornali, ascoltando pareri, dialogando con gli amici.

E’ stato bello sentire il fervore della partecipazione intorno a te nei giorni prima di sabato, vedere le persone che si organizzavano, giovani e vecchi, studenti, lavoratori e pensionati. Mi sono impegnato a convincere chi non ci crede, chi dice che la piazza non risolve i problemi, chi si disinteressa perché non conosce il tema, chi ha qualche impegno frivolo per cui andare a Roma sarebbe una perdita di tempo.

L’informazione, in questi casi, ritengo sia un’arma decisiva: se le persone si interrogano, capiscono che una questione come l’articolo 18 riguarda anche noi giovani, destinati a chissà quale futuro. "Precario e instabile" sono le parole che sentiamo aleggiare sopra di noi: la minaccia di vivere senza un lavoro fisso, in balia delle decisioni di altri, ti assale costantemente. Se davvero ognuno diventa consapevole di tutto questo, allora sente forte il bisogno di testimoniare la sua opposizione alla politica del lavoro di questo governo.

Certo, andare a Roma ha comportato anche dei sacrifici: una notte passata su un treno senza dormire, un gran caldo, una massa di gente che a volte ti soffoca, un panino come unico pasto della giornata. Se però penso alle esperienze che mi restano dentro, allora capisco che ne è valsa la pena: discutere con i lavoratori che hanno partecipato a tante manifestazioni, che hanno lottato per ottenere lo Statuto dei lavoratori, vedere tanta gente che sventola la tua stessa bandiera, ascoltare Piovani che suona davanti alla folla le note de "La vita è bella". E poi infiammarsi quando Cofferati va al microfono, applaudire calorosamente anche gli altri oratori che si succedono sul palco, lasciarsi contagiare dall’atmosfera di Roma, dalla sua storia testimoniata dai monumenti che ti circondano, cantare insieme gli slogan più vari.

Si può manifestare pacificamente: ecco, per questo credo di aver fatto bene a partecipare anch’io. Quando poi, sul treno del ritorno, incontriamo gli amici del sindacato dei pensionati della CGIL, li vedo piacevolmente sorpresi di trovarsi davanti giovani come noi, motivati come loro una volta. Ci stimolano a continuare su questa strada, perché il futuro è nostro, ma ce lo dobbiamo costruire: alle loro parole sento ancora più forte la necessità di partecipare, anche ad altri momenti che hanno un significato per me, ma anche per le classi dirigenti del mio Paese.

Noto che questa grande mobilitazione ha qualcosa di diverso rispetto a quella del 2 marzo, organizzata dall’Ulivo in Piazza S. Giovanni, alla quale ho pure partecipato.

Allora si trattava di una parte, di cui per altro mi sentivo partecipe, che protestava contro la politica di questi primi mesi del governo Berlusconi. Qualcosa, un sottile filo rosso, collega quel popolo a quello che è sceso in piazza sabato scorso. Quel filo rosso però si è ingrossato, un fiume di persone ha letteralmente invaso la capitale, le differenze all’interno delle opposizioni sembrano scomparse, tutto quel mare di bandiere rosse sembra testimoniare la forza dell’unità.

Di questa manifestazione mi rimangono una spilla CGIL appesa sul mio astuccio, e un braccialetto rosso con la scritta "No al terrorismo" che mi penzola dal polso, simbolici gadgets di una giornata indimenticabile.