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Droga: quando la pena diventa terapeutica

Dagli USA un innovativo approccio contro la microcriminalità legata alla tossicodipendenza.

Federica Curtol

Nel 1999, quando entrò nelle aule di giustizia della Drug Court (un tribunale "speciale" per tossicodipendenti) di Toronto, Cindy B., appena diciottenne, aveva già alle spalle una lunga storia criminale, indissolubilmente legata alla sua tossicodipendenza. Chiamata a rispondere per l’ennesimo furto con scippo, venne posta di fronte alla scelta di scontare una pena in prigione, oppure entrare in un programma di recupero terapeutico, con l’avvertenza che ogni infrazione o progresso nel suo cammino di riabilitazione sarebbero stati attentamente monitorati, e quindi sanzionati o premiati dallo stesso giudice. Dalla sua entrata nella Drug Court, Cindy ha completato il suo percorso di recupero: non si droga, non ha più commesso crimini, ed ha perfino trovato un lavoro.

La storia di questa ragazza canadese rappresenta solo uno dei numerosi esempi che vengono riportati dai promotori delle Drug Courts a testimonianza della loro efficacia nella riduzione dei reati e del consumo di droga. Ma cosa sono in effetti queste Drug Courts?

Esse possono essere definite delle corti specializzate nel trattamento della microcriminalità connessa alla tossicodipendenza, che utilizzano gli strumenti della giustizia penale come pungolo per stimolare il completamento di un percorso di recupero da parte del tossicodipendente-reo. In pratica il giudice, anziché condannare il tossicodipendente a una sanzione detentiva, sospende la pena e - in collaborazione con gli altri attori del processo penale (pubblici ministeri e difensori), nonché con la consulenza di esperti in materia - stabilisce un programma di trattamento. Il reo-tossicodipendente dovrà poi periodicamente presentarsi davanti allo stesso giudice che potrà premiare pubblicamente i suoi progressi (astinenza dall’uso di droga, sviluppo della coscienza del problema, reinserimento sociale) oppure sanzionare le violazioni del programma con punizioni graduali fino all’espulsione dal programma ed alla comminazione dell’originaria pena detentiva.

Nati negli Stati Uniti alla fine degli anni ’80, questi tribunali "speciali" si sono rapidamente diffusi in diversi paesi di tradizione giuridica anglosassone, quali Canada, Australia, Bermuda, Jamaica e, da ultimo, perfino in Europa, in Irlanda, Scozia ed Inghilterra. Secondo le fonti ufficiali dei paesi interessati, questa rapida diffusione sarebbe da attribuire alla loro efficacia nella lotta alla droga ed alla criminalità ad essa connessa. I più recenti studi valutativi del fenomeno condotti negli USA mostrano infatti che, almeno durante la partecipazione del reo-tossicodipendente al programma, le Drug Courts concorrono a ridurre l’uso di droga e l’attività criminale. Per fare qualche esempio: nella Drug Court di Pensacola, in Florida, il tasso di recidiva criminale fra i partecipanti al programma di recupero è del 12%, una percentuale minima considerando che il medesimo tasso sale al 40% tra non partecipanti. Inoltre, i dati disponibili indicano percentuali minime di uso di droga durante il programma, oscillanti fra 0,8% e 35%. Infine, è rilevante sottolineare che le analisi costi-benefici delle Drug Courts indicano un risparmio netto rispetto ai tradizionali sistemi penali che comportano l’incarcerazione.

I critici di questo sistema sottolineano tuttavia alcuni aspetti negativi, quali il mancato rispetto dei diritti fondamentali degli interessati (che devono firmare un apposito consenso alla sospensione di alcune garanzie costituzionali), nonché l’assenza di dati definitivi sull’impatto di lungo periodo. Inoltre, è va considerato che nella maggior parte dei paesi europei il modello angloamericano di giurisprudenza terapeutica incontrerà presumibilmente difficoltà d’attuazione a causa del ruolo meno attivo rivestito dai giudici.

Ciononostante, è possibile trarre da questa esperienza importanti indicazioni sugli elementi chiave per una strategia di effettivo contrasto alla criminalità connessa alla tossicodipendenza. In primo luogo si nota che il momento di contatto del tossicodipendente con la giustizia penale è cruciale per cercare di favorire l’avvio di un percorso di recupero o, almeno, per stabilire un contatto con i servizi terapeutici più idonei.

Secondariamente, la collaborazione tra apparato penale e socio-sanitario può rivelarsi un importante strumento nelle mani del giudice per definire la pena più adeguata. Infine, va riconosciuto che il carcere da solo non è in grado di combattere efficacemente il problema dei tossicodipendenti che commettono reati acquisitivi, ma anzi può rivelarsi controproducente.

Per l’Italia, dove la presenza di tossicodipendenti negli istituti di pena supera abbondantemente il terzo della popolazione carceraria e dove la ricerca di soluzioni alternative pare piuttosto carente, il modello delle Drug Courts rappresenta certamente un interessante esempio di integrazione tra strumenti del processo penale e progetti terapeutici, da studiare attentamente per valutarne la reale efficacia e le possibili applicazioni.

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