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La nostra povera montagna

Angela Chiocchetti

Seguo con interesse i dibattiti sulla montagna, ho letto con attenzione gli articoli apparsi sui giornali e riviste che descrivono importanti convegni, patti e le numerose iniziative riguardanti il "2002, anno delle montagne" proclamato dall’ONU. Per i nostri politici, per illustri ricercatori e scienziati, imprenditori, scrittori, giornalisti specializzati e ambientalisti è stata un’occasione per riempire con valanghe di parole e considerazioni un importante avvenimento, ma anche per sottolineare l’urgenza di intervenire per la tutela della montagna.

Quale montagna? Quella dei pascoli e delle malghe, dei rifugi e delle vie attrezzate, dei ghiacciai e delle imprese alpinistiche, anche se spesso si dimentica che la montagna comincia dalle valli, dai paesi e dalla gente che ci vive.

Non sono né un esperto né un personaggio famoso: solo una cittadina che cozza quotidianamente contro le contraddizioni di un sistema che non dimostra di amare la montagna.

Tutti lamentano i problemi del traffico, dello sfruttamento delle risorse e del territorio, della necessità di tornare ai valori e alla riscoperta della cultura alpina, ma in realtà questo è solo un altro modo per sfruttare e offendere la montagna, per riproporla come un pacchetto turistico da vendere al miglior offerente.

Sono stanca di vedere pezzi della mia terra sacrificati in nome del progresso, panorami e scorci di paese distrutti per rispondere alle necessità di parcheggi o di seconde case per turisti, stanca di vedere che, al primo posto, vengono gli interessi piuttosto che il benessere e la salute dei cittadini.

Mi sento umiliata della mancanza di rispetto per una memoria storica che ci appartiene e per i sentimenti di chi vuole proteggerla: in questa nostra società conta solo l’apparire, mentre una superficialità dorata nasconde i vuoti culturali e morali.

Nei nostri paesi si cerca di mimetizzare questo vuoto con un tripudio di fiori, di decorazioni posticce che nulla hanno a che spartire con la tradizione, come le finte cataste di legna che adornano le piazze o le insegne di legno con pseudo-intaglio: è come coprire con una tenda di pizzo una finestra sporca, falsa come sono falsi i propositi d’intervento per la tutela dell’ambiente.

Nelle scuole si insegnano ai ragazzi la lingua e la cultura ladina, le origini storiche della nostra terra, si fa educazione all’ambiente, si sensibilizza al riciclaggio dei rifiuti e all’uso corretto delle risorse naturali, si fanno ricerche e mostre bellissime, ma fuori dalla scuola che accade?

Nulla, è un altro mondo, slegato dal bei principi e dai buoni propositi, senza alcuna continuità d’intenti e di proposte, che diano una qualsiasi risposta e un esempio concreto di volontà di proteggere un patrimonio comune.

Ogni anno vengono stampati nuovi e preziosi volumi che illustrano "la montagna che scompare", raccolte di vecchie cartoline o foto d’epoca, di panorami e scorci perduti nel tempo, libri belli da tenere in vista sulla libreria o magari da regalare a qualche turista affezionato, sponsorizzati per lo più da importanti enti pubblici. Ma anche queste sono operazioni che sfruttano la montagna per colpire gli ignari e ingenui montanari, per illuderli e ferirli nei sentimenti, strumentalizzando ancora una volta l’amore verso la terra e le proprie radici.

Spesso sono gli stessi "benefattori" a contribuire alla lenta e inesorabile distruzione della montagna, "la nostra montagna", in nome della viabilità, dello sviluppo turistico, dell’incremento del fatturato.

La cosa più triste è che, se un cittadino sensibile a queste problematiche cerca di opporsi o di discuterne, viene isolato, tacciato di protagonismo o peggio di interessi privati.

A me è capitato solo perché coinvolta in una protesta contro la costruzione di un parcheggio pubblico sotterraneo per 164 posti-macchina nascosto sotto una nuova scuola, nel centro di Moena, nel cuore delle Dolomiti, che cancellerà per sempre uno dei più begli angoli del paese.

Alla richiesta di un’ulteriore riflessione sul progetto, per il pericolo alla salute dei ragazzi che provocherà l’inquinamento acustico e atmosferico e per l’impatto ambientale particolarmente pesante, gli amministratori (gli stessi che pubblicamente parlano di recupero, di rispetto e di interventi mirati al miglioramento della vivibilità dei nostri paesi), ignorando le preoccupazioni dei cittadini, guardano il dissenso come un intralcio nei confronti di una programmazione che non può essere ridiscussa: programmazione elaborata nel silenzio solo da pochi e all’insaputa della popolazione.

Ripeto: non sono un tecnico e nemmeno un politico, non conosco i giochi e gli accordi che alimentano la vita delle nostre amministrazioni, so che le scelte non sempre sono facili da prendere, ma ritengo fondamentale che i cittadini si possano esprimere e debbano condividere certi interventi che potrebbero modificare il delicato equilibrio ambientale del proprio paese non a cose fatte, ma in fase di progettazione quando è ancora possibile valutarne i rischi e gli effetti nel futuro.

A questo punto mi chiedo, chi ama veramente la montagna?

I nostalgici? I sentimentali? I pochi testardi che si aggrappano alla terra e non si adeguano alle leggi della modernità? Chi pensa sia doveroso proteggere le poche risorse ancora intatte?

Forse siamo troppo pochi per contrastare la lenta agonia delle nostre valli e dei nostri paesi, di questo meraviglioso e ricco ambiente donatoci gratuitamente, che abbiamo solo saputo sfruttare piuttosto che conservare nella sua bellezza originale.

Cosa lasceremo ai nostri figli da ammirare? Li obbligheremo a guardare in alto le cime dei monti, perché ai loro piedi non ci saranno che rovine di una storia e di una montagna perduta per sempre.

P. S. Cerco opinioni e testimonianze. Grazie

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